Il nuovo Decreto Missioni

Il lancio o la conferma di missioni internazionali da parte dell’Italia avviene tramite la legge n. 145 del 2016, all’epoca una buona normativa che colmava un vuoto legale a fronte di un impiego di militari all’estero regolarmente nell’ordine delle 7-12.000 unità sin dagli anni Novanta. A otto anni di distanza, in un quadro strategico segnato dalla guerra in Ucraina e dalla conflittualità nel Mediterraneo allargato, è utile e necessario aggiornare il quadro giuridico che regola il processo decisionale tra governo e Parlamento, per rendere il Paese maggiormente in grado di proteggere e promuovere i propri interessi nazionali.

È infatti aumentato il tasso di imprevedibilità e accelerazione di tensioni e crisi, che possono prendere diverse direzioni in modo estremamente fluido e sorprendente. L’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 ha sorpreso Israele; la portata della risposta israeliana ha sorpreso gli Stati Uniti; gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso hanno sorpreso la comunità internazionale, che ha reagito con le missioni Prosperity Guardian e Aspides; infine, l’escalation tra Teheran e Tel Aviv ha colto di sorpresa l’Europa. È quindi necessario e opportuno migliorare questo procedimento per mettere in grado l’Italia di rispondere più efficacemente a imprevedibilità, accelerazioni e fluidità di tensioni e crisi.  

L’importanza delle missioni italiane

In particolare, il Mediterraneo allargato rappresenta l’area prioritaria di intervento delle forze armate italiane, comprendendo Europa continentale, Nord Africa, Sahel, Corno d’Africa e Medio Oriente. Questa zona non vede una cornice regionale di sicurezza forte e omnicomprensiva, a differenza ad esempio dell’area euro-atlantica protetta dalla Nato, ed è quindi fortemente segnata dal bilateralismo, da alleanze a geometria variabile e cambi di allineamento. Di fronte a ciò, l’Italia nell’ultimo decennio ha giustamente aumentato numero, importanza e consistenza delle missioni bilaterali, ad esempio in Libano, Libia, Niger e Somalia. Gestire una missione bilaterale pone, tuttavia, la completa responsabilità politica e militare sulle spalle del Paese, senza la cornice fornita da Onu, Nato, Ue o da coalizioni ad hoc. Tale responsabilità richiede un approccio mirato rispetto al partner, la flessibilità di far evolvere la missione in termini qualitativi e quantitativi e la tempestività nell’attuare gli accordi e passare dalle parole ai fatti: un aggiustamento, dunque, del processo di autorizzazione delle missioni che lo renda più snello, efficiente e rapido. 

Fermo restando il suddetto bilateralismo, l’Ue può e deve giocare un ruolo più incisivo per la sicurezza e stabilità regionale, come dimostrato dalla crisi nel Mar Rosso e il lancio di Aspides a febbraio 2024 è stato un esempio importante al riguardo. L’Unione in questo caso ha accelerato sul piano politico e militare, anche su meritoria spinta di Roma, ma l’Italia a sua volta ha faticato a tenere il passo europeo quanto a processo decisionale interno tra febbraio e marzo. Un adattamento dell’approccio italiano alle missioni all’estero aiuterebbe il Paese a esercitare una leadership in ambito Ue sul Mediterraneo allargato che è sempre più urgente e importante. 

Vi è, infine, un dato strutturale sempre più significativo: negli ultimi 35 anni l’Italia ha partecipato a un totale di oltre 135 missioni, di cui 36 oggi in corso. Il decreto missioni 2024 prevede 12 mila unità di personale massimo e 7.895 unità in media impiegate all’estero, per un investimento totale di 1,5 miliardi di euro. Le missioni militari all’estero sono uno strumento fondamentale della politica di difesa e sono molto importanti per la politica estera e, in generale, la proiezione esterna del sistema-Paese. Politicamente, è un investimento in termini militari, economici e soprattutto di rischio per il personale in divisa, che genera un certo ritorno per gli interessi nazionali: più questo investimento è credibile ed efficace, maggiore è il ritorno. Al contrario, se il processo decisionale non è abbastanza tempestivo, flessibile ed efficiente, il ritorno dell’investimento è minore. 

Il nuovo disegno di legge

Tutti questi fattori depongono a favore di un aggiornamento dell’approccio italiano alle missioni all’estero, e il disegno di legge in discussione in Parlamento va in questa giusta direzione. In primo luogo, l’articolo 1 introduce una maggiore flessibilità nell’utilizzo degli assetti e delle unità di personale all’interno di missioni appartenenti alla medesima area geografica. Qualcosa che potrebbe avvenire, ad esempio, nei Balcani tra Kosovo e Bosnia, sul fianco orientale Nato, in Iraq tra la missione nazionale e quella Nato cui partecipa l’Italia, e nel Sahel. 

Inoltre, l’articolo 2 consente di pre-individuare forze ad alta e altissima prontezza operativa da impiegare all’estero al verificarsi di crisi o situazioni di emergenza. Si prevede che anche nell’ipotesi di impiego in via di urgenza di queste forze la deliberazione del governo venga comunque trasmessa alle Camere, le quali, entro cinque giorni e con appositi atti di indirizzo, ne autorizzano l’impiego o ne negano l’autorizzazione.

Infine, la semplificazione della procedura per la ripartizione delle risorse tra le varie missioni all’estero, prevista dal disegno di legge, serve per rendere più snello il processo di assegnazione dei fondi alle singole missioni, il cui arrivo spesso ritardato negli anni scorsi creava problemi non indifferenti in termini di operatività. Nel complesso, un adeguamento della normativa al quadro strategico che mantiene una dialettica efficace tra governo e Parlamento. 

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