La lunga e tortuosa strada del Sahara occidentale verso l’indipendenza
Una recente sentenza della Corte suprema spagnola ha posto il divieto di esporre in tutto il territorio nazionale la bandiera e qualsiasi altro simbolo dell’autoproclamata Repubblica democratica araba dei Saharawi (Rasd) perché “incompatibili con il quadro legale e costituzionale” e lederebbero il “dovere di neutralità e obiettività” che caratterizza l’amministrazione della Spagna.
La decisione ha riaperto il dibattito internazionale sulla lotta all’indipendenza del “popolo del deserto“, sancendo una netta presa di posizione di Madrid contro il Fronte Polisario che rivendica il diritto all’autodeterminazione dei Saharawi, e a favore del Marocco, che considera il Sahara occidentale una propria regione a tutti gli effetti.
Ferita aperta del colonialismo
Dopo una lunga parentesi coloniale, nel 1975 la Spagna abbandonò il popolo Saharawi al suo destino attuale, concedendo, tramite l’accordo di Madrid, il territorio al Marocco e alla Mauritania, la quale quattro anni dopo si disimpegnò. A seguito dell’occupazione marocchina, il Fronte Polisario annunciò la nascita della Rasd, instaurando un governo in esilio nel deserto algerino, dove erano fuggiti migliaia di rifugiati.
Attualmente, il popolo Saharawi è diviso in due: chi vive di stenti nei campi profughi in Algeria e chi risiede sotto il dominio del Marocco nei territori occupati, economicamente più redditizi. A separare questi ultimi dai territori liberati dal Fronte Polisario vi è un muro elettrificato costruito dal Marocco negli anni Ottanta, lungo oltre 2700 chilometri e cosparso di mine antiuomo.
Dopo tanti anni di sanguinosa guerriglia, nel 1991 venne dichiarato il cessate il fuoco, promosso dalla Missione delle Nazioni Unite per il referendum nel Sahara occidentale (Minurso). Ma ancora oggi il Sahara occidentale, che tra petrolio, fosfati e pesca contribuisce al Pil marocchino, resta conteso tra il Marocco e il Fronte Polisario senza che il popolo Saharawi abbia mai avuto la possibilità di esprimersi.
Impotenza di Onu e Unione africana
Il Sahara occidentale costituisce uno dei 17 territori non autonomi riconosciuti dall’Onu. Ma il percorso di pace – più volte auspicato da risoluzioni Onu – da oltre un anno vive una preoccupante situazione di stallo ed il referendum sembra ancora incerto e lontano.
Nonostante lo scorso 30 ottobre la risoluzione 2548 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite abbia prorogato di un altro anno il mandato della missione Minurso, il processo di pacificazione guidato dall’Onu sembra essersi arrestato. La testimonianza più evidente è data dal ritardo nella nomina di un nuovo inviato per il Sahara occidentale: questa carica, infatti, dopo le dimissioni per motivi di salute dell’ex presidente tedesco Horst Köhler, da maggio 2019 è ancora vacante.
Anche gli sforzi dell’Unione africana per una soluzione diplomatica del conflitto sono risultati vani. Nel 1984, a seguito dell’ammissione della Rasd, il Marocco aveva lasciato polemicamente l’organizzazione. Da allora i leader africani hanno ribadito a più riprese la condanna dell’occupazione marocchina ed il proprio sostegno al processo politico guidato dall’Onu. Ma il ritorno del Marocco nell’Unione africana, avvenuto nel 2017, ha affievolito il dibattito interno.
Le accuse del Fronte Polisario
Ormai il Fronte Polisario non nutre più fiducia nell’Onu perché la missione Minurso non farebbe altro che consolidare l’occupazione marocchina. Se quella del Sahara occidentale è l’ultima questione coloniale rimasta aperta nel continente africano – è la denuncia – la colpa ricadrebbe sulla comunità internazionale. In particolare, alcuni membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, partner commerciali del Marocco, ostacolerebbero il controllo sul rispetto dei diritti umani nei territori occupati e l’organizzazione di un referendum.
Inoltre, il movimento indipendentista sottolinea l’esistenza di un verdetto della Corte internazionale di giustizia, che nel 1975 aveva negato che il Sahara occidentale fosse un territorio di nessuno al momento della colonizzazione da parte della Spagna ed aveva escluso la sovranità del Marocco o di altri Stati confinanti sulla terra dei Saharawi. Questo parere è stato recentemente confermato da una sentenza della Corte di giustizia europea, che nel 2016 ha negato l’applicazione dell’accordo di associazione e liberalizzazione tra Marocco e Unione europea anche al Sahara occidentale, in quanto il popolo di tale territorio doveva essere considerato come un terzo che non aveva acconsentito all’intesa.
Rabat, dunque, dopo aver eretto il “muro della vergogna“, continuerebbe a sfruttare le risorse di un territorio occupato illegalmente e a reprimere prigionieri politici e civili indifesi con arresti arbitrari e torture, boicottando il referendum con la consapevolezza che il popolo Saharawi sceglierebbe la strada dell’indipendenza.
Il piano di autonomia del Marocco
Il Marocco, dal canto suo, non riconosce il Fronte Polisario come unico rappresentante della comunità Saharawi e afferma che il popolo del Sahara occidentale è una componente essenziale del Regno. L’identità del Marocco, infatti, è composita e fortemente legata al Sahara, da cui sono venute due grandi dinastie marocchine, in particolare quella degli almoravidi.
Il governo di Rabat non vuole negare autonomia al territorio del Sahara occidentale, purché rimanga sotto la sovranità marocchina. Il piano di autonomia, presentato al Consiglio di sicurezza nel 2007, ha l’obiettivo di assicurare la tutela dell’identità culturale della popolazione Saharawi nel rispetto dell’unità nazionale e dell’integrità territoriale del regno. Grazie al progetto di autonomia rafforzata delle province meridionali, la regione del Sahara occidentale potrebbe disporre di tutte le risorse finanziarie necessarie al suo sviluppo e i Saharawi, senza alcuna discriminazione o esclusione, potrebbero partecipare alla vita politica, culturale, economica e sociale del Regno e dotarsi di organi legislativi, esecutivi e giudiziari con competenze esclusive. Quanto alla negazione del referendum, il Marocco si difende evidenziando l’impossibilità di identificare con esattezza chi sarebbe dovuto andare a votare.
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