In un contesto in cui i risultati delle elezioni del Parlamento europeo confermano la prevista avanzata delle destre, ma anche la sostanziale tenuta della coalizione tra popolari, socialisti e liberali, in Italia l’esito di queste elezioni ci consegna alcune conferme ma anche qualche sorpresa. Soprattutto, il tasso di partecipazione al voto di circa sei punti inferiore a quello del 2019, anche se in linea con la media europea, testimonia un fenomeno diffuso di disaffezione verso la politica e di scarso entusiasmo per una consultazione elettorale che viene vissuta come troppo lontana dalle preoccupazioni dei cittadini.
Vincitori e vinti delle Europee in Italia
Sul fronte dei partiti del centro-destra, queste elezioni fanno registrare l’innegabile successo di Fratelli d’Italia e quello personale di Giorgia Meloni, che supera di circa tre punti il risultato delle politiche del 2022 e si conferma di gran lunga come il partito leader della coalizione che sostiene il governo. Buona anche la prestazione di Forza Italia, che diventa il secondo partito della coalizione, con un risultato che premia la scelta di collocarsi come forza politica moderata, saldamente ancorata alla famiglia dei popolari europei e a sostegno di una linea coerentemente europeista. La Lega riesce a contenere i danni e mantiene più o meno le posizioni delle politiche, ma in larga misura grazie alla scelta di presentare, con un calcolo molto strumentale, un candidato a dir poco discutibile e controverso, in larga misura estraneo alla linea del partito e poco gradito alla sua dirigenza. In sintesi, il risultato delle elezioni europee premia e rafforza la coalizione di governo a differenza di quanto verificatosi in altri importanti Paesi europei. Ne esce consolidata la prospettiva di un governo stabile e destinato a durare per l’intera legislatura.
Sul fronte delle opposizioni, il risultato delle elezioni premia il Partito democratico e la sua segretaria, Elly Schlein, con un esito che è andato oltre le più ottimistiche previsioni, che conferma il partito come la formazione politica più forte nel campo delle opposizioni e che lascia intravedere una prospettiva di ritorno a uno schema di bipartitismo all’italiana. Le elezioni hanno infatti segnato una pesante sconfitta del Movimento Cinque Stelle, su cui ha pesato una campagna elettorale incolore, tutta focalizzata su generici appelli alla pace, e liste con candidati poco noti e di scarso “appeal”. Clamorosa (e meritata) è stata anche la sconfitta dei due presunti leader centristi, Renzi e Calenda, e delle rispettive formazioni politiche. Entrambi troppo concentrati sulle loro rivalità per scegliere l’unica opzione praticabile, quella di una lista comune, con il risultato di disperdere i loro voti (complessivamente più del 7%) a favore di altre liste. Degno di nota invece, anche perché inatteso, il successo relativo di Alleanza Verdi e Sinistra, una formazione politica i cui leader hanno al contrario fatto tesoro della lezione più semplice in politica che uniti si vince.
Da questi dati emerge che l’Italia è forse l’unico tra i grandi Paesi in Europa dove chi governa ha rafforzato il proprio consenso. A differenza della Francia, dove la pesante sconfitta di Macron e della sua formazione politica ha costretto il Presidente a decidere di sciogliere il Parlamento e convocare elezioni anticipate (con tutte le incognite del caso in un Paese che si accinge a ripetere l’esperienza di una difficile coabitazione). A differenza della Germania, dove la prestazione più che modesta della coalizione che sostiene il governo – composta da socialisti, verdi e liberali – , la buona prestazione dei popolari delle CDU/CSU (oggi all’opposizione) e, soprattutto, il successo clamoroso e inquietante di Alternative für Deutschland, lasciano presagire un esecutivo debole e in ulteriore difficoltà fino alla fine della legislatura. E, infine, a differenza della Spagna, dove i socialisti di Sanchez sono riusciti a far registrare un buon risultato, ma si attestano comunque come il secondo partito dopo i popolari, con tutte le difficoltà del caso per un esecutivo che già si trovava a governare un Paese diviso sulla controversa questione della legge di amnistia per i separatisti catalani.
Una vittoria relativa per la destra
In Italia non si prevedono difficoltà sul fronte interno per il governo dopo che la coalizione che lo sostiene in Parlamento e la leadership di Giorgia Meloni ne sono uscite rafforzate dalla consultazione elettorale. Per Meloni sarà invece più difficile gestire al meglio questo successo in Europa. È vero infatti che i partititi di destra in Europa complessivamente si rafforzano, ma con risultati non omogenei nei vari paesi membri. Soprattutto, è anche vero che questi partiti non hanno piattaforme completamente convergenti, anzi su alcuni temi sono profondamente divisi. Infine, il relativo successo del gruppo dei Conservatori e Riformisti è stato in parte compensato dal relativo insuccesso del gruppo di Identità e Democrazia.
Se, come sembra più che probabile, la coalizione composta dai tre partiti più tradizionalmente europeisti – popolari, socialisti e liberali – dovesse continuare a godere nel Parlamento europeo di una maggioranza relativa sufficientemente confortevole – perlomeno per l’elezione del prossimo/a Presidente della Commissione –, per Meloni si porrebbe la difficile scelta se concorrere, prima in Consiglio europeo e successivamente al Parlamento europeo, alla scelta del prossimo Presidente della Commissione. Se volesse effettivamente far prevalere l’interesse nazionale su considerazioni di schieramento politico, avrebbe il massimo della convenienza a sostenere la Von der Leyen – oggi la candidata più forte, anche per effetto dell’indebolimento di Macron e di Scholz –, allo scopo di mantenere un rapporto collaborativo con la prossima Commissione e ottenere un portafoglio di peso per il commissario italiano.
Sul fronte delle opposizioni, il successo del Partito Democratico, combinato con il crollo dei Cinque Stelle e la conferma dell’irrilevanza del cosiddetto terzo polo, non sono destinati ad avere un impatto immediato in Europa. In Italia questo successo rafforza però la leadership della Schlein su un partito che l’ha finora vissuta come un corpo estraneo. Soprattutto rilancia, in chiave diversa rispetto alla vigilia delle elezioni, il tema delle alleanze per le prossime consultazioni elettorali dove, a differenza che in questa occasione, saranno determinanti. Accantonata ogni velleità di Conte e dei Cinque Stelle di assumere la guida politica di un ipotetico fronte unito delle opposizioni, toccherà prevedibilmente alla Schlein il compito ingrato di ricomporre a unità una galassia di formazioni politiche finora soprattutto impegnate a far valere le rispettive identità e le contrapposte differenze.
Tutto questo in un contesto in cui l’Unione europea esce complessivamente indebolita da queste elezioni. Non solo e non tanto per il successo relativo dei partiti di destra più o meno nazionalisti o sovranisti. Quest’ultimi restano infatti divisi fra di loro, ma pur sempre uniti nel chiedere meno Europa e nel resistere a tentativi di conferire all’Ue responsabilità che sarebbero necessarie in una congiuntura internazionale che, per molti aspetti, richiederebbe un maggiore protagonismo dell’Europa. Tuttavia, questi partiti nazionalisti, e in sostanza anti-europei, proprio in Francia e in Germania hanno ottenuto un risultato che destabilizza i due rispettivi governi, e rende più problematica una loro assunzione di responsabilità in Europa. Tutto ciò avviene proprio in una congiuntura in cui ci sarebbe bisogno come non mai di leadership nazionali forti, autorevoli e impegnate a sostegno del progetto europeo.