Le conseguenze della crisi alimentare nel Sahel

Il Sahel è una delle regioni meno vivibili del mondo, la combinazione di elevata instabilità politica e condizioni ambientali sempre più sfavorevoli rendono estremamente precaria la vita delle popolazioni locali.

Negli ultimi anni, l’Africa centro-occidentale è diventata l’epicentro mondiale del terrorismo jihadista. Stati deboli e vuoti di potere hanno creato terreno fertile per violente insurrezioni in Ciad, Nigeria, Burkina Faso, Mali e Niger. Questi ultimi tre Paesi sono stati recentemente vittima di colpi di stato e sono attualmente governati da giunte dei rispettivi eserciti nazionali. Questi nuovi regimi autoritari hanno trovato il supporto della Wagner PMC, il braccio armato di Mosca nella regione, mentre i Paesi dell’ECOWAS (Comunità Economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest) hanno sollevato l’ipotesi di una guerra per riportare il governo civile in carica a Niamey, capitale del Niger, con i regimi di Bamako e di Ouagadougou che hanno già dichiarato il loro supporto militare alla giunta “sorella” del Niger.

Sullo sfondo della possibilità di un più ampio conflitto internazionale e delle varie violazioni di diritti umani da parte di gruppi armati, dei regimi autoritari e dei mercenari russi, una durissima crisi alimentare vessa le popolazioni locali da quasi un decennio e contribuisce ad esacerbare l’attuale contesto politico.

La spirale di violenza nel Sahel

Secondo dati del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (WFP), in Burkina Faso, Mali e Niger, circa 12,7 milioni di persone soffrono di insicurezza alimentare, 600 mila sono in condizione di grave malnutrizione e quasi 18 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria, tra cui 2,5 milioni sono sfollati a causa dei conflitti armati (Plan International).

Il 25% dei burkinabè,  necessita di assistenza umanitaria, così come circa 9 milioni di maliani e 4,2 milioni di nigerini. Il Burkina Faso è lo stato più colpito dalla crisi umanitaria, gli sfollati interni sono circa 1,8 milioni a fronte di una popolazione di 22 milioni e i gruppi armati nel nord del Paese bloccano l’accesso al cibo a 1,3 milioni di persone.

La fame è ormai usata come una vera e propria arma di guerra dagli insorti, i quali prendono frequentemente di mira i civili, distruggendo le abitazioni, saccheggiando i raccolti, rubando il bestiame e gli attrezzi da lavoro ad agricoltori e allevatori, che costituiscono la maggioranza della popolazione. 

Questi atti di violenza fanno sì che la disponibilità complessiva  di cibo sia sempre più scarsa e che non sia più possibile produrne in quantità sufficienti a sfamare la popolazione. Così le comunità locali che poi accolgono gli sfollati sono costrette a condividere le loro già scarse risorse con un numero maggiore di persone e facendo affidamento a minor capacità produttive.

Gli effetti della crisi alimentare sono particolarmente gravi su donne e bambini. Per questi ultimi, la scarsità di cibo provoca il rachitismo e aumenta la mortalità infantile, inoltre molti ragazzi sono costretti a lasciare la scuola per trovare un lavoro e contribuire al sostentamento della loro famiglia. Gli giovani uomini sono facile preda del reclutamento dei gruppi armati nelle aree dove la situazione economica è più disperata e dove il governo centrale non è in grado di fornire l’assistenza necessaria.

Le ragazze sono a più alto rischio di abbandono scolastico dei ragazzi, a volte le loro famiglie, piuttosto che farle lavorare, organizzano dei matrimoni combinati per avere una bocca in meno da sfamare. Le donne di tutte le età, soprattutto se prive di un’educazione scolastica sono fortemente esposte al rischio di pratiche di sfruttamento sessuale e violenza domestica, situazioni tristemente comuni per via delle durissime condizioni di vita. Inoltre, donne e ragazze si vedono spesso costrette a sacrificare le loro razioni di cibo a favore di altri membri della famiglia, finendo per essere le ultime a sfamarsi e con una minore quantità di cibo.

Riscaldamento globale e desertificazione

È quindi chiaro che le violenze siano un elemento concomitante e a volte anche causale della crisi alimentare, entrambi i fenomeni si alimentano a vicenda. Ma c’è un altro elemento che accelera il peggioramento della situazione nel Sahel centrale: il riscaldamento globale. Sebbene la temperatura media globale stia gradualmente aumentando in ogni regione del pianeta, rispetto alla media mondiale le temperature aumentano 1,5 volte più velocemente nel Sahel, laddove gli effetti sarebbero già i più catastrofici anche con un aumento in linea col resto del mondo. La regione del Sahel confina al nord con il deserto più grande del mondo, il Sahara, che per effetto dei cambiamenti climatici, è in continua espansione. Questo processo di desertificazione diminuisce l’estensione delle terre coltivabili e anche queste ultime sono sempre più difficili da far fruttare per via della  scarsità di piogge, restano invece comuni nel Sahel le catastrofiche inondazioni che contribuiscono alla distruzione dei raccolti. 

Eventi di questo tipo spingono le popolazioni a migrare verso zone meno colpite, creando competizione tra gli agricoltori e allevatori locali e quelli in fuga dai disastri naturali; competizione che spesso sfocia in violenza vera e propria, visto il valore inestimabile che hanno le sempre più scarse terre fertili per gruppi di persone praticamente dipendenti dall’agricoltura di sussistenza. 

Quindi oltre ad essere strettamente correlato con la crisi alimentare, il riscaldamento globale è anche parzialmente causa di conflitti nel Sahel. Data la situazione catastrofica, il prezzo di risorse alimentari come il grano è particolarmente proibitivo e con l’invasione russa dell’Ucraina, l’inflazione nei Paesi vulnerabili non ha fatto altro che peggiorare. I Paesi africani sono infatti estremamente dipendenti dal grano ucraino e russo. Secondo il WFP:  il 30% del grano consumato in Africa viene dall’Ucraina e dalla Russia, il Mali per esempio dipende da Mosca per più del 50% del suo fabbisogno interno. L’aumento dei costi di trasporto e i colli di bottiglia delle catene di approvvigionamento dovuti al conflitto europeo sono un altro elemento esterno che non fa altro che rinforzare il ciclo vizioso tra violenze e insicurezza alimentare nel Sahel centrale.

La tragica combinazione di questi fattore traccia un quadro molto cupo per le popolazioni burkinabè, maliane e nigerine, per risollevare la regione dall’abisso, sarà necessario uno sforzo titanico da parte di governi, organizzazioni internazionali e ONG.

Questo articolo, a cura di Iacopo Andreone, è stato scritto in collaborazione da Orizzonti Politici e Affari Internazionali, la rivista di IAI, nell’ambito del progetto sulle crisi umanitarie nel mondo.

Foto di copertina EPA/Daniel Irungu

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