Il nuovo ordine multipolare di Xi

Dalle “Due sessioni”, (in cinese 两会 lianghui), gli incontri dell’Assemblea nazionale del popolo e della Conferenza politica consultiva del popolo cinese che si sono conclusi il 13 marzo scorso, la Cina ha rafforzato la pretesa di proporsi come “potenza responsabile”, capace di “mediare” tra attori terzi. Lo ha già dimostrato rivendicando come un proprio successo diplomatico l’accordo tra Iran e Arabia Saudita. Ma il cambio di prospettiva estera è stato sottolineato anche nel discorso tenuto da Xi Jinping di fronte all’organo consultivo.

Alcuni osservatori hanno evidenziato una postura più proattiva sul fronte internazionale, che Xi ha proposto attraverso la reinterpretazione della formula di Deng Xiaoping. L’uomo artefice delle riforme, il “piccolo timoniere”, incoraggiava a “osservare con calma” e “mantenere le posizioni”. Xi, enfatizzano i quotidiani nazionali, a “cercare attivamente il cambiamento”, “progredire nella stabilità”, “stare uniti e osare combattere”.

In questo scenario si iscrive la visita di tre giorni che Xi ha compiuto a Mosca, e che si è conclusa il 22 marzo. Un “evento storico”, come descritto dal Quotidiano del popolo, che si configura come una manovra diplomatica in cui Pechino rinnova il tentativo di giocare un ruolo sulla guerra in Ucraina. Nel secondo giorno di colloqui tra i due “cari amici”, Vladimir Putin ha promesso di “studiare con attenzione” il position paper in cui a fine febbraio la Repubblica popolare ha proposto al mondo la sua visione sulla guerra in Ucraina (in quell’occasione definita “crisi”) e sul mondo a venire.

Un mondo multipolare

“Nessun modello di governo è universale e nessun singolo paese dovrebbe dettare l’ordine internazionale”, si legge nell’articolo scritto da Xi per la stampa russa poche ore prima della visita a Mosca. Un mondo multipolare, con Pechino che ne raccoglie i frutti. Più che configurarsi come un attore realmente capace di mediare il conflitto in Ucraina, la Repubblica popolare ribadisce l’importanza della “pace e del dialogo”. La Cina resta “dalla parte giusta della Storia”, come sostenuto dalla portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying durante i colloqui Xi-Putin. E nelle prossime ore sarebbe in programma anche una telefonata con Volodymyr Zelensky.

Nell’articolo riportato dai media russi precedente alla visita a Mosca, Xi Jinping ha enfatizzato il concetto di “sicurezza collettiva“. Non solo, quindi, “sicurezza” come imprescindibile “fondamento dello sviluppo”, ma anche portatrice di una valenza “globale”: l’unico approccio mediante il quale si potrà pensare di raggiungere la risoluzione del conflitto.

Gli Stati Uniti, invece, vengono additati per diffondere una mentalità da Guerra fredda. La dichiarazione congiunta che è seguita ai colloqui tra i due leader chiama in causa il timore che Washington continui a minacciare la sicurezza globale per “garantirsi un vantaggio militare”. Per risolvere la “crisi ucraina”, ribadisce il documento, è necessario “rispettare le legittime preoccupazioni di tutti i paesi in materia di sicurezza e prevenire la formazione di scontri tra blocchi”.

Conferme e nuove nomine

Quello a Mosca è il primo viaggio fuori dai confini dopo la rielezione al terzo mandato del presidente della Repubblica popolare. Una storica rielezione votata all’unanimità da membri del Parlamento il 10 marzo scorso. Nei giorni successivi sono state assegnate le nuove nomine, tutte ampiamente attese, e molte delle quali ricoperte da funzionari fedeli a Xi. La figura più rilevante è quella dell’ex segretario di Partito a Shanghai Li Qiang, che subentra a Li Keqiang come nuovo premier. In un momento caratterizzato da numerose “sfide”, dalla crisi demografica a quella del settore immobiliare, dalla contrattura del mercato occupazionale alle tensioni con gli Stati Uniti, Li dovrà occuparsi di rilanciare l’economia.

Ma dopo anni in cui il suo predecessore ha visto diminuire il suo potere decisionale, ci si chiede quale sarà la sua postura: come detto al South China Morning Post dall’analista Wu Qiang, la nomina di una figura così vicina al leader “potrebbe dimostrare la debolezza del Consiglio di Stato”. Nel prossimo quinquennio, quindi, Li potrebbe operare nient’altro che come un fedele esecutore delle politiche di Xi. Secondo altri osservatori, invece, proprio il suo stretto rapporto con il presidente potrebbe consentirgli una più ampia libertà di manovra.

Qin Gang, ex ambasciatore a Washington, è il neo ministro degli Esteri. Il nuovo ministro della difesa è invece Li Shangfu: ingegnere aerospaziale, membro della Commissione militare centrale e sanzionato dagli Stati Uniti dal 2018 per aver acquistato caccia e sistemi di difesa aerea russi. La sua nomina potrebbe avere un duplice significato: un messaggio a Washington sulla volontà di non piegarsi alle sanzioni, e un segnale di sostegno a Mosca. Zhao Leji, ex numero uno della Commissione centrale per l’ispezione disciplinare e uomo cardine nella lotta alla corruzione, è stato nominato a capo dell’Assemblea nazionale del popolo. Riconfermato Yi Gang come governatore della Banca centrale. Secondo il Wall Street Journal Yi manterrà la carica per alcuni mesi allo scopo di garantire stabilità durante le riforme che interesseranno il settore finanziario.

Ottimizzare” le istituzioni

Per abbracciare la stabilità sul fronte interno ed esterno e trainare uno sviluppo che sia resiliente alle sfide esterne, serve un controllo saldo dei settori strategici. L’atteso piano di ristrutturazione delle istituzioni, pubblicato il 16 marzo, consentirà al Partito di farsi carico di alcune importanti funzioni prima svolte dal Consiglio di Stato. Segnale, come ha scritto lo studioso di lungo corso del contesto cinese Bill Bishop, che “il Partito continua a fagocitare lo Stato”.

I media statali ne hanno parlato come di un passo decisivo per “ottimizzare” e migliorare l’ “efficienza” delle istituzioni. Oltre alla ristrutturazione del ministero della Scienza e della Tecnologia, si prevede la creazione di una Commissione centrale per la scienza e la tecnologia sotto il controllo del Partito. La Commissione centrale per la finanza, invece, lavorerà insieme a un nuovo organismo statale, l’Amministrazione nazionale di regolamentazione finanziaria, che avrà il compito di supervisionare le attività bancarie e proteggere gli investitori.

Il piano di riforma, quindi, prevede la nascita di nuovi organismi che consentiranno un accentramento dei poteri statali nelle mani del Partito, e velocizzeranno l’approvazione delle leggi in caso di emergenza. Altro punto rilevante è la creazione di un’agenzia che permetterà a Pechino di ottimizzare la raccolta e la gestione dei dati.

Crescita economica

Nel consueto rapporto che suggella l’inizio delle due sessioni, il premier uscente Li Keqiang ha presentato le direttive economiche per l’anno a venire. Obiettivo ultimo, “stabilità”, parola comparsa per ben 33 volte nel discorso. Ma anche sviluppo: sono stati annunciati finanziamenti speciali per i settori strategici come quello dei semiconduttori, che rispondono all’enfasi del leader sulla necessità di perseguire l’ “autosufficienza tecnologica” e uno sviluppo guidato dall’innovazione. Per il 2023 è stato fissato un obiettivo di crescita del Pil al 5%, di poco più cauto rispetto al 5,5% che Pechino aveva previsto per il 2022 (anno che si è concluso con una crescita di non oltre il 3%).

Come chiarito nei giorni successivi dal nuovo premier Li Qiang, perseguire i nuovi obiettivi di crescita “non sarà un compito facile”. Li, tuttavia, ha usato toni ottimistici su questioni che negli ultimi anni hanno preoccupato l’opinione pubblica: la cifra record di 11,58 milioni di neolaureati previsti nel 2023 sarà capace di portare “vitalità ed energia” all’economia. Rassicurazioni anche per il settore privato: il nuovo premier ha chiarito che la Cina proseguirà sulla strada delle riforme.

Stati Uniti e Taiwan

Il 7 marzo, di fronte ai membri dell’organo consultivo, Xi ha accusato gli Stati Uniti di mettere in atto un’azione di “contenimento, accerchiamento e soppressione” del Paese, causando “gravi sfide senza precedenti allo sviluppo” della Repubblica popolare. “L’accerchiamento e la soppressione”, ha ribadito Li Qiang, “non sono vantaggiosi per nessuno”. Affermazioni più critiche sono state pronunciate da Qin Gang: il nuovo ministro degli Esteri ha accusato Washington di voler deteriorare le relazioni con Pechino. “Se gli Stati Uniti continuano a percorrere la strada sbagliata”, ha aggiunto, “ci saranno sicuramente conflitti e scontri”. Parole che hanno allarmato alcuni osservatori occidentali, che hanno riconosciuto un’avvisaglia di uno scontro a breve termine.

Di fatto, la Repubblica popolare ha abbracciato un trend di crescita delle spese per il comparto militare. Per il 2023 ci si aspetta un aumento del 7,2%, più dell’aumento del 7,1% dell’anno precedente. Come fatto più volte dallo stesso Xi Jinping, a inizio delle due sessioni Li Keqiang ha avvisato l’Esercito popolare di liberazione della necessità di aumentare la sua “prontezza a combattere”, nell’ottica di concludere nel 2027 la fase di ammodernamento militare lanciata nel 2015. Come in altre occasioni, il leader ha esortato le forze armate a diventare una “grande muraglia d’acciaio”, capace di salvaguardare la sicurezza e gli interessi di sviluppo della nazione.

Ma ai toni più espliciti nei confronti di Washington si è affiancata quella che Lorenzo Lamperti nella rubrica Taiwan Files ha definito una “posizione cauta sulla politica di Taiwan”. Pechino ha cercato “di sminuire le speculazioni secondo cui l’isola potrebbe diventare la prossima Ucraina”. Pur facendo riferimento agli “incessanti” sforzi di promuovere la “riunificazione” di Taipei alla “madrepatria”, Xi ha menzionato una “soluzione pacifica”, evitando i toni aggressivi usati in altre occasioni.

Foto di copertina EPA/VLADIMIR ASTAPKOVICH / SPUTNIK / KREMLIN POOL MANDATORY CREDIT

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