Un quadro complesso grava sull’Europa

Il 2025 si apre per l’Europa in un contesto complicato da una serie di fattori. Sul fronte internazionale, nell’attesa di un’iniziativa del nuovo Presidente americano, l’esito della guerra in Ucraina resta incerto. I nodi da sciogliere, oltre alla questione del futuro assetto dei territori ucraini occupati dalle truppe russe, riguardano lo status dell’Ucraina nella fase del dopo-conflitto, la questione delle garanzie di sicurezza, il tema della ricostruzione e dei suoi costi. Sembra comunque inevitabile che l’Europa sia chiamata ad assumersi maggiori responsabilità su tutti questi fronti. Nell’ipotesi infatti che Trump riesca ad avviare se non una soluzione politica del conflitto perlomeno una cessazione delle ostilità (e soprattutto che Putin sia disponibile in questo senso), gli europei saranno sicuramente chiamati a fare la loro parte, molto più di quanto non stiano facendo ora.

La ripresa del conflitto israelo-palestinese a seguito degli attentati del 7 ottobre 2023 ha ormai assunto le caratteristiche di un conflitto regionale nel quale Israele sta vincendo su più fronti e sta di fatto ridisegnando la mappa degli equilibri nella regione. Anche a costo di un pressoché totale isolamento diplomatico, che peraltro non sembra preoccupare minimamente la dirigenza israeliana. Ma permane il rischio che, con la soluzione del dilemma della sicurezza di Israele affidata unicamente allo strumento militare, la regione si avvii nel medio periodo auna situazione di instabilità permanente con conseguenze anche sulla sicurezza dell’Europa.

La competizione strategica e globale fra Usa e Cina sembra destinata a persistere anche con Trump alla Casa Bianca, malgrado la prudenza con cui il nuovo presidente americano ha finora affrontato il tema. Anche l’Europa, in parte per convinzione in parte perché sollecitata dagli Usa, dovrà quindi continuare a gestire un rapporto difficile con la Cina, cercando di declinare la linea del “de-risking” senza scontentare l’alleato americano, ma anche senza compromettere interessi europei.

Su questo quadro già complesso per l’Europa grava poi l’incognita di dover fare i conti con un Presidente nuovo americano non particolarmente interessato al rapporto con l’Europa, scarsamente propenso a valorizzare alleanze e istituzioni internazionali, con un’inclinazione all’isolazionismo e che attuerà la sua agenda di politica estera con un approccio transazionale e sulla base di una puntigliosa difesa degli interessi americani. E con richieste pressanti agli europei di spendere di più per la loro difesa, di accollarsi maggiori oneri per l’assistenza all’Ucraina e di ridurre drasticamente il surplus commerciale.

Sul fronte interno l’Europa deve a sua volta fare i conti con un contesto economico caratterizzato da una crescita complessivamente debole, dal persistente impatto della instabilità geopolitica e dal rischio di un rallentamento del commercio internazionale (anche come conseguenza di nuove misure protezionistiche). Senza contare che il peso specifico dell’Europa negli equilibri globali appare ridotto e ridimensionato. Questo emerge sia misurando il PIL europeo come quota del PIL mondiale, sia considerando la popolazione europea rispetto a quella del pianeta, sia valutando la partecipazione dell’Europa al commercio internazionale. Sia infine che si assuma come termine di confronto la capacità di innovare e sviluppare tecnologie strategiche, o di stare al passo in termini di competitività con i maggiori concorrenti dell’Europa.

Per l’Europa il 2025 si apre quindi innegabilmente in un contesto complicato. Ma l’Ue, almeno sulla carta, ha un suo programma di lavoro. Esso include una strategia per un recupero di competitività, una politica industriale che consenta maggiore sicurezza economica e riduzione delle dipendenze strategiche, la riaffermazione dell’impegno sulla transizione energetica – da coniugare con sicurezza energetica, riduzione dei costi dell’energia e compensazioni dei costi sociali dei processi di de-carbonizzazione – e progressi nel campo della difesa comune. Una strategia per la quale l’Ue ha oggi a sua disposizione una lista di misure di attuazione illustrate nei rapporti di Mario Draghi (sulla competitività), di Enrico Letta (sul completamento del mercato interno) e dell’ex presidente finlandese Niinisto (sulla difesa).

È un programma su cui la nuova Commissione ha ottenuto il voto favorevole del Parlamento europeo e che in linea di principio è condiviso dai Paesi membri. Ma sul futuro dell’Europa permangono numerose incognite. Il quadro politico complessivo in Europa resta diviso e polarizzato. Come conseguenza le posizioni dei governi restano divergenti su numerosi e decisivi aspetti specifici di questa strategia. Le complessità dei processi decisionali, che restano pesantemente condizionati dalle divergenze di sensibilità nazionali, non consentono all’Ue di decidere rapidamente anche quando le circostanze lo richiederebbero. E la debolezza della situazione interna in Francia e Germania, i due Paesi europei tradizionalmente leader in Europa, che potrebbe condizionare negativamente la capacità dell’Ue di rispondere alle sfide. Resta però da constatare che in passato l’Ue è cresciuta nelle crisi e grazie alle crisi. Il 2025, con le sue complessità, potrebbe essere un test ulteriore su cui misurare la validità della profezia di Jean Monnet.

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