L’Ungheria di Viktor Orbán ha manifestato grande ostilità verso il contenuto del sesto pacchetto di sanzioni dell’Unione europea contro la Russia. Appena presentata da Ursula von der Leyen, la proposta ha provocato la reazione negativa del governo ungherese che ha minacciato il veto. L’ha fatto accusando l’Ue di voler dar luogo a un embargo petrolifero che metterebbe a repentaglio la sicurezza energetica dell’Ungheria.
Il piano per un embargo ragionato
A Budapest non bastano le rassicurazioni di von der Leyen, che ha spiegato al Parlamento europeo il funzionamento di tali sanzioni. In particolare, la presidente della Commissione ha detto che il divieto di importazione di petrolio dalla Russia avverrà in modo ragionato, per evitare l’aumento dei costi dell’economia dell’Ue.
L’embargo entrerebbe in vigore fra sei mesi, quando i Paesi membri dell’Ue e le società attive nel settore energetico avranno reperito fonti alternative a quelle russe per ciò che riguarda il greggio. Nei casi dell’Ungheria e della Slovacchia i tempi dovrebbero essere ancora più lunghi: i due paesi avrebbero modo di acquistare petrolio russo fino alla fine del 2023.
Il rifiuto ungherese
Le spiegazioni della presidente della Commissione von der Leyen non hanno convinto l’esecutivo ungherese: secondo il ministro degli Esteri di Budapest, Péter Szijjártó “nella sua forma attuale il pacchetto di sanzioni dell’Ue non può essere sostenuto”; e ancora: “Non possiamo votare a favore in modo responsabile”. Per Zoltán Kovács, portavoce del governo Orbán, la proposta dell’Unione è “inaccettabile”. Inaccettabile perché, a suo parere e a parere dell’esecutivo che rappresenta, “la proposta dell’Ue va contro gli interessi ungheresi” e ha aggiunto che accettare tale proposta significherebbe “mandare in rovina l’economia ungherese”.
In effetti, i vincoli energetici fra Budapest e Mosca sono importanti: risulta che l’85% del gas che il paese riceve arrivi dalla Russia, lo stesso vale per il 64% delle importazioni di petrolio.
A inizio febbraio Orbán si è recato a Mosca per incontrare Putin: si è trattato dell’undicesimo incontro dal 2010, ossia da quando il leader ungherese è tornato al potere. Prima di partire, il premier aveva affermato di voler incrementare le importazioni di energia dalla Russia. Già l’Ungheria aveva concluso un accordo per la fornitura di 4,5 miliardi di metri cubi di gas aggirando l’Ucraina. Un’intesa valida fino al 2036 che, secondo il capo del Cremlino consente a Budapest di poter contare sull’assoluta stabilità delle forniture di gas da parte di Gazprom. Si sa, inoltre, di importanti investimenti russi in Ungheria anche nel settore nucleare e tramite Szijjártó si apprende che l’anno scorso l’interscambio fra i due paesi è cresciuto del 51%.
Orbán tra Putin e l’Ue
Per l’Ungheria si pone quindi il problema dell’approvvigionamento energetico: una situazione condivisa con la Slovacchia, la Repubblica Ceca e la Croazia di cui si conosce la grande dipendenza dal petrolio russo fornito via oleodotto. Questi paesi fanno notare quanto sia difficile sostituire queste forniture. Se il governo ungherese non si lascia convincere dalle rassicurazioni di Bruxelles, le autorità ucraine mostrano di non considerare sufficientemente valide le argomentazioni basate sul fabbisogno energetico, così il ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba sostiene che “chi si oppone all’embargo al gas e al petrolio russi è complice dei crimini commessi dalla Russia in Ucraina”.
Sul conflitto in corso gli esponenti del governo ungherese hanno avuto modo di esprimersi in numerose occasioni: prima ancora dell’intervento armato Szijjártó aveva dichiarato la preferenza del suo esecutivo per soluzioni diplomatiche anche contro ogni prospettiva di una nuova Guerra fredda. In campagna elettorale Orbán aveva ricordato la condanna, da parte del governo, dell’offensiva russa in Ucraina ma aveva anche affermato il suo impegno a tenere l’Ungheria fuori dal conflitto, un conflitto i cui costi, a suo parere, non devono essere pagati dalla popolazione ungherese.
Sono noti da tempo i suoi buoni rapporti con Putin, aspetto che costituisce motivo di aspra critica da parte dell’opposizione partitica interna e degli ambienti progressisti della società civile ungherese. L’altra accusa che gli viene mossa sul fronte interno è di aver aumentato la dipendenza energetica dalla Russia allontanando sempre più Budapest dall’Europa dei valori democratici e dello Stato di diritto.
Orbán, però, tiene incollati addosso i panni dell’“uomo di pace”, dell’unico leader politico ungherese veramente capace di tutelare gli interessi nazionali. Sostiene di comprendere la situazione dell’Ucraina ma precisa che vanno anche capiti i bisogni dei suoi connazionali.
Prospettive di cambiamento
Alla recente seduta inaugurale del parlamento emerso dal voto del 3 aprile scorso, Orbán ha annunciato che il prossimo governo ungherese presenterà dei cambiamenti rispetto a quello uscente, per poter affrontare in modo più adeguato le difficoltà di questi tempi di guerra. Quali saranno questi cambiamenti lo si saprà fra qualche settimana quando verrà presentata la lista dei ministri. Si dà, però, per scontata la conferma di Szijjártó nel ruolo di ministro degli Esteri. Alla sessione prima menzionata il presidente dell’assemblea nazionale ungherese László Kövér ha affermato che “in Europa oggi ci sono solo due leader apertamente impegnati sul fronte della pace: Papa Francesco e Viktor Orbán”.
Tornando alle sanzioni, alcuni, negli ambienti diplomatici internazionali, avanzano l’ipotesi che la presa di posizione dell’Ungheria contro il sesto pacchetto sia soprattutto tattica. Un’ipotesi dovuta al fatto che, mentre Szijjártó pubblicamente è stato molto categorico, nella stanza del Coreper l’ambasciatore ungherese non avrebbe posto veti definitivi. Potrebbe essere una manovra per prendere tempo. D’altra parte, lo stesso capo della diplomazia ungherese avrebbe aggiunto che “Budapest potrebbe concedere il suo accordo a queste sanzioni se (e solo se, ndr) le importazioni di petrolio attraverso gli oleodotti verranno esentate da ogni restrizione”. Si prevede una trattativa sempre più lunga e complessa.
Foto di copertina ANSA/ALEXEI NIKOLSKY / SPUTNIK / KREMLIN POOL MANDATORY CREDIT