La battaglia di Soledar ha aperto il fronte ‘interno’ del gruppo Wagner

La conquista di Soledar – una cittadina di 10 mila abitanti prima della guerra, praticamente distrutta dall’artiglieria russa – rappresenta per il comando russo un valore più propagandistico che strategico: è la prima avanzata in sei mesi, da dare in pasto a un’opinione pubblica (e a un comandante supremo) cresciuti nel ricordo sovietico dei trionfali annunci dei progressi territoriali dell’Armata Rossa contro i tedeschi.

Il fronte ‘interno’ di Wagner

Molto più interessante è il fronte che la battaglia per Soledar ha aperto a Mosca. È vero che la vittoria ha sempre molti padri, ma lo scontro pubblico che ha visto un attore tutto sommato privato come il fondatore del gruppo Wagner Evgeny Prigozhin sfidare il ministero della Difesa russo è qualcosa che non ha precedenti sia per forma che per contenuto.

Uno scontro anomalo che nasce dall’anomalia a monte di utilizzare in guerra squadre di mercenari, reclutati da un oligarca ex galeotto tra detenuti condannati per crimini gravi (omicidi, rapine, stupri e pedofilia), che rivendica per la sua armata privata regole private, inclusa l’esecuzione pubblica a martellate dei “traditori”.

La sinergia tra i Wagner e i militari “convenzionali” viene collaudata in Siria, ma cambia profondamente in una guerra su larga scala come l’invasione in Ucraina: i mercenari non vengono più utilizzati in raid, ma integrati nelle operazioni sul campo dell’esercito. Senza però essere un esercito: Prigozhin attacca pubblicamente i vertici militari russi, diffonde video dove i suoi soldati lanciano insulti al capo dello Stato Maggiore Valery Gerasimov, e rivendica polemicamente il merito esclusivo della conquista di Soledar. Comportamenti impensabili nelle gerarchie di uno Stato, dove questo tipo di lotte resta sempre sotterraneo, e non coinvolge entità esterne, meno che mai quelle che fanno ricorso esplicitamente a un’ideologia paracriminale come i Wagner.

Ancora più impensabile è il fatto che la competizione per la gloria e le medaglie – e quindi per l’accesso alle risorse nelle successive battaglie – si svolga con il supporto di una parte del corpo politico e mediatico che comprende deputati della Duma e propagandisti televisivi e digitali, convinti che il gruppo Wagner rappresenti non soltanto un’unità da combattimento più efficiente dell’esercito, ma anche l’avanguardia del nazionalismo militarista eletto a ideologia neoimperiale.

Putin: da sistema a failed state?

Uno “scontro interspecie” che Yulia Latynina sulla Novaya Gazeta definisce “molto più importante di quello che accade al fronte”, e un segnale della trasformazione del sistema putiniano in un failed state. Dove però i militari sembrano aver vinto, o almeno pareggiato: dopo che Wagner ha fatto il lavoro sporco nella guerra di trincea nel Donbass (esaurendo, secondo alcune fonti, buona parte del suo capitale bellico), l’offensiva moscovita di Prigozhin è stata respinta con perdite su tutta la linea. Vladimir Putin ha tolto il comando della “operazione militare speciale” dalle mani di Sergey Surovikin, considerato il candidato di Prigozhin, legato ai suoi mercenari dai tempi in cui si era guadagnato il soprannome di “generale Armageddon” in Siria, per consegnarlo proprio a quel Gerasimov di cui i Wagner chiedevano pubblicamente la rimozione.

Anche un altro generale inviso a Prigozhin, Aleksandr Lapin, è stato recuperato dopo la destituzione nella carica di capo del comando delle forze terrestri. E il ministero della Difesa si è preso il merito di Soledar, riconoscendo ai “coraggiosi” Wagner un ruolo minore nell’offensiva.

Più che il tramonto della inquietante stella di Prigozhin, questa mossa di Putin sembra per ora il classico movimento di riequilibrio dopo che il pendolo si è spostato troppo verso i falchi supernazionalisti, sostenitori appassionati della guerra, ma incontrollabili. La Russia postcomunista ha ereditato dalla tradizione politica tardo-sovietica la regola di non dare ai militari troppa autonomia, e il sistema privilegia la promozione di yesman come Gerasimov, uno degli uomini che ha firmato un piano di invasione dell’Ucraina palesemente fallimentare.

Il pericolo ‘correnti’ al Cremlino

Putin è diviso tra chi gli promette vittorie, ottenute ignorando le catene di comando e senza alcun riguardo per le vite dei propri soldati, e chi non minaccia la sua sopravvivenza politica. Da notare che proprio nella settimana in cui lo scontro tra Prigozhin e i militari è debordato dai limiti del decoro istituzionale, il Cremlino ha fatto filtrare notizie sull’inizio dei preparativi per la campagna di rielezione di Putin nel 2024. Ufficialmente il presidente non ha ancora annunciato di ricandidarsi, e uno dei motivi potrebbe essere il fatto che tra molti esponenti della sua classe dirigente è ormai meno popolare della guerra che ha iniziato.

Il consenso sul fatto che l’invasione dell’Ucraina sia stato un errore è abbastanza diffuso, molto meno condivisa è l’idea che la guerra vada fermata, e nello schieramento di chi vorrebbe vincerla – rendendosi conto che una sconfitta della Russia comporterebbe la fine del regime nel quale hanno finora prosperato – si fa sempre più strada il sentimento che non saranno Putin e i suoi generali a portare la vittoria. Una situazione in cui il tentativo di correggere gli equilibri del potere rinforzando le istituzioni potrebbe arrivare troppo tardi. Uno dei lati forti che Putin offriva al suo elettorato era uno Stato forte e monolitico che il presidente rappresentava, ma il patto diabolico firmato con un’armata di galeotti ha messo in crisi questa percezione.

Foto di copertina EPA/SERGEY FADEICHEV/KREMLIN

Ultime pubblicazioni