I distinguo di Bruxelles

La minaccia diretta agli interessi nazionali, messi a rischio dalle attività degli Houthi contro la libertà di navigazione nel Mar Rosso, ha indotto il nostro governo a farsi parte attiva nel sollecitare una missione militare dell’Unione in quel tratto di mare. Purtroppo, i rituali e i bizantinismi dei procedimenti decisionali dell’Ue hanno consentito l’attivazione della missione con inaccettabili ritardi, se pensiamo che il primo atto ostile si può far risalire all’11 dicembre scorso e che il Consiglio ha approvato la missione il 19 febbraio.

In questo quadro, il nostro Paese ha certamente messo del suo, anche creando situazioni che non è esagerato definire imbarazzanti. Infatti, gli accordi immediatamente presi fra gli Stati maggiori prevedevano l’istituzione di un dispositivo navale al comando tattico di un ammiraglio italiano, che però ha potuto assumerlo solo alcune settimane dopo. Si è trascurato, infatti, il piccolo dettaglio che su questi temi serve un avallo parlamentare, che sarebbe stato certamente opportuno ottenere prima di farsi carico di un impegno operativo. Invece, il dibattito e l’approvazione della missione in Parlamento sono arrivati nella prima settimana di marzo. C’è di che rimanere perplessi.

La definizione di “missione difensiva”

Sugli aspetti tecnici della missione occorre peraltro avere qualche chiarimento, in primis sulla sua postura operativa: si è infatti chiaramente affermato che si tratta di una missione difensiva, ma si esclude qualsiasi attività volta a eliminare le sorgenti della minaccia, cioè le rampe da cui partono missili e droni ostili (come invece attuato dalle unità Usa e britanniche della parallela missione Prosperity Guardian). La politica dell’Unione dunque ignora che, in caso di aggressione, per difendersi esistono diverse possibilità: si possono schivare i colpi, impedire agli ordigni avversari di colpire me o coloro che voglio difendere e anche eliminare le capacità di offendere dell’aggressore, ma in ogni caso sempre di difesa si tratta. Intanto, invece, i paesi europei lasciano ad altri il compito “sporco”, salvo poi lamentarsi se viene fatto loro notare – magari anche rudemente – che per l’ennesima volta hanno fatto pagare ad altri il prezzo per la loro sicurezza. È doveroso anche chiedersi se questo distinguo barocco consentirà lo scambio di dati di intelligence e di informazioni operative tra la missione dell’Unione europea e quella angloamericana oppure se ciò verrà considerato non politicamente corretto.

La cornice tecnico-logistica della missione Aspides

Un altro aspetto di particolare delicatezza riguarda le ‘regole di ingaggio’: nel passato abbiamo purtroppo dovuto osservare che in contingenti multinazionali, in una stessa missione, ciascuna capitale dettava norme di comportamento autonome alle proprie unità. Questo ha creato non pochi mal di testa a coloro che avevano la responsabilità del comando operativo, dovendo affidare uno specifico compito alle unità di diversi paesi. C’è da auspicare che, in questo caso specifico, tali singolarità nazionali siano state superate, al fine di conseguire una totale flessibilità di impiego e che quindi le ‘regole di ingaggio’ siano state concordate in modo assolutamente uniforme per tutte le unità assegnate ad Aspides.

La postura tattica di Aspides deve anche fare i conti con alcuni problemi di carattere logistico-operativo: nave Martinengo dispone di 16 celle verticali di lancio per missili superficie-aria, la HMS Diamond ne ha 48, la tedesca Hessen ne ha 32. È quindi il caso di domandarsi quale sia la sostenibilità operativa in uno scenario dove la disponibilità di mezzi offensivi Houthi non sembra poi così risicata.

Quest’ultima osservazione solleva un altro punto molto delicato. Apparentemente gli Houthi non hanno soverchie disponibilità di rifornimento: i canali sono stati affinati durante tutti gli anni del conflitto interno che li ha impegnati anche contro le azioni di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti e le scorte logistiche appaiono al momento sufficienti per la conduzione dell’aggressione al traffico navale nell’area, tuttavia, sono indubbiamente necessari dei rifornimenti e molti di questi passeranno via mare. È lecito, pertanto, domandarsi se e in quali modi verrà attuata una qualche forma di controllo del naviglio diretto ai porti controllati dagli Houthi. Eminenti esperti di diritto navale si sono già espressi positivamente, ma bisognerà vedere se la volontà politica agirà in tal senso, soprattutto per ridurre il rischio per il personale che viene inviato a operare a difesa non solo dei nostri interessi, ma anche del rispetto delle regole del diritto internazionale.

Ultime pubblicazioni