Cosa hanno in comune le proteste nelle università americane e le manifestazioni in Georgia? Apparentemente poco. L’oggetto è anzitutto diverso. Nel primo caso, gli studenti hanno occupato i campus universitari per protestare contro la guerra di Israele a Gaza, invocando un cessate il fuoco immediato. I giovani hanno denunciato non solo il governo israeliano di Benjamin Netanyahu ma anche l’amministrazione di Joe Biden per il massacro di 35 mila palestinesi, la distruzione pressoché totale di Gaza e la carestia dilagante causata dalle restrizioni degli aiuti umanitari nella Striscia. In Georgia la manifestazione è contro la cosiddetta “legge russa”, ossia una normativa – attualmente al vaglio del parlamento a Tbilisi dove il partito governativo filorusso Sogno georgiano ha la maggioranza – che ricalca una legge russa usata per sopprimere la società civile, erodendo la democrazia in una delle sue dimensioni vitali. La normativa prevede che un’organizzazione debba autodenunciarsi come “agente straniero” qualora riceva più del 20% dei finanziamenti da fonti non-georgiane. La legge, oltre che minare la sopravvivenza di una società civile libera e quindi della democrazia liberale, rappresenta un segnale preoccupante della potenziale influenza di Mosca sul Paese, nonostante il suo recente riconoscimento come candidato per entrare nell’Unione europea. Bidzina Ivanishvili, il magnate georgiano e fondatore del partito Sogno georgiano, è noto per le sue simpatie filorusse e le sue critiche virulente contro l’Occidente. Il contenuto delle due proteste è quindi totalmente diverso: in un caso riguarda la guerra in Medio Oriente, il rispetto del diritto internazionale e la politica estera americana, nell’altro le pulsioni imperialiste della Russia e la difesa della democrazia in Georgia.
Luci e ombre delle proteste dei giovani
La forma e l’evoluzione delle manifestazioni sono altrettanto diverse. Quella nei campus americani non è priva d’ombre: le posizioni espresse da alcuni studenti hanno rasentato l’antisemitismo o il sostegno aperto a Hamas. Inoltre, si sono verificati casi di vandalismo e intimidazione. Il Presidente Biden ne ha denunciato la violenza e le espressioni di antisemitismo, ribadendo tuttavia che le proteste pacifiche e la piena libertà d’espressione sono sacrosante in una democrazia liberale ed escludendo dunque l’intervento della Guardia Nazionale per sopprimerle. In Georgia le cose sono andate in modo drammaticamente diverso: la polizia è intervenuta violentemente, con lacrimogeni, cannoni d’acqua e bombe a mano contro i manifestanti, ferendone centinaia e arrestandone decine. L’uso spropositato della violenza è stato denunciato non solo dalla società civile georgiana, ma anche da quella internazionale, dalle istituzioni europee e dalla Presidente della Georgia Salome Zourabichvili, il cui ruolo è però sostanzialmente cerimoniale. Mentre dunque negli Stati Uniti il governo, pur sotto accusa dei manifestanti, ne difende i diritti, in Georgia quest’ultimi vengono calpestati violentemente dalle forze governative.
Quali sono i punti comuni tra le due proteste?
È altrettanto importante sottolineare ciò che accumuna le due proteste: entrambe sono guidate da giovani manifestanti. Gli studenti americani, in netto contrasto alle generazioni più vecchie nel Paese, reclamano con forza la responsabilità del loro governo, ma anche dei loro atenei, nel mettere fine alla catastrofe umanitaria a Gaza. Invocano il disinvestimento delle università da Israele e reclamano la sospensione degli aiuti militari americani, senza i quali la guerra di Netanyahu probabilmente volgerebbe al termine. La critica nei confronti dell’amministrazione Biden è di non fare abbastanza e sicuramente di non fare tutto ciò che è nel suo potere per mettere fine a quella che gli studenti considerano, giusto o sbagliato, una guerra genocida. Al netto delle opinioni sulla guerra a Gaza e fatta naturalmente eccezione dei casi di violenza e discriminazione, è una generazione di ragazzi che ha a cuore i diritti nel loro Paese e nel mondo. Anche la stragrande maggioranza dei manifestanti nelle strade e piazze di Tbilisi sono ragazzi, attaccati all’indipendenza, alla libertà e alla democrazia del loro Paese, convinti che l’unico modo per proteggerle dalle ambizioni imperiali russe sia attraverso l’integrazione nelle organizzazioni euroatlantiche. È difficile immaginare che queste proteste non avranno un forte impatto sulle elezioni parlamentari del prossimo autunno.
In entrambi i casi, il governo rimane impassibile. Biden, pur difendendo il diritto di protestare pacificamente, ha esplicitamente rifiutato di rivedere la propria politica (a oggi fallimentare) in Medio Oriente: gli studenti sono liberi di manifestare dunque, ma le loro richieste verranno ignorate. Il governo georgiano è deciso a fare altrettanto e il parlamento procede imperterrito: la legge russa – la cui approvazione era stata sospesa lo scorso anno a seguito di proteste simili – è ora passata in seconda lettura e si avvia a breve alla terza e ultima lettura in parlamento. Tuttavia, né in Georgia né negli Stati Uniti le proteste cesseranno, che siano in strada oppure espresse alle urne a tempo debito. Sarebbe bene che gli adulti, testardamente aggrappati alle proprie posizioni, iniziassero finalmente ad ascoltare.