Perché l’Occidente deve agire sulla crisi alimentare

Da dieci a quaranta centesimi: tanto è aumentato il prezzo di una pannocchia di mais al mercato di Freetown, in Sierra Leone – un paese in cui già nel 2020 ben 4,7 milioni di persone, pari a oltre la metà della popolazione, si trovavano in condizioni di insicurezza alimentare. La Sierra Leone è solo uno dei tanti Paesi a basso reddito che dovranno affrontare conseguenze umanitarie disastrose a seguito della crisi alimentare globale innescata dall’invasione russa dell’Ucraina. Il World Food Programme stima che attualmente 44 milioni di persone sono a rischio di denutrizionene e fame a causa della guerra, in un momento in cui l’insicurezza alimentare globale era già cresciuta vertiginosamente, passando da 155 milioni di persone coinvolte nel 2020 a 276 all’inizio del 2022.

Crisi alimentare, un catalizzatore di disordini

L’Ucraina è uno dei granai del mondo, produce circa il 10-15% dei cereali di base commercializzati a livello globale, come grano, mais e orzo. Si stima che 20-30 milioni di tonnellate di cereali ucraini destinati all’esportazione siano bloccati da poco dopo l’inizio della guerra. Portare tali quantità sui mercati mondiali allevierebbe sicuramente la carestia a livello globale.

La crisi alimentare, tuttavia, non è solo una questione umanitaria. Storicamente, le crisi alimentari sono state un catalizzatore di disordini, rivoluzioni e guerre. Basta guardare al 2011 per vedere come l’aumento dei prezzi dei generi alimentari abbia scatenato disordini e rivolte in Medio Oriente durante la Primavera araba. Di conseguenza, una crisi alimentare globale potrebbe avere effetti destabilizzanti sull’ordine mondiale. Per la Russia e la Cina, stati che cercano apertamente di scalzare la supremazia occidentale nel sistema internazionale e di creare un mondo multipolare, il prezzo di qualche milione di vite all’estero e di un periodo di disordini potrebbe sembrare conveniente se il risultato finale sarà un colpo al soft power dell’Occidente e alle fondamenta di un ordine mondiale a guida occidentale.

L’esitazione occidentale

Nonostante i costi strategici e umanitari che un’acuta crisi alimentare può comportare per l’Occidente, i leader occidentali sono stati per lo più timidi nel loro approccio alla questione. La soluzione più efficace sarebbe quella di riaprire il porto di Odessa per le esportazioni attraverso il Mar Nero e verso il Mediterraneo. Tuttavia, ciò richiederebbe una notevole presenza navale, dal momento che la Russia ha scelto di bloccare il Mar Nero.

Molti leader occidentali temono che qualsiasi azione volta a rimuovere il blocco senza l’esplicito consenso di Mosca si tradurrebbe molto probabilmente in un confronto militare diretto con la Russia. Di conseguenza, il presidente Vladimir Putin sta prendendo due piccioni con una fava: da un lato sostiene che la Russia non sta bloccando le esportazioni di cibo e attribuisce la colpa della crisi alimentare all’Ucraina e all’Occidente, dall’altro impedisce all’Ucraina di esportare cereali il cui valore potrebbe rappresentare fino al 10% del suo PIL attuale.

In superficie, il timore occidentale di un conflitto diretto con Mosca sembra razionale. Tuttavia, presuppone che Mosca sia disposta a un’escalation e non sia vincolata da fattori esterni. Uno sguardo più attento rivela che la Russia ha un disperato bisogno di preservare il sostegno che ha raccolto a livello internazionale e vuole mantenere la neutralità in quanti più ambienti possibile. L’ultima prova di ciò è l’evacuazione dell’Isola dei Serpenti da parte di Mosca. Di fronte ai contrattacchi ucraini sull’isola, il Cremlino ha deciso che non valeva la pena tenerla e ha dichiarato che avrebbe evacuato l’isola come prova della sua volontà di spianare la strada alla ripresa del commercio di cereali.

Due opzioni per Mosca

La battaglia propagandistica è fondamentale per Mosca. Molti dei partner commerciali della Russia sono piuttosto esposti all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e Mosca non vuole essere considerata la principale responsabile della situazione.

Finché l’Occidente non interviene, la Russia evita in larga misura di essere ritenuta responsabile per la crisi. Se, invece, l’Occidente dovesse sfidare il blocco per riprendere il commercio di cereali nel Mar Nero, Mosca si troverebbe di fronte a due opzioni: consentire implicitamente o esplicitamente il passaggio del grano – accettando l’arrivo di ingenti fondi per l’Ucraina – oppure impiegare la forza per fermare qualsiasi convoglio che cerchi di superare il blocco – esponendosi a ripercussioni internazionali, perdita di sostegno e possibili ritorsioni da parte dell’Occidente.

Posta di fronte a questo scenario, le azioni e la retorica della Russia indicano che sceglierebbe la prima opzione. Tuttavia, anche se scegliesse la seconda, Putin verrebbe smascherato per quello che è in realtà, dando il pallino in mano all’Occidente. Pertanto, l’Occidente dovrebbe agire e formare una coalizione navale per creare un corridoio umanitario da Istanbul a Odessa.

Come agire

Ovviamente, è necessario ridurre i rischi in modo prudenziale. Sono auspicabili iniziative come l’internazionalizzazione della coalizione, la ricerca di un sostegno pubblico da parte di stati di tutto il mondo, attraverso le Nazioni Unite o con altri mezzi, e la possibilità di un’ispezione indipendente da parte dell’Onu di tutte le navi da trasporto e di tutte le imbarcazioni per verificare che nessun carico di armi sia diretto in Ucraina. Se possibile, gli Stati Uniti non dovrebbero essere coinvolti in prima persona nella fornitura di navi da guerra dispiegate per scortare le navi da carico attraverso il Mar Nero, poiché la presenza di forze navali statunitensi potrebbe essere vista in alcuni ambienti come una mossa aggressiva.

Una soluzione potrebbe essere che l’Ue o singoli stati membri, che erano in buoni rapporti Mosca prima della guerra, per esempio Germania, Francia e Italia, guidino questi sforzi in collaborazione con la Turchia, che controlla l’accesso al Mar Nero. La leadership dell’Ue in un’azione di questo tipo sarebbe inoltre in linea con gli obiettivi delineati nel suo recente Strategic Compass, che mira a porre l’Unione in prima linea nella risposta alle crisi.

In ogni caso, la credibilità dell’occidente e il suo ruolo nella gestione del sistema internazionale diminuiranno se non si interverrà e si lascerà che la crisi umanitaria progredisca con i suoi potenziali effetti negativi sull’ordine globale. L’Ue tende a minimizzare i rischi, ma questo spesso porta a enfatizzare eccessivamente i rischi derivanti dall’agire e a minimizzare quelli derivanti dal non agire. Una valutazione del rischio più accurata dimostra che l’Occidente non può lasciare che il mondo soffra la fame: i costi strategici e umanitari sono semplicemente troppo elevati.

Foto di copertina ANSA/LUCIANO DEL CASTILLO

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