Abbiamo sempre saputo che fare previsioni in politica estera è tra gli esercizi più complessi che si possano immaginare. Tuttavia, in un caso specifico possiamo dire di aver peccato di grave approssimazione. Negli scorsi anni, infatti, si sono moltiplicate le analisi tese a dimostrare un’importanza ridotta dell’area che va dal Marocco all’Asia Centrale, quel Medio Oriente allargato che invece rimane cruciale per gli equilibri geopolitici e di sicurezza mondiale. Il progressivo disimpegno degli Stati Uniti, anche come conseguenza della raggiunta autonomia energetica, l’arrivo preponderante e prepotente di altre potenze globali come la Cina, interessata a definire una distensione tra gli attori regionali per servire i propri obiettivi di crescita ed espansione, e il monopolio dell’attenzione sulle conseguenze dell’invasione russa in Ucraina hanno fatto presumere un ruolo più marginale per quel quadrante nei prossimi anni.
Tensioni e possibile scontro tra Israele e Iran
La storia si è presa, invece, la propria rivincita in un’area che è stata, resta tutt’oggi e sarà per il futuro essenziale nella composizione degli equilibri mondiali, quale pericoloso crocevia per la diffusione del caos. Lo scontro tra Israele e Iran delle scorse settimane non deve dunque suonare come una sorpresa o un episodio occasionale. Siamo di fronte all’ennesimo cambio di paradigma nella codifica dei rapporti tra Stati, interessi e ambizioni geopolitiche a quelle latitudini.
Tra i tanti elementi che inducono al pessimismo, nella misura in cui uno scontro militare diretto tra Tel Aviv e Teheran aprirebbe il baratro di un conflitto esteso di portata mondiale, giova piuttosto sottolineare quei fattori di mitigazione che – almeno per il momento – ci consentono di scongiurare lo scenario peggiore.
Teheran ha risposto all’attacco mirato israeliano a una sede diplomatica iraniana in territorio siriano scatenando una pioggia di fuoco fatta di droni armati, missili da crociera e testate balistiche a medio raggio, temperando però l’operazione con un largo preavviso. Ciò ha permesso alle sofisticate difese aeree israeliane e ai mezzi alleati di Usa, Francia, Gran Bretagna e Giordania di aprire un ombrello molto efficace e di garantire una protezione pressoché assoluta. Al contempo, la successiva risposta di Israele si è limitata a un atto dimostrativo modesto nelle dimensioni ma enorme nell’efficacia. Piccoli droni tecnologicamente avanzati sono riusciti a cadere a pochi passi dalla centrale nucleare di Isfahan, una delle più importanti del Paese, obiettivo sensibile per le note ambizioni iraniane di arricchire l’uranio per produrre una bomba atomica. Benché Tel Aviv abbia ufficialmente smentito la propria responsabilità, il messaggio inviato agli ayatollah e alle Cancellerie internazionali è apparso chiaro: siamo in grado di colpire ovunque, senza preavviso e con un livello di precisione chirurgica.
Le nuove dinamiche del conflitto in Medio Oriente
Il picco della tensione sembra essere passato senza conseguenze irreversibili. Tuttavia questo passaggio segna un cambio di paradigma. Storicamente l’Iran si è affidato allo strumento della guerra per procura, usando i suoi proxies nella regione (da Hezbollah in Libano agli Houthi nello Yemen) per colpire interessi vitali in territorio israeliano. È dunque la prima volta che assistiamo a un attacco diretto da Teheran. Anche Israele ha preferito in passato rispondere con strumenti alternativi all’offesa militare diretta, spesso colpendo obiettivi iraniani nella regione, a volte intervenendo direttamente ma con le armi dello spazio cibernetico: celebre fu l’invio di un baco informatico nella rete che bloccò di colpo la capacità e le ambizioni iraniane di arricchire l’uranio nella centrale nucleare di Natanz. Oggi la contesa tra i due Stati cambia decisamente aspetto e apre la prospettiva di un confronto militare senza filtri né intermediari.
Il secondo aspetto rilevante rimanda alle dinamiche interne all’Iran. È evidente come una nuova generazione di militanti guardiani della fede, i cosiddetti pasdaran, stia prendendo il sopravvento sulla vecchia guarda degli ayatollah che hanno vissuto da protagonisti il 1979 e la rivoluzione khomeinista. La tattica del “mordi e fuggi” verso Israele attraverso la mezzaluna sciita e i gruppi filo-iraniani non soddisfa più le aspettative di chi ritiene troppo arrendevole l’atteggiamento della Repubblica islamica negli ultimi decenni.
Il terzo elemento di novità coinvolge la prospettiva di un profondo riassetto degli equilibri geopolitici nella regione. La storia recente parla di una concreta opportunità di dar vita agli Accordi di Abramo, attraverso la storica firma di un accordo di pace e mutuo riconoscimento tra Israele e Arabia Saudita. Sappiamo che quel disegno è stato spezzato nella maniera più macabra possibile lo scorso 7 ottobre con gli attacchi di Hamas in territorio israeliano e l’avvio successivo delle operazioni militari a Gaza. L’aumento della tensione e della preoccupazione per l’atteggiamento iraniano potrebbe però non aver fatto tramontare del tutto questa prospettiva, che torna a essere il principale elemento al quale guardare per il prossimo futuro.
Il Medio Oriente allargato rimane, dunque, un crocevia determinante per gli equilibri del mondo. L’affollamento di potenze regionali, globali e di interessi spesso divergenti rende questa vasta regione particolarmente delicata e complessa. L’Occidente farebbe bene a pensarci due volte prima di dichiarare la fine del proprio interesse in quell’area, dalla quale passa buona parte della nostra sicurezza.