Le priorità del governo Meloni in politica estera

La coalizione di centrodestra, vincente alle elezioni del 25 settembre, si è insediata al governo in una congiuntura complessa per l’intera Europa, in cui l’impatto esplosivo dell’alto livello di inflazione dovuto all’aumento dei prezzi dell’energia si miscela pericolosamente all’incertezza sugli approvvigionamenti di gas, a cui l’Italia è particolarmente esposta. In questo contesto si inseriscono la guerra in Ucraina e il peso di altri dossier internazionali, come quello migratorio, su cui si stanno riscontrando le prime frizioni tra l’Italia e i suoi partner europei.

C’è molta attesa per i prossimi passi che compirà il governo di Giorgia Meloni, anche se pare già possibile, a poco più di un mese di insediamento del suo esecutivo, intuire quali saranno alcune direttrici strategiche della politica estera italiana nei prossimi anni.

Rassicurare Bruxelles

La scelta di Giorgia Meloni di recarsi a Bruxelles per la sua prima visita all’estero da capo di governo ha avuto un duplice scopo simbolico.

Il primo è stato quello di rassicurare l’opinione pubblica e gli osservatori internazionali (politici ed economici) sull’accettazione reciproca e non scontata tra il nuovo esecutivo italiano e le istituzioni europee, dopo i pochi ma disastrosi precedenti di governi guidati dalla destra radicale al potere negli Stati membri (come la pessima esperienza con l’Austria di Wolfgang Schüssel, tra il 2000 e il 2007, dopo la vittoria della FPO che portò alla creazione di un “cordone sanitario” europeo).

Il secondo scopo, sempre di carattere simbolico e politico, riguarda invece la collocazione dell’Italia nello scacchiere continentale, e in particolare la volontà di non farsi appiattire dalle alleanze europee del partito (e quindi dall’abbraccio con Polonia e Ungheria,attualmente sotto procedura di infrazione), per riportarsi in un contesto più congeniale alla nostra politica estera.

La querelle diplomatica con la Francia sulla questione della nave Ocean Viking è andata ovviamente in direzione opposta a questa strategia, e sembra in parte aver vanificato gli sforzi del Quirinale tesi a mettere i rapporti con Parigi al riparo dal cambio di governo. I prossimi mesi saranno importanti per capire quanto sia destinato ad invecchiare male il Trattato del Quirinale, firmato appena un anno fa come garanzia di non-inimicizia, se non di amicizia, italo-francese.

E se proprio il presidente della Repubblica Mattarella sembra aver smussato per ora l’acredine dello scontro in atto, può essere considerato sorprendente che anche la Commissione europea (probabilmente anche grazie a una “copertura sistemica” offerta dal commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni) abbia teso una mano all’Italia, proponendo un piano d’azione, presentato dalla Commissaria per gli Affari Interni Ylva Johansson.

La copertura politica per il governo è però soggetta a molte variabili, la prima delle quali è la capacità di Meloni di indirizzare Matteo Salvini e Silvio Berlusconi su una linea di prudenza sulla legge di bilancio, evitando promesse su contante, pensioni o flat tax che potrebbero portare l’Italia molto lontana dal patto di stabilità. Stando ai dettagli per ora noti della manovra questo compito appare riuscito, almeno a livello macro economico.

La legge di bilancio che verrà votata dal Parlamento e dovrà essere recepita da Bruxelles prevede comunque 21 miliardi aggiuntivi di deficit che proprio Gentiloni dovrà iniziare a valutare in vista di un giudizio complessivo della Commissione. I rapporti con Bruxelles non sono stati tuttavia l’unico obiettivo del governo appena insediato: seguendo una doppia direttrice, gli sforzi di Palazzo Chigi e della Farnesina sembrano per ora indirizzati verso il Mediterraneo e i Balcani occidentali.

Il Mediterraneo e la questione libico-turca

Per quanto riguarda il Mediterraneo, gli incontri bilaterali del presidente del Consiglio durante la Cop27 con Algeria ed Egitto (nonostante le critiche, in quest’ultimo caso, per la gestione del caso Regeni), e quello con il Presidente turco Erdogan a margine del G20 di Bali sembrano tutti convergere verso due temi prioritari per il nuovo esecutivo, ossia l’approvvigionamento energetico e il contenimento delle spinte migratorie.

Ovviamente questi due dossier non suono nuovi nelle relazioni tra l’Italia e i suoi partner del Mediterraneo, ma l’elemento di novità può essere proprio la caratura politica del nuovo governo rispetto ad interlocutori con cui ci sono esplicite distanze ‘culturali’ (come per esempio nel caso della Turchia). Su questo terreno, le istanze di Fratelli d’Italia e le sue priorità, come quella del blocco navale delle coste libiche, si scontrano con con l’espandersi dell’influenza turca su Tripoli e francese su Tobruk. La preoccupazione per l’influenza turco-francese nel Mediterraneo, che si evince per esempio da diverse interviste di esponenti del partito di maggioranza, è destinata comunque a catturare anche Giorgia Meloni nella trama in cui sta provando a districarsi Roma da dieci anni.

La Turchia è infatti un partner commerciale importante per l’Italia, ma al contempo molto aggressivo verso l’Unione europea in tutti gli scenari strategici per il nostro governo (Mediterraneo e Balcani). In questo contesto, arriva come una brutta ma prevedibile notizia il fallimento di fatto degli accordi di Berlino, e il perdurare della divisione della nazione in due blocchi separati sostenuti da governi amici dell’Italia.

La scelta di sostenere il governo di Tripoli tuttavia appare obbligata per il governo Meloni, e non solo per la legittimità accordata dalle Nazioni Unite, ma soprattutto a causa del sostegno degli Stati Uniti. Dall’altra parte del confine, dove esercita de facto la sua sovranità il governo di Tobruk, è invece Parigi a tirare le fila, ma con un attivo sostegno egiziano e greco, entrambi interlocutori di prim’ordine dell’attuale governo, soprattutto la Grecia, a partire dalla lettera congiunta dello scorso 12 novembre firmata insieme a Malta e Cipro.

La questione libico-turca diventerà sempre più complessa, come dimostrato dal voto del Parlamento Europeo del 24 novembre sulla delimitazione delle acque territoriali nel Mediterraneo, firmata dai due Paesi in violazione del diritto internazionale e della sovranità cipriota, e alle esplorazioni dei giacimenti di gasda parte dell’italiana ENI proprio al largo di Cipro.

Il ritorno nei Balcani

La visita di Stato congiunta dei ministri Tajani e Crosetto a Pristina lo scorso 24 novembre e a Belgrado il 22 novembre è stata ampiamente ripresa dalla stampa, soprattutto a causa dell’ostentata dichiarazione “programmatica” degli incontri che si sono tenuti in Kosovo e Serbia. Lo scopo di questa prima iniziativa è rilanciare il ruolo italiano nei Balcani occidentali, con l’obiettivo di breve periodo di entrare nel processo negoziale serbo-kosovaro in corso a Bruxelles e di agganciarsi al contempo alla strategia regionale anti-immigrazione a cui sta lavorando Viktor Orban.

Sul lungo periodo, l’ambizione non può che essere quella di inserirsi più incisivamente nel processo di Berlino sull’allargamento, coinvolgendo anche Albania, Montenegro e Macedonia del Nord. La presenza agli incontri diplomatici del nuovo Ministro della Difesa Crosetto è stato inteso per sottolineare l’attenzione, anche militare, che l’Italia ha sempre corrisposto per la regione e concretizzatosi nelle missioni civili e militari, a guida Nato e Ue, che si sono succedute nel corso degli ultimi 30 anni. A questo contributo per la stabilizzazione non sempre è equivalso un impegno diplomatico costante e improntato a una strategia coerente, nonostante gli sforzi del governo Draghi e del Quirinale negli ultimi anni.

La prossima mossa del governo italiano potrebbe essere quella di organizzare una grande conferenza sui Balcani a Roma, ponendo al centro del dialogo flussi migratori, commercio ed allargamento.2 Un ultimo tema di attualità, che virtualmente riconnetterebbe la strategia balcanica a quella mediterranea, è invece il progetto di Balkan Stream a cui sta lavorando attivamente la Turchia con Serbia e Bulgaria e che potrebbe riguardare anche l’Italia.

Una politica estera più intraprendente?

Ad oggi, sembra che il governo Meloni abbia una strategia chiara di politica estera almeno per quanto riguarda le aree prioritarie di azione. L’Unione europea è una di queste, a conferma che l’azione del nuovo esecutivo è improntata alla prudenza, soprattutto con la speranza di evitare preoccupazioni per misure controverse che potrebbero portare ad un parallelismo con i governi politicamente affini di Ungheria e Polonia (nonostante la copertura politica che Fratelli d’Italia continua a fornire al Parlamento Europeo e che potrebbe tradursi negativamente in sede di Consiglio).

Lo scontro con la Francia sulla questione Ocean Viking in tal senso non è un buon viatico, anche se il carattere sostanzialmente bilaterale della querelle, con il rifiuto di intervento del governo tedesco e spagnolo, nonché della stessa Commissione, sembra aver assecondato l’auspicio del Quirinale di far dimenticare l’incidente il prima possibile.

Oltre all’Ue, il secondo scenario prioritario per l’esecutivo è quello del Mediterraneo Orientale, anche nella sua declinazione balcanica. In quest’area geo-strategica, i protagonisti sono la Francia, l’Egitto, ma soprattutto la Turchia. Un maggiore attivismo in quest’area comporterà probabilmente una presa di posizione su alcune questioni controverse e la conseguente possibilità di indisporre uno o più di questi attori. L’esistenza di un governo politicamente coeso a Roma, novità rivendicata da Giorgia Meloni, si può ovviamente tradurre nell’assunzione di alcuni rischi, ma solo a patto di avere assicurata una copertura europea e transatlantica di cui al momento il governo non può godere.

Foto di copertina ANSA/FABIO FRUSTACI

Ultime pubblicazioni