Il Trattato di Cooperazione Rafforzata tra Francia e Italia, firmato lo scorso 26 novembre e denominato ‘Trattato del Quirinale’ dal luogo in cui è stato firmato, ha giustamente creato interesse in Europa. Il trattato può presiedere a un’espansione e approfondimento della relazione bilaterale, ricalibrare in parte gli equilibri di forza europei, nonché aprire a un’era di maggiore coordinamento italo-francese in sede Ue.
Una relazione bilaterale più stabile
Italia e Francia hanno forti legami commerciali, specialmente nei settori automobilistico, farmaceutico, elettronico e agro-alimentare. Nel 2019, cioè l’ultimo anno ‘normale’ su cui si hanno dati completi, il commercio bilaterale ammontava a circa 80 miliardi di euro. L’Italia è il terzo fornitore di beni della Francia e il suo terzo mercato di esportazione. Le due economie hanno anche sistemi produttivi integrati, con 1700 aziende italiane attive in Francia e tremila francesi in Italia. La Francia è il principale investitore estero in Italia, con uno stock del valore di 88 miliardi nel 2020. Anche se sono molto più indietro, gli investimenti italiani in Francia sono cresciuti regolarmente. Fusioni italo-francesi hanno inoltre creato giganti globali come EssorLuxottica e Stellantis (fusione alla pari tra Fca e Psa).
Il quadro non è naturalmente tutto roseo. Il veto del governo francese sull’acquisizione dei cantieri Stx da parte di Fincantieri non è stato apprezzato a Roma. Alle irritazioni italiane sulla percepita assenza di reciprocità si accompagnano disaccordi su altre questioni, dalla gestione della frontiera di Ventimiglia al sostegno a parti avverse in Libia. Anche la cooperazione in aree di maggiore convergenza, come l’azione di controllo dei flussi migratori e controterrorismo nel Sahel o lo sfruttamento delle risorse energetiche nel Mediterraneo orientale, non è sempre stata ottimale.
I funzionari francesi e italiani si sono così persuasi da tempo della necessità di governare meglio la complessità della relazione bilaterale. Avviati nel tardo 2017, i contatti per un trattato si sono bruscamente interrotti a inizio 2019, dopo il ritiro dell’ambasciatore francese in protesta contro l’incontro tra Luigi Di Maio, allora ministro dello Sviluppo economico, e i ‘gilet gialli’, i dimostranti francesi anti-Macron. Il disgelo è arrivato solo dopo che il Pd ha sostituito la Lega come partner di governo del M5S. Ma è con la nomina a primo ministro di Mario Draghi, legato al presidente Emmanuel Macron da una forte convergenza di vedute su integrazione e politica estera europea, che il negoziato subisce l’accelerazione che porta alla firma. Il fatto che né Macron né Draghi potrebbero essere in carica a lungo (il primo sarà impegnato nella campagna per la rielezione ad aprile 2022, il secondo abbandonerà la carica al più tardi a inizio 2023) ha dato al processo maggiore urgenza. Impiantare le relazioni bilaterali su una base più solida è una garanzia dagli imprevisti di cicli elettorali futuri e meno allineati politicamente. Significativamente non ci sono state levate di scudi contro il trattato da parte dell’opposizione né a Roma né a Parigi.
Un equilibrio europeo ricalibrato
Il Trattato del Quirinale crea una fitta rete di interazioni formali a molteplici livelli e tra diverse agenzie, comprensiva di un vertice intergovernativo annuale, di una serie di forum ministeriali di consultazione permanente, e programmi congiunti di formazione e scambio di funzionari. Tra le aree di cooperazione spiccano gli affari esteri; sicurezza e difesa; affari europei; giustizia e affari interni; migrazioni; cultura e società; ricerca; e cooperazione economica e industriale, specialmente nello spazio e nell’innovazione digitale (intelligenza artificiale, cloud e 5G-6G).
Il trattato non produrrà un allineamento strategico permanente. Esso però crea canali istituzionali permanenti attraverso i quali prevenire e gestire i conflitti, così come per definire posizioni o azioni comuni. Il risultato dovrebbe essere infine una partnership più solida che aumenti lo status di Francia e Italia in Europa, soprattutto rispetto alla Germania, considerata il vero ‘bersaglio’ del trattato italo-francese. Un elemento di bilanciamento è in effetti innegabile. Tuttavia, si tratta di un rafforzamento della posizione di Roma e Parigi, non di un allentamento dei loro rapporti bilaterali con Berlino, che restano prioritari per entrambi.
In questo senso, il trattato riflette la tendenza dei paesi europei a rafforzare il coordinamento intergovernativo bilaterale come parte integrante dei complessi processi decisionali dell’Ue. È importante sottolineare come il trattato non punti a rendere l’Unione più intergovernativa – al contrario, apre al sostegno italo-francese a una maggiore comunitarizzazione delle politiche. La consultazione bilaterale è volta infatti a rafforzare la posizione di Francia e Italia prima delle sessioni negoziali in sede Ue.
Il progetto di integrazione
Tre sono le politiche Ue dove il maggior coordinamento italo-francese creato dal Trattato del Quirinale dovrebbe fare la differenza. La prima è la governance dell’eurozona, che Francia e Italia vogliono riformare in modo da renderla più capace di avviare misure fiscali anti-cicliche, per esempio rendendo permanenti alcuni elementi di Next Generation EU (il fondo per la ripresa post-covid) come la capacità della Commissione di emettere debito sui mercati. La seconda politica riguarda la governance della migrazione (dal controllo delle frontiere alla gestione dei flussi irregolari a quella dei migranti regolari), che Roma e Parigi vorrebbero elevare al livello di quella dell’eurozona, come recentemente auspicato da Macron. La terza politica riguarda la capacità dell’Ue di dotarsi di maggiore ‘autonomia strategica’ in politica estera e di sicurezza, un punto su cui Macron insiste da anni. Le forti credenziali atlantiche dell’Italia, e di Draghi in particolare, dovrebbero ridurre la preoccupazione (del resto infondata) che l’autonomia strategica dell’Ue implichi un allentamento del legame con gli Stati Uniti.
In conclusione, il Trattato del Quirinale è un atto di diplomazia lungimirante che dovrebbe dare maggiore stabilità a una relazione politica complessa, espandere i legami economici e culturali e spingere verso un avvicinamento in politica estera, il tutto rafforzando l’identità europea di entrambi i Paesi. Se anche i successori di Macron e Draghi dovessero essere meno allineati, ignorare del tutto i meccanismi di consultazione istituzionale creati dal trattato sarà difficile. Nel volatile mondo delle relazioni internazionali difficilmente esistono polizze assicurative migliori.
Foto di copertina ANSA/POOL Roberto Monaldo / LaPresse