Le milizie Wagner soffiano sul fuoco del caos in Burkina Faso

Il 30 settembre 2022, Ibrahim Traoré, capitano dell’esercito del Burkina Faso, ha estromesso con un colpo di Stato il tenente colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba, presidente ad interim che sua volta aveva preso il potere con un colpo di stato solo otto mesi prima. Questi due colpi di stato hanno segnato la fine del breve periodo democratico avutosi in Burkina Faso dopo il 2014-2015, quando il dittatore storico burkinabé, il presidente Blaise Compaoré, fu deposto in seguito a una rivolta popolare dopo il suo tentativo di aggirare i limiti di mandato costituzionali.

I fattori scatenanti il colpo di stato

Nel 2015, Roch Marc Christian Kaboré ha vinto le elezioni, primo presidente nella storia del Burkina Faso a ottenere la carica tramite elezioni, ed è rimasto al potere fino agli inizi del 2022, dopo essere stato rieletto nel 2020. Nei suoi anni al potere, il Burkina Faso si è gradualmente avvitato in una spirale di insicurezza causata dalla convergenza di dinamiche più propriamente regionali, come l’espansione dei gruppi legati al Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) che nel 2016 effettuarono il primo attacco nella capitale, Ouagadougou, uccidendo 30 persone, e l’emersione di una violenta insurrezione islamista nelle campagne del nord, rappresentata dal movimento Ansarul Islam.

Fondato da Malam Ibrahim Dicko, predicatore radicale fulani di Soum – una delle quattro provincie in cui si divide la regione chiamata Sahel – che tramite il richiamo al Jihad ha voluto sfidare l’ordine sociale, economico e etnico locale. Ucciso nel 2017, il fratello Jafar ne ha preso il posto. 

Queste dinamiche regionali e locali hanno posto sotto un’enorme pressione gli apparati di sicurezza del Burkina Faso, dimostrandone da un lato la fragilità, e dall’altro rafforzando divisioni e crepe di lungo periodo che Kaboré non era riuscito a risolvere. Inoltre, lo scontro tra stato e jihadisti si è radicalizzato sempre di più anche perché sono nati svariati gruppi di combattenti volontari e milizie legate allo stato che hanno contribuito a un’ulteriore radicalizzazione dello scontro: dai gruppi di autodifesa legalizzati come i “Volontari per la Difesa della Patria” nati nel 2017, fino alla creazione di unità chiamate “cobra” dedicate alla lotta contro i gruppi terroristici apparse nel 2020. 

Il ruolo del gruppo Wagner

In questo contesto, su Telegram, Yevgeniy Prigozhin, l’oligarca russo vicino alla cerchia ristretta del presidente Vladimir Putin e capo del gruppo Wagner, ha affermato che la presa di potere di Traoré “era necessaria” descrivendo Traoré come “un figlio… degno e coraggioso della sua patria” rimarcando come i problemi di sicurezza che stanno distruggendo le nazioni del Sahel e dell’Africa occidentali siano in ultima analisi lascito e responsabilità dell’eredità e dell’egoismo imperiale occidentale, nella fattispecie francese. All’indomani della defenestrazione di Damiba, sostenitori del colpo di stato hanno mostrato alcune bandiere russe nella capitale Ouagadougou

Tale presenza pone naturalmente una questione: c’è un’influenza e un legame diretto tra la Russia e i nuovi golpisti in Burkina Faso? Difficile dare una risposta univoca e definitiva, ma probabilmente la risposta è no: non c’è un legame diretto, una dinamica di azione-reazione tra i desiderata russi e le conseguenti dinamiche in Burkina Faso. I problemi e le dinamiche interne al paese, in particolar modo le fratture profonde esistenti tra le forze di sicurezza, la pressione derivante dalle capacità militare dei gruppi jihadisti e il totale caos securitario in cui il paese si trova oramai da anni sono le cause profonde di questo nuovo colpo di stato. 

Può la Russia trarre vantaggio dal colpo di stato?

In questo contesto, la questione da porsi in realtà è diversa: può la Russia, o alcuni dei suoi attori – non necessariamente rappresentanti “ufficiali” dello Stato russo, esattamente come Wagner – trarre vantaggio da questa situazione? In questo caso la risposta è si, e segue un copione che già si è visto in opera in Mali. Da questo punto di vista, il Burkina Faso ha una situazione pressoché simile a quella maliana, sia in termini di contesto che in termini di valore per Mosca. Da un lato, è ricco di risorse minerarie; con giacimenti d’oro – di cui è produttore di livello mondiale – zinco, rame e manganese che lo rendono un obiettivo di assoluto interesse per Mosca.

Dall’altro, è un paese preda di una oramai cronica instabilità, con una fragilità fino a pochi anni fa sconosciuta, alimentata dai gruppi jihadisti. Questa fragilità, in questi anni, ha anche alimentato un crescente sentimento anti-francese, esattamente come in Mali. Poche settimane prima dell’ultimo colpo di stato, sia il mondo della politica che il mondo della società civile avevano attaccato pesantemente l’ambasciatore francese Luc Hallade che aveva descritto la realtà del conflitto nel paese come “una guerra civile, con la popolazione che si ribella contro lo Stato per rovesciarlo”. 

In quelle settimane, Albert Ouédraogo, l’allora primo ministro che ha da poco lasciato il suo posto, aveva sottolineato come non ci fossero problemi tra i popoli burkinabé e francese, ma bensì tra i governi, sottolineando come il paese voglia “partner sinceri che vogliano davvero aiutarci ad entrare in una logica di partnership di win-win” lasciando intendere che fosse più semplice avere tali relazioni con la Cina e la Russia. Nei giorni successi al nuovo colpo di stato, voci incontrollate sostenevano che Damiba si fosse nascosto nella base nella base francese di Kamboinsin per pianificare una controffensiva, e folle inferocite hanno assaltato l’ambasciata francese nella capitale e gli Istituti francesi in Ouagadougou e Bobo-Dioulasso

Il percorso in comune tra il Mali e il Burkina Faso

Questo è il contesto dove le bandiere della Russia hanno fatto la loro apparizione nelle strade di Ouagadougou e altrove. La situazione del Burkina Faso ha moltissime similitudini con quella del Mali, dove i mercenari di Wagner sono attivi oramai da mesi, sfruttando la tensione esistente tra la giunta maliana e la Francia e il susseguente ritiro francese.

Osservando queste dinamiche, è possibile cogliere l’esistenza di un metodo che la Russia sta applicando in Africa. Non avendo le risorse economiche di altri attori impegnati nel continente, come la Cina ad esempio, cerca di rafforzare la propria presenza in un teatro visto come sempre più importante nelle dinamiche multipolari globali sfruttando determinate opportunità.

In tal senso, c’è un legame diretto tra le questioni di sicurezza legate alla lotta contro l’espansione dei movimenti jihadisti e il confronto multipolare, in particolar modo con americani ed europei: le fragilità di molti di questi paesi vengono sfruttati da Mosca, sia attraverso l’informazione, la propaganda e campagne mirate sui social network sia con la presenza di gruppi paramilitari come Wagner.

Il Mali rappresenta probabilmente il caso, ad oggi, più chiaro ed eclatante di tale strategia, ma il Burkina – come osservato in precedenza – ha delle caratteristiche che lo rendono un terreno fertile per ripetere qualcosa di simile.

Foto di copertina EPA/ASSANE OUEDRAOGO

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