È arrivato il momento di agire

Dopo le parole incendiarie di Donald Trump contro la Nato, l’assassinio del leader dell’opposizione Alexey Navalny da parte della Russia, il blocco del Congresso degli Stati Uniti agli aiuti militari a Kyiv per un valore di 60 miliardi di dollari e il ritiro dell’esercito ucraino da Avdiivka, a causa dell’insufficiente sostegno occidentale – consegnando così alla Russia la sua prima vittoria sul campo di battaglia dalla presa di Bakhmut lo scorso anno – si pensava che i leader europei si sarebbero fatti avanti. La loro partecipazione alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco avrebbe dovuto costituire un’occasione per trasformare l’ansia europea per un possibile ritorno di Trump e per il riconoscimento del deterioramento della sicurezza del continente in un’autentica svolta.

Il disimpegno americano in Europa

I messaggi degli americani presenti a Monaco avrebbero dovuto rafforzare ulteriormente la determinazione europea. Pur sostenendo l’impegno globale e dell’America verso l’Europa e l’Ucraina, la vicepresidente Kamala Harris – in un discorso che sembrava diretto più agli elettori del Michigan che ai presenti a Monaco – non ha nascosto che alcuni (o forse molti) negli Stati Uniti la pensano diversamente, e spingono per il disimpegno, l’isolazionismo e il transazionalismo. I membri repubblicani del Congresso presenti lo hanno confermato. Quando il deputato Pete Ricketts, subito dopo aver ascoltato l’appassionato discorso del presidente Volodymyr Zelensky, ha equiparato i problemi dell’Ucraina con la Russia a quelli degli Stati Uniti al confine con il Messico, l’isolazionismo (per essere gentili) è stato evidente. La traiettoria dell’isolazionismo statunitense è diventata ancora più chiara quando il senatore JD Vance ha avuto l’audacia di affermare che Vladimir Putin non rappresenta una minaccia esistenziale per l’Europa. Spero e credo ancora che il Congresso approverà il pacchetto di aiuti all’Ucraina di quest’anno, ma ogni giorno che passa senza questa approvazione si traduce in vite umane ucraine perse. E anche nell’eventualità che questo venga approvato, il sostegno militare degli Stati Uniti all’Ucraina è una battaglia sempre più in salita. La vittoria dell’Ucraina e la sicurezza europea dipendono sempre più dagli europei.     

Si parla sempre più di difesa europea, ma non è ancora abbastanza

Sul versante europeo, sarebbe ingiusto affermare che non sta accadendo nulla. La Presidente della Commissione Ursula von der Leyen si è espressa con forza a favore della difesa europea. Nel preludio a quella che è diventata la sua candidatura ufficiale per un secondo mandato, ha dichiarato che, se rieletta, la sua Commissione nominerà un commissario per la difesa, che potrebbe essere assegnato a un Paese Est europeo. Anche l’Alto rappresentante dell’Ue Josep Borrell e il primo ministro olandese uscente (e forse prossimo segretario generale della Nato) Mark Rutte hanno lanciato forti appelli per una maggiore difesa europea. E non ci sono solo parole: Francia e Germania hanno recentemente seguito l’esempio del Regno Unito, firmando patti di sicurezza bilaterali con l’Ucraina, e l’Italia li ha seguiti nell’accordo firmato pochi giorni fa a Kyiv tra Zelensky e la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La premier danese Mette Frederiksen ha dichiarato che il suo Paese invierà tutta l’artiglieria di cui dispone all’Ucraina. Il presidente ceco Petr Pavel ha annunciato che Praga può inviare 800.000 munizioni a Kyiv. Oltre ai programmi esistenti per il rimborso degli approvvigionamenti militari e di munizioni, l’Ue dovrebbe avviare un programma da 3 miliardi di euro per potenziare la produzione nel settore della difesa. Aumentando notevolmente il livello di ambizione, il primo ministro estone Kaja Kallas ha proposto un piano di eurobond per la difesa da 100 miliardi di euro, raccogliendo il sostegno di diversi leader europei, tra cui il presidente francese Emmanuel Macron.

Ma questo non è sufficiente. A Monaco, il cancelliere tedesco Olaf Scholz si è astenuto dall’approvare l’invio di missili da crociera Taurus all’Ucraina. Macron e il primo ministro polacco Donald Tusk non si sono presentati e non sono riusciti, insieme a Germania, Regno Unito, Italia e altri, a trasformare la Conferenza nel loro momento “whatever it takes” per l’Ucraina. Sembra che non ci sia un piano B se gli Stati Uniti dovessero fallire con i 60 miliardi di dollari promessi a Kyiv.

La situazione in Ucraina è disastrosa, forse più di quanto si creda. Avdiivka non ha un’enorme rilevanza strategica, ma è certamente più importante di Bakhmut, persa quasi un anno fa. Si prevede che l’offensiva russa prosegua, minacciando di far retrocedere i modesti guadagni territoriali ottenuti dall’Ucraina nella sua controffensiva. Sebbene non sia necessariamente probabile, non si può escludere un crollo della linea di difesa ucraina.

Gli europei hanno compiuto notevoli progressi e la situazione nel 2025 potrebbe migliorare significativamente, poiché i germogli sulla difesa europea seminati nell’ultimo anno inizieranno a dare i loro frutti. Si tratta di un aspetto di importanza esistenziale, soprattutto se dovesse materializzarsi lo spettro del ritorno di Trump alla Casa Bianca. Ma il 2025 è ancora molto lontano e occorre fare molto di più e con urgenza, attraverso politiche europee e non solo bilaterali, per garantire che l’Ucraina tenga la linea e sia in grado di riconquistare il vantaggio militare.

La guerra in Ucraina può essere persa o vinta, non ci sono vie di mezzo. E dato che la sicurezza dell’Europa passa per Kyiv, spetta agli europei, prima di tutto, garantire che l’Ucraina abbia successo.

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