In occasione del recente “question time” alla Camera, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è tornata sull’annoso tema del Meccanismo Europeo di Stabilità (ormai più noto come MES) per affermare tre punti. Ha confermato che mai e poi mai un governo da lei presieduto chiederà l’assistenza del MES. Ha ripetuto che la questione della ratifica da parte italiana (dell’accordo internazionale che prevede modifiche al funzionamento del MES originario) richiede ulteriori approfondimenti. E infine ha indicato l’intenzione del governo di avviare una riflessione sulla possibilità di un diverso utilizzo dello stesso MES, come strumento di finanziamento per investimenti nel campo della transizione energetica.
È fin troppo evidente che la ratifica del MES è oggetto di grande imbarazzo per questo governo, e soprattutto per almeno due dei partiti della maggioranza che lo sostiene, che in un passato, neppure troppo remoto, avevano denunciato il MES come il male assoluto, come un perverso strumento che avrebbe reintrodotto lo spettro della “troika”, e condizionato le scelte di politica economica di Stati sovrani e indipendenti.
Siamo però arrivati a un punto in cui rinviare ancora e sine die la ratifica del “nuovo” MES rischia di crearci non pochi problemi in Europa e di indebolire la posizione negoziale italiana su altri più importanti dossier.
La storia del MES
Vediamo i fatti. Il Meccanismo Europeo di Stabilità è stato creato nel 2012, con un trattato internazionale, anziché con un atto della Ue perché inizialmente non tutti i Paesi membri vollero partecipare all’accordo (di fatto rimase fuori solo il Regno Unito che avrebbe lasciato la Ue qualche anno dopo). Fu dotato di un capitale iniziale sottoscritto di circa 700 miliardi di euro (di cui solo 80 effettivamente versati dagli Stati membri parti dell’accordo) e della la possibilità di finanziarsi emettendo obbligazioni sui mercati.
Il MES aveva in origine la funzione fondamentale di concedere assistenza finanziaria (con prestiti sottoposti a determinate condizioni) a Paesi membri con difficoltà di accesso ai mercati finanziari (ma con debito pubblico sostenibile). Negli anni della grande crisi economica e finanziaria fornì questa assistenza alla Grecia (il caso più controverso) ma anche a Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro: tutti paesi che uscirono brillantemente dalla crisi grazie anche all’assistenza del MES.
Nel 2021 fu poi adottata (con un accodo sottoscritto anche dal governo italiano) una limitata riforma del MES, con la quale si è sostanzialmente prevista la possibilità per il meccanismo di fornire una rete di di sicurezza finanziaria (un backstop) al Fondo di Risoluzione comune per le banche. Di fatto una ulteriore garanzia della possibilità di intervenire, con uno strumento comune, per contenere i rischi di contagio nel caso di crisi bancarie. Con la stessa riforma si sono anche parzialmente modificate le condizioni di accesso alla assistenza finanziaria e introdotta una nuova linea di credito cosiddetta precauzionale.
L’accordo su questa parziale riforma è stato ormai ratificato non solo da tutti gli altri diciotto firmatari, ma anche dalla Croazia che nel frattempo ha aderito all’euro. Manca solo la ratifica italiana senza la quale l’accordo non può entrare in vigore. Fino a pochi mesi fa il governo si era trincerato dietro la motivazione che si era ancora in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale tedesca. Nel frattempo questa Corte si è pronunciata (a favore della ratifica da parte delle Germania).Non ci sono quindi più scuse valide per rinviare ulteriormente l’approvazione da parte del Parlamento del disegno di legge di ratifica.
L’ultima ratifica attesa
Allora in cosa consiste il problema? Perché solo in Italia si continuano a manifestare riserve e perplessità su uno strumento che tutti gli altri membri dell’Eurozona hanno sottoscritto e vogliono vedere diventare operativo? Perché tanta diffidenza per una riforma del MES che tra l’altro potrebbe rivelarsi particolarmente utile in una fase in cui si torna a paventare il rischio di crisi bancarie (magari non sistemiche ma di singole banche).
Il motivo è sostanzialmente uno solo. E ha a che fare con la difficoltà di questo governo, e di questa maggioranza, di smentire o rinnegare prese di posizione pregresse (largamente ispirate da considerazioni ideologiche) e fare i conti con la realtà e le responsabilità che incombono su chi governa. Allo stato attuale la ratifica del MES non può essere ulteriormente rinviata per il semplice motivo che l’Italia da sola non si può permettere il lusso di bloccare una riforma non solo sottoscritta da un precedente governo ma soprattutto voluta da tutti le altre parti dell’accordo.
Ratificare la riforma del MES non significa però impegnarsi a chiedere in futuro l’assistenza del MES. E questo passaggio è evidentemente chiaro al governo se in più di una occasione Meloni pur evitando di prendere una posizione chiara sulla ratifica ha affermato (con tutta la determinazione del caso) che l’Italia in nessuna circostanza chiederà i finanziamenti del MES.
La soluzione del ‘rebus’ sulla carta dovrebbe essere semplice e potrebbe consistere nell’accompagnare la ratifica con una richiesta, che il Parlamento potrebbe (con un proprio ordine del giorno) indirizzare al governo, di impegnarsi a non utilizzare l’assistenza del MES. Meglio però farlo rapidamente e sgombrare il campo da possibili equivoci o fraintendimenti sulle intenzioni del governo italiano. Meglio evitare di dare l’impressione che cerchiamo di prendere tempo, magari per ipotizzare una diversa riforma del MES. Ci sono temi troppo importanti nell’agenda dell’Ue per permetterci di rimanere in una situazione di stallo su una questione ormai di importanza secondaria. Ne va ancora una volta della credibilità del governo del Paese: una credibilità di cui avremo molto bisogno per affrontare altri dossier molto più delicati e importanti anche per i nostri interessi nazionali.
Foto di copertina ANSA/Riccardo Antimiani