L’accumularsi di eventi drammatici in concomitanza con la conferenza annuale di Monaco sulla sicurezza in Europa non ha consentito di approfondire le implicazioni delle recenti esternazioni di Trump. L’ex presidente ha rivelato, infatti, di aver in passato minacciato un leader europeo, membro della Nato, affermando che non avrebbe più garantito la protezione del suo paese in caso di attacco, a meno che non avesse aumentato le spese per la difesa. In mancanza di tale aumento, avrebbe incoraggiato la Russia a fare “tutto ciò che diavolo vuole” contro l’innominato paese. Il fatto che tale affermazione sia stata fatta in risposta estemporanea ad una domanda posta nella foga della campagna elettorale non riduce la gravità di tale “sparata” dell’ex presidente.
Le reazioni sono state immediate. Tra i primi, il presidente Biden ha definito “spaventosa e pericolosa” l’intenzione di Trump di “dare a Putin il via libera per ulteriori guerre e violenze in Europa”, mentre il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha affermato che Trump stava minacciando la sicurezza dell’intera alleanza transatlantica.
Le tensioni sulle spese militari europee
La questione delle spese militari degli europei ed il raggiungimento della fatidica quota del 2% del PIL dedicato alla difesa sono stati a lungo motivo di frizione tra le due sponde dell’Atlantico. Ma per Trump rimane una vera e propria ossessione, probabilmente non rendendosi conto che la situazione è profondamente cambiata da quando egli tuonava su questo argomento dalla Casa Bianca. Dopo l’attacco russo contro l’Ucraina, l’obiettivo del 2% non viene più messo in discussione: tale quota, infatti, non solo si ritiene già raggiunta o superata da undici membri della Nato, ma è divenuta il punto di partenza per eventuali ulteriori spese. Trump sfonda quindi una porta aperta.
Più del “mantra” trumpiano, preoccupa la leggerezza ed il linguaggio sprezzante verso l’Europa e la Nato e l’impatto che già oggi questi argomenti hanno sulla credibilità dell’impegno americano a sostegno della sicurezza degli alleati europei. Senza dare per scontata un’eventuale seconda presidenza di Trump, l’Europa deve affrontare con serietà ed urgenza tale situazione.
La necessità di un maggiore impegno autonomo europeo
L’Ue ha concentrato sinora la propria azione sul mantenimento della Pace sotto l’egida dell’ONU, ma per la sua difesa vera e propria essa continua a fare affidamento prevalente sulle strutture della Nato, di cui però non tutti i paesi dell’Unione sono membri e dove è preponderante il ruolo e l’agenda degli Stati Uniti. Non è questo il momento per sganciarsi dalla Nato ma, qualora una furia isolazionista dovesse prevalere a Washington, i meccanismi per un maggiore impegno autonomo europeo già esistono. L’articolo 42 del trattato costituzionale di Lisbona, con un linguaggio simile a quello della Nato, prevede la mutua assistenza in caso di aggressione armata contro il territorio di un paese membro. Viste le difficoltà di adottare per consenso le decisioni sulla difesa/sicurezza, il testo di Lisbona prevede anche la creazione di uno strumento flessibile proprio in tale settore: si tratta delle cosiddette “cooperazioni strutturali permanenti” cui non devono necessariamente partecipare tutti i membri dell’Unione. Con l’adesione alla Nato della Finlandia e quella assai probabile della Svezia crescerà l’omogeneità tra europei nel campo della sicurezza/difesa e potrà non più essere un tabù la possibilità di un coordinamento tra europei anche sulle questioni della Nato e la capacità di esprimersi con una voce più autorevole in seno all’Alleanza.
Qualora l’Europa non potesse più contare sull’ombrello americano, potrebbe tornare di attualità l’idea di una possibile dissuasione nucleare europea che è cominciata a circolare sin dagli anni Cinquanta ma che finora è stata messa da parte vista la fiducia posta nel sostegno americano. Tuttavia, sin dai tempi di Mitterrand, ogni presidente francese, all’inizio del suo mandato, ha lanciato l’idea di una dissuasione nucleare europea condivisa basata su potenziale atomico della Francia. Lo ha fatto da ultimo anche il presidente Macron nel 2020 in occasione del suo discorso strategico alla Scuola Militare di Parigi, senza tuttavia darvi un seguito operativo. Un’altra opzione rischia di essere quella che ciascun paese vada per conto suo senza escludere la possibilità che qualcuno pensi di dotarsi dell’arma atomica individualmente.
È uno scenario preoccupante ma non irrealistico. Potrebbe già avvenire nel contesto asiatico. Di fronte alla minaccia nucleare della Corea del Nord vi sono forze politiche nella Corea del Sud vicine allo stesso attuale Presidente Yoon Suk-yeol che non escludono la possibilità che anche Seoul segua la strada nucleare del suo pericoloso vicino. Gli americani sono riusciti ad arginare tale propensione coinvolgendo maggiormente il Sud anche nella pianificazione nucleare difensiva secondo schemi non lontani da quelli in vigore nella Nato. È probabile però che, se venisse meno la credibilità del sostegno dissuasivo americano, diverrebbe più forte la propensione di Seoul verso il nucleare militare. Ne avrebbe le capacità.
Sono scenari da incubo che farebbero saltare quello che rimane dell’architettura di sicurezza faticosamente costruita a livello mondiale negli ultimi decenni e che si basa sul Trattato di Non Proliferazione nucleare. L’Europa non può restare con le mani in mano di fronte a tali temibili scenari e deve decidere sin da ora su “cosa vuol fare da grande”.