La minaccia degli Houthi alla sicurezza internazionale

Secondo i dati del Maritime Security Centre Horn of Africa (MSCHOA), dal 19 novembre 2023 al 31 gennaio 2024,12Gli attacchi sono stati condotti utilizzando motoscafi e imbarcazioni veloci per dirottare navi mercantili, e da salve di missili e droni per colpire navi da trasporto o unità militari.

Gli effetti sono stati fulminei: in un mese, il traffico marittimo nel Mar Rosso è diminuito del 30% rispetto al mese precedente, a causa dell’aumento dei costi del trasporto marittimo. Il triplicarsi dei premi assicurativi e l’aggiunta di alcune settimane di navigazione a causa dei dirottamenti attraverso il Capo di Buona Speranza hanno creato una crisi nel sistema di connettività internazionale e nel trasporto di merci e risorse primarie da e verso l’Europa. In termini comparativi, i costi di trasporto marittimo hanno registrato incrementi così significativi da raggiungere, in poche settimane, gli stessi livelli osservati nella seconda metà del 2021, dopo più di un anno di pandemia e riduzioni nella domanda di beni.

Houthi e il Mar Rosso: sfide per il commercio mondiale

Come è possibile che si sia creata una situazione del genere in così poco tempo? La prima osservazione riguarda la natura strategica della posizione geografica dello Yemen: con una costa che domina l’ingresso del Mar Rosso attraverso lo stretto di Bab al-Mandab, il paese esercita una capacità d’influenza considerevole sulle adiacenti rotte marittime internazionali che collegano l’Asia al Medio Oriente e queste due regioni all’Europa.

Fin dal 2015, gli Houthi si sono assicurati il controllo di punti chiave della costa e si attesta la loro presenza nella zona portuale di Al Hudaydah e nelle altrettanto strategiche isole Hanish. La possibilità di utilizzare queste aree come piattaforme di lancio per attacchi diretti con tempi di preavviso limitati, in combinazione con mezzi di portata a lungo raggio come droni e missili forniti dall’Iran, ha offerto agli Houthi numerose opportunità per esercitare pressione sulle economie internazionali.

La guerra in Yemen, che vede gli Houthi impegnati a combattere da quasi un decennio contro la coalizione guidata dal governo saudita, ha permesso loro di sviluppare stretti legami con il governo di Tehran e di acquisire armi e tattiche mirate ad ottimizzare la loro posizione strategica. Infatti, già nel luglio 2018, il governo saudita aveva confermato un attacco da parte degli Houthi a una petroliera in navigazione in prossimità di Al Hudaydah, causando danni minori ma dimostrando l’intenzione di voler sfruttare il vantaggio strategico nel Mar Rosso per avanzare la loro agenda. Tuttavia, il dirottamento della nave cargo Galaxy Leader nel novembre scorso – eseguito con un’operazione di inserzione da elicottero da parte di militanti armati e seguito da tre attacchi composti da salve di missili e droni a navi mercantili –  ha rapidamente cambiato la percezione internazionale sulla natura del problema in questo corridoio marittimo, responsabile di circa il 15% del trasporto del commercio mondiale.

Fase 1: la comunità internazionale risponde con prudenza agli attacchi Houthi

Gli Houthi hanno deciso di partecipare attivamente al cosiddetto ‘asse di resistenza’ venutosi a creare nel contesto della guerra tra Israele e Hamas. In particolare, la guerra ha creato un’opportunità per mettere in evidenza l’ipocrisia dei governi arabi rispetto al conflitto e far guadagnare agli Houthi simpatie in regione, con l’obiettivo di forzare la comunità internazionale a esercitare pressione sul governo di Israele per sospendere le ostilità o, quanto meno, per ottenere un cessate il fuoco.

La risposta della comunità internazionale, guidata dagli Stati Uniti, si è inizialmente concentrata su una strategia passiva di intercettazione dei tentativi di attacco o di risposta a chiamate di intervento da parte delle navi in transito. In questa prima fase, il principale contributo si è concentrato su interventi condotti dagli incrociatori americani della classe Arleigh Burke, con il ruolo centrale delle navi USS Carney e USS Mason, impegnate a prevenire che diversi tipi di minacce aeree – inclusi alcuni missili balistici antinave – potessero raggiungere i loro obiettivi. Successivamente, navi inglesi e francesi hanno condotto simili intercettazioni.

In questa fase, la comunità internazionale intendeva dimostrare la futilità degli attacchi, nella speranza che gli Houthi cambiassero corso d’azione. La preoccupazione per il rischio di un allargamento del conflitto a livello regionale ha probabilmente influito sulla scelta di un approccio improntato alla prudenza. A livello internazionale, questa strategia è stata accompagnata da una condanna della campagna degli Houthi, culminata in una dichiarazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 19 dicembre.

Fase 2: le prime missioni contro postazioni militari Houthi

Tuttavia, i risultati poco soddisfacenti di questa prima fase hanno spinto a un cambio di strategia, annunciato agli inizi di gennaio dalla dichiarazione congiunta di 14 paesi, tra cui l’Italia. Nel documento, gli Stati partecipanti hanno evidenziato chiaramente l’inaccettabilità delle azioni degli Houthi a livello internazionale e avvertito che il continuo aumento nella frequenza e nell’intensità degli attacchi avrebbe portato a risposte più significative. In particolare, la dichiarazione lasciava margini di manovra ai membri partecipanti nello scegliere in che modo contribuire a tali misure.

Poco più di una settimana dopo e alla luce di chiari segnali che indicavano un imminente cambiamento di approccio, rafforzato dai primi attacchi diretti a navi militari americane e britanniche, i governi di Washington e Londra hanno condotto le prime missioni contro postazioni militari Houthi. Questi attacchi, che hanno avuto come obiettivi postazioni radar, depositi di munizioni e altre componenti della ‘kill chain’ missilistica e drone, sono stati concepiti per limitare la capacità di proiezione militare degli Houthi nel Mar Rosso.

Ad esempio, la scelta degli obiettivi non ha incluso una nave di intelligence iraniana, individuata mentre si allontanava dall’area di Bab al-Mandab nelle ore precedenti agli attacchi e sospettata di aver fornito dati alle unità Houthi. Sia il governo americano che quello britannico hanno evidenziato la dimensione chirurgica degli attacchi come una risposta proporzionata e volta a evitare un’espansione del conflitto. Nonostante le dichiarazioni degli Houthi nelle ore successive, al momento la situazione nel Mar Rosso non ha causato un incremento della crisi.

Fino a che punto questa nuova strategia ha avuto successo? Quali insegnamenti si possono trarre da questo nuovo approccio? Da un punto di vista puramente militare, le autorità americane hanno ammesso che gli attacchi alla fonte non sono stati efficaci a eliminare la minaccia come inizialmente preventivato. Tuttavia, un obiettivo primario è stato raggiunto, poiché sia l’intensità che la frequenza degli attacchi si sono ridotte. La minaccia si è ridimensionata al punto che marine con capacità di ingaggio antiaereo più limitate possono ora considerare l’opzione di fornire un contributo. D’altra parte è possibile che gli Houthi possano cercare altre modalità di disturbo della connettività internazionale, come ad esempio il sabotaggio di cavi sottomarini nel Mar Rosso.

La riflessione più significativa, quindi, riguarda la necessità di riconsiderare la gestione delle crisi in un’epoca geopolitica definita dal ritorno della competizione fra Stati. Le capacità militari degli Houthi hanno evidenziato come oggi anche gruppi di milizie possano essere in grado di accedere a risorse militari complesse, che richiedono una maggiore sofisticazione e preparazione. La possibilità per le navi nel Mar Rosso di scegliere tra diversi dispositivi d’arma – in particolare di tipo ‘wide area defence’ – ha offerto opzioni di carattere politico più ampio, specie in un contesto in cui la capacità di comunicare attraverso diversi tipi di effetti cinetici è fondamentale per controllare l’espansione di un conflitto. Sembrerebbe, dunque, che la sofisticazione del profilo militare e navale di un paese abbia acquisito un’importanza significativa non solo nel gestire potenziali crisi e guerre tra Stati, ma anche crisi di portata più ampia di fronte a minacce provenienti da gruppi militanti e terroristici.

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