Un nuovo multilateralismo per combattere la crisi climatica

Tradizionalmente le relazioni internazionali si sono basate sul principio di sovranità ed indipendenza degli Stati, che hanno interagito tra di loro attraverso un sistema di diplomazia multilaterale che è emerso in Europa a partire dalla fine delle Guerre Napoleoniche, e che si è diffuso a livello Globale durante il XX Secolo.

La comparsa di fenomeni qualitativamente differenti, di carattere transnazionale e globale, ha messo fortemente in crisi l’efficacia di un sistema basto sul postulato di centralità dello Stato sovrano ed indipendente, mosso da interessi egoistici, e capace di agire su base territoriale. Come affermano Hale ed Held nel loro Handbook of Transnational Governance, “non possiamo continuare ad affidarci alla tecnologia istituzionale del XVII Secolo per fronteggiare le sfide del XXI Secolo”.

L’effetto crisi climatica sulle relazioni internazionali

In questo contesto, la crisi climatica ed ambientale risulta essere il fenomeno transnazionale e globale per antonomasia. Infatti, come già aveva intuito George Kennan nel lontano 1970, “l’intera ecologia del pianeta non è strutturata in compartimenti stagni”, per cui l’esistenza di un sistema di governance climatica che ruoti attorno alla centralità degli Stati sovrani risulta inattuale ed inefficace.

La sfida di identificare un’architettura istituzionale climatica che possa venir meno alle logiche del tradizionale multilateralismo è stata accettata da ricercatori quali Bäckstrand, Kuyper, Linnér e Lövbrand, che nel 2017 hanno sviluppato il concetto di multilateralismo ibrido. Prima definito come “un’euristica per catturare la crescente interazione tra stati ed attori non statali nel contesto della cooperazione climatica internazionale”, poi come un “anello di congiunzione tra le tradizionali negoziazioni multilaterali e la nuova orda di attori non statali”, ed infine come “una forma di cooperazione di diversi attori su diversi livelli”, il concetto di multilateralismo ibrido risulta particolarmente adeguato a conciliare l’attuale sistema stato-centrico di governance climatica con l’esigenza di integrare ed assegnare un ruolo formale ad attori per natura trans-nazionali (organizzazioni non governative, comunità epistemiche, società multinazionali).

Il ruolo degli attori non statali

I fautori del concetto di multilateralismo ibrido intravedono nell’entrata in vigore dell’Accordi di Parigi le origini di questa nuova forma di multilateralismo. Generalmente ricondotti all’architettura bottom-up del trattato del 2015 (che lascia le Parti libere di identificare i propri contributi nazionali per il raggiungimento dell’obiettivo globale di risultato), elementi di multilateralismo ibrido possono essere identificati anche nel riconoscimento formale, da parte dall’Accordo di Parigi, del ruolo degli attori non statali, e nella creazione di meccanismi e disposizioni che, de facto, sarà più facile implementare grazie all’intervento di attori non statali (si considerino, inter alia, la disposizione sul capacity-building, il quadro sulla trasparenza, ed il meccanismo di compliance).

Detto ciò, sarebbe difficile ad oggi sostenere che un sistema climatico multilaterale ibrido sia pienamente operativo. Infatti, nonostante il crescente ruolo giocato dagli attori non statali nel sistema di governance climatica, è tuttora ravvisabile uno squilibrio nella divisione di poteri tra attori non statali e Stati a favore di questi ultimi. In particolare, sono ancora gli attori statali ad avere il monopolio formale nei meccanismi di decision-making e policy-making.

La nuova governance climatica

Ad ogni modo, l’incompiutezza di un sistema non ne decreta la totale assenza. Infatti, le definizioni esistenti di multilateralismo ibrido sono particolarmente aperte e flessibili (questo implica che un sistema multilaterale ibrido possa concretizzarsi sotto diverse forme, più o meno compiute, e possa eventualmente evolvere nel tempo); inoltre, gli autori che fino ad oggi più si sono soffermati sullo studio di sistemi multilaterali ibridi descrivono l’attuale sistema di governance climatica come una manifestazione non del tutto compiuta, ma ancora embrionale, di sistema multilaterale ibrido.

Evidentemente, quello di multilateralismo ibrido dovrebbe essere inteso come un ideale verso cui tendere, mentre l’attuale sistema di governance climatica andrebbe concepito come singolo anello di una più lunga catena che potrà portare, nel tempo, ad un rafforzamento della posizione formale giocata dagli attori non statali, non solo nei processi di trasparenza, applicazione ed esecuzione degli obblighi climatici internazionali, ma anche in fase di iniziativa legislativa.

COP 27 e strategie di adattamento

Sarà fondamentale, quindi, osservare con attenzione i futuri processi negoziali svolti nel quadro dell’UNFCCC e comprendere se una parziale (ma formale) devoluzione di competenze e responsabilità degli Stati verrà effettuata a favore degli attori non statali, con conseguente integrazione di questi ultimi nel sistema di governance climatica. In questo contesto, novità importanti potrebbero già emergere durante la prossima COP (COP 27) che si terrà tra il 7 Novembre ed il 18 Novembre 2022 a Sharm El-Sheikh (Egitto). Di fatti, la COP 27 si focalizzerà principalmente sull’implementazione di misure relative ad ‘adattamento’ e ‘loss and damage’, che richiedono un coinvolgimento considerevole di attori non statali, quali amministratori locali, organizzazioni non governative, piccole e medie imprese, e popolazione autoctona per essere efficacemente disegnate ed implementate.

La partecipazione di attori non statali ai processi di adattamento è infatti necessaria non solo in caso di ‘adattamento passivo’ (ad esempio nel caso del trasferimento di popolazione da località balneari verso territori interni in caso di innalzamento del livello del mare), ma anche nelle fasi di ‘adattamento pianificato’ (opere di riforestazione, efficientamento delle reti idriche, imbiancamento di strade ed edifici pubblici). Inoltre, le politiche di adattamento possono essere particolarmente problematiche a causa della loro interazione, non sempre positiva, con le politiche di mitigazione (si pensi all’installazione e all’utilizzo massiccio di climatizzatori per far fronte alle ondate di calore), e l’intervento di stakeholders locali è reso ancor più urgente dal fatto che ‘le conseguenze del cambiamento climatico mutano drammaticamente a seconda della regione considerata’, per cui ogni politica di adattamento deve essere inerente al contesto locale.

Evidentemente, la COP 27 rappresenterà un’importante occasione per il rafforzamento del ruolo svolto dagli attori non statali nel sistema di governance climatica globale. Sarà importante capire se i risultati della COP di Sharm El-Sheikh rappresenteranno un ulteriore rafforzamento del sistema climatico multilaterale ibrido o, al contrario, andranno nella direzione di smantellarlo, consolidando il paradigma di centralità degli Stati sovrani anche in ambito di governance climatica.

Foto di copertina EPA/ANDY RAIN

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