Il piano della Commissione per i rifugiati ucraini senza solidarietà tra Stati

La risposta dell’Ue allo sfollamento in corso dall’Ucraina è stata diametralmente opposta rispetto al solito, un dato da accogliere in modo positivo. Per illustrare il nuovo approccio  dell’Unione europea, nella riunione straordinaria del 28 marzo, il consiglio Giustizia e affari interni (Justice and Home Affairs Council, Jha) ha approvato un piano in 10 punti elaborato dalla Commissione, che contiene misure volte principalmente a supportare l’accesso per favorire la protezione dei rifugiati.

Sembra che ci sia stata persino una competizione tra la presidenza francese e la Commissione su quale piano di accoglienza doveva essere presentato agli Stati membri. Una risposta che non potrebbe essere più lontana dal piano del Consiglio sui rifugiati provenienti dall’Afghanistan nel 2021, che aveva concentrato tutti gli sforzi sulla prevenzione degli arrivi.

I punti nel piano della Commissione europea

Il piano in 10 punti è incentrato sul consolidamento e sulla costruzione del ruolo dell’Unione europea per accogliere i rifugiati dall’Ucraina.

Ciò include il coordinamento dell’Ue su: (1) una piattaforma per la registrazione e (2) un approccio europeo ai trasporti e ai centri di informazione; il sostegno europeo per: (3) una mappatura della capacità di accoglienza, (5) delle linee guida comuni sull’accoglienza dei minori, (6) un piano comune contro il traffico di persone, (9) la gestione delle minacce alla sicurezza, (10) dei finanziamenti dell’Ue con procedure semplificate. Vi è anche (7) il coinvolgimento dell’Ue a livello internazionale con il sostegno alla Moldavia e (8) l’uso della piattaforma di solidarietà dell’Ue per indirizzare i rifugiati verso destinazioni sicure al di fuori dell’Ue.

Va sottolineato che il piano è solo l’ultimo di una serie di documenti a cui la Commissione ha lavorato, including la Communication, l’orientamento sulla situazione alle frontiere e le linee guida sull’attuazione della Direttiva sulla protezione temporanea (Dpt), a seguito del riuscito sforzo della Commissione nel persuadere gli Stati membri ad attivarla.

L’Ue in prima linea

L’immagine è quella di una Commissione attiva e determinata che vuole che l’Ue abbia un ruolo primario: anche per quanto riguarda il punto 4, sullo sviluppo di piani di emergenza nazionali, che si concentra principalmente sull’azione degli Stati membri, ci sono responsabilità dell’Ue. Ci sarà un piano di emergenza europeo e un “Indice Ue” per il quale tutti gli Stati membri e le organizzazioni internazionali dovranno fornire informazioni. Nel piano in 10 punti, oltre alla Commissione, ci sono riferimenti a quattro agenzie dell’Unione, un coordinatore dell’Ue, un indice dell’Ue, due piani dell’Ue e tre piattaforme dell’Ue.

Ci sono due elementi importanti da evidenziare. In primo luogo, che l’Unione europea è fortemente determinata a ricoprire un ruolo principale nella risposta alla guerra in Ucraina. Ciò riflette la portata e la vicinanza della crisi, ma può anche essere collegato all’esperienza della commissaria Johansson. Nel 2015/2016, Johansson è stata ministro dell’Occupazione e dell’integrazione quando la Svezia ha ricevuto il maggior numero di richiedenti asilo, in rapporto alla dimensione della popolazione, rispetto a qualsiasi Stato membro dell’Ue. Il paese si era sentito abbandonato dall’Unione e dai suoi concittadini. Ora bisogna evitare che lo scenario si ripeta.

Il secondo elemento fondamentale è il contenuto del piano. Questa non è solo un’Ue determinata ad essere attiva, ma è un’Ue decisa a offrire protezione ai rifugiati. Già dal titolo del piano, la sostanza è garantire che i rifugiati ricevano protezione: è un piano per “accogliere le persone”. Si tratta di un capovolgimento delle politiche degli ultimi anni, dove tante iniziative dell’Ue e della Commissione si erano concentrate in particolare sulla limitazione della protezione in Europa creando ostacoli all’accesso al territorio o alle procedure di asilo, o in modo da ridurre le prospettive di una decisione di protezione o in maniera da privare le persone dai diritti connessi alla protezione. È il linguaggio che cambia: qui i rifugiati sono “persone”; in tutti i documenti dello scorso anno sulla Bielorussia e sugli eventi in Afghanistan, il termine “persone” era accuratamente evitato, “loro” erano “migranti”.

Il motivo con cui veniva spiegato l’approccio restrittivo si basava sul fatto che era “ciò che volevano gli Stati membri”. La differenza nell’attuale crisi è che la Commissione, in maniera risoluta, sta riscoprendo il ruolo che le è stato conferito dai Trattati prendendo l’iniziativa e spingendo, incoraggiando e perfino obbligando gli Stati membri a fare meglio.

Nessun obbligo sulla solidarietà 

Nonostante gli ottimi punti presenti nel piano, c’è una grande omissione: non ha senso parlare di solidarietà all’interno dell’Ue, perché ciò riflette la mancanza di accordi su un meccanismo di solidarietà obbligatorio o anche più formalizzato per sostenere una distribuzione più equilibrata delle persone attraverso gli Stati membri. Mentre l’Ue gestisce la piattaforma di solidarietà, aperta a offerte di ogni tipo di solidarietà, la domanda è se siano necessari più trasferimenti di rifugiati dai Paesi ai confini dell’Ue, visti i numeri straordinari di persone che stanno accogliendo (oltre 2,5 milioni in Polonia; 800mila sia in Romania che in Ungheria).

Il ministro degli Interni tedesco ha espresso pubblicamente rammarico per l’assenza di un meccanismo di solidarietà vista la quantità di persone che si recheranno in Germania. C’è anche una nuova discussione che rientra in un più ampio e lungo dibattito, proprio sul meccanismo di solidarietà: il Paese più bisognoso in questo momento è la Polonia, notoriamente contraria a fornire solidarietà agli altri e particolarmente resistente alla solidarietà sotto forma di ricollocazione e alla solidarietà obbligatoria.

Il ruolo della Polonia

Mentre è ammirevole che la Polonia stia ospitando così tanti rifugiati – e c’è un forte desiderio da parte di molti ucraini di rimanere il più vicino possibile al loro paese – c’è anche il sospetto, a Bruxelles, che la Polonia non chieda maggiore solidarietà, per quanto riguarda la ricollocazione dei rifugiati, per motivi “sbagliati”. Potrebbe essere che non voglia ridurre il suo potere nel più ampio dibattito sulla condivisione delle responsabilità e in relazione alle riforme legislative chiedendo, avendo bisogno e facendo affidamento sulla solidarietà degli altri? Qualunque sia la verità della questione, la situazione è critica ed è importante che le persone vadano avanti, anche se ciò si ottiene solo attraverso l’incoraggiamento e l’invito. Nel frattempo, anche altri Stati membri e i paesi al di fuori dell’Ue si stanno aprendo ad accogliere le persone, impegnandosi ad accettare numeri di rifugiati prima impensabili (nel caso del Canada un numero “illimitato”).

Proprio per capovolgere ciò che è successo negli ultimi anni, il piano in 10 punti cercherà di sostenere, e persino facilitare, il trasferimento dei rifugiati dai Paesi in cui sono arrivati. È auspicabile che ci si riesca, anche in assenza di concreti meccanismi di solidarietà. L’equa distribuzione geografica delle responsabilità all’interno dell’Europa sarà la chiave per una risposta efficace.

Foto di copertina EPA/ATEF SAFADI

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