Vilnius: I dilemmi della Nato

Otterrà Volodymyr Zelensky il “chiaro segnale” che ha chiesto a gran voce alla Nato? All’imminente Vertice dell’Alleanza a Vilnius (11-12 luglio) si discuteranno questioni di grande rilevanza per il futuro dell’Europa, ma al centro dell’incontro ci saranno soprattutto le relazioni con Kyiv. Ma che cosa chiede esattamente il presidente ucraino e in che misura le sue richieste potranno trovare riscontro nelle decisioni del Vertice?  

Lo spettro persistente della “terza guerra mondiale”

Un’entrata dell’Ucraina nella Nato con le ostilità in corso rischierebbe di portare l’alleanza ad uno scontro con la Russia. Uno scenario che nessun paese membro ha finora dichiarato di contemplare. Sin dall’inizio dell’aggressione russa, la Nato ha escluso un intervento diretto nel conflitto, evocando lo spettro di una “terza guerra mondiale“, con una chiara allusione al rischio di uno scambio nucleare. È per questo che l’alleanza ha respinto, fra l’altro, la richiesta iniziale di Kyiv di creare una zona di interdizione aerea (no-fly zone) sui cieli ucraini per contrastare la superiorità aerea di Mosca. 

Questa posizione non è cambiata: l’alleanza non è disposta ad assumersi un impegno alla difesa dell’Ucraina che implichi un coinvolgimento diretto delle forze armate dei paesi membri. Non solo: Washington ha anche cercato costantemente di dissuadere Kyiv a intraprendere azioni militari contro Mosca, in particolare sul territorio russo, che possano innescare un’escalation incontrollabile. 

Potrà cambiare in futuro questo atteggiamento riguardo all’entrata dell’Ucraina nella Nato? Sì – è la risposta che prevale nell’alleanza – ma solo quando cesserà il conflitto

I fautori di una rapida entrata dell’Ucraina nella Nato obiettano però che, condizionandola alla fine delle ostilità – di fatto a un esito del conflitto positivo per l’Ucraina – si dà alla Russia un potere di veto; le si offre anzi un incentivo a continuare la guerra. Non è un’obiezione molto convincente: Putin ha in ogni caso un interesse vitale a evitare una sconfitta. Punta chiaramente a prolungare il conflitto nella speranza che a cedere sia l’Occidente. È questo il suo fondamentale calcolo strategico.

Né è immaginabile, come qualcuno ha proposto, un’entrata dell’Ucraina accompagnata da una sospensione temporanea, nei confronti di Kyiv, dell’articolo V del trattato fondativo dell’alleanza che prevede l’impegno alla mutua difesa. Una simile mossa equivarrebbe a una grave perdita di credibilità per la Nato.  

I rapporti Nato-Ucraina dopo la fine del conflitto

Dunque, l’entrata dell’Ucraina nella Nato potrebbe avvenire soltanto a guerra finita, o almeno dopo uno stabile armistizio. Gli alleati dovrebbero raggiungere un accordo su un esito del conflitto soddisfacente per gli ucraini e rassicurante per la sicurezza europea. Si dovrebbe raggiungere un’intesa sui confini che la Nato s’impegnerebbe a difendere in ossequio all’articolo V. Intesa che sarebbe, almeno sulla carta, più facile, se l’Ucraina riuscisse a riconquistare tutti i suoi territori, se cioè si tornasse alla situazione pre-2014. Sarebbe molto più complicata invece se, anche dopo la fine delle ostilità, la Russia continuasse a occupare porzioni di territorio ucraino. In tal caso, Kyiv dovrebbe rinunciare a riprendersi con la forza i territori ancora in mano ai russi. L’articolo V si applicherebbe solo al territorio effettivamente controllato dal governo ucraino. Un accordo analogo a quello che si applicò alla Germania quando entrò nella Nato nel 1955. A quell’epoca però la divisione della Germania era da tempo consolidata; nel caso dell’Ucraina, la situazione sul terreno potrebbe rimanere instabile a lungo anche dopo un cessate il fuoco. 

La questione dell’applicazione dell’Articolo V non va peraltro sottovalutata. Stabilisce che un attacco armato contro uno Stato membro è considerato un attacco contro tutti. È vero che ciascuno Stato sceglie le azioni da intraprendere a difesa dell’alleato sotto attacco – possono essere, per esempio, anche solo di natura economica – e può anche decidere di non partecipare a un intervento collettivo, ma, specie dopo la guerra di aggressione della Russia, tende a prevalere un’interpretazione estensiva dell’impegno alla difesa collettiva sancito dall’articolo V. Il presidente americano Joe Biden l’ha definito “un sacro giuramento a difendere ogni centimetro del territorio Nato”. È impensabile che quel che ora vale per gli alleati più vulnerabili, come i paesi baltici, potrebbe non valere per l’Ucraina una volta che fosse membro a pieno titolo della Nato. Non è un impegno che si possa prendere alla leggera verso un paese che verosimilmente rimarrà ancora a lungo in un conflitto aperto o latente con una potenza nucleare. 

Le richieste ucraine e la risposta di Biden

I dirigenti ucraini, a cominciare da Zelensky, hanno realisticamente preso atto di queste problematiche che sono in gran parte di natura strategica, ma in parte anche legate ai meccanismi e alle prassi istituzionali della Nato. Il presidente ucraino ha riconosciuto che l’Ucraina dovrà aspettare la fine della guerra prima di entrare nella Nato. Il ministero degli Esteri Dmytro Kuleba ha non solo ribadito che Kyiv non chiede un coinvolgimento diretto della Nato contro la Russia, ma si è anche detto consapevole che l’entrata dell’Ucraina nell’alleanza “dipenderà dalla situazione di sicurezza”. 

Le richieste degli ucraini ai capi di Stato e di governo che si riuniranno a Vilnius sono altre. Fondamentalmente due: che venga definita una “chiara tabella di marcia” per l’ingresso dell’Ucraina, senza ulteriori indugi; e che gli alleati decidano, già oggi, quali garanzie di sicurezza sono disposti a fornire all’Ucraina in attesa del completamento del processo di adesione, e anche dopo, cioè in aggiunta agli impegni previsti dal trattato Nato.  

Richieste non facili da soddisfare alla luce di quanto si è detto. Il problema è che gli alleati, prima di prendersi impegni sia in una direzione – l’entrata dell’Ucraina – che nell’altra – le garanzie di sicurezza –, continueranno presumibilmente a voler capire meglio come evolve, o potrebbe evolvere, il conflitto. Ed in effetti, le perentorie dichiarazioni di Biden, nell’intervista rilasciata alla CNN alla vigilia del Vertice (9 luglio), non sono particolarmente incoraggianti per gli ucraini. Biden ha escluso ogni automatismo nel processo di adesione di Kyiv, sottolineando che gli Usa non possono prendersi impegni definitivi al riguardo. Si farà una valutazione solo dopo la fine del conflitto. Ha inoltre ripetuto che un ingresso dell’Ucraina significherebbe “andare in guerra con la Russia”. Evitare questo esito, lo ha detto varie volte, è la sua stella polare. 

Non ci sarà quindi una tabella di marcia con scadenze prefissate come sembrava auspicare lo stesso presidente francese Emmanuel Macron. Gli ucraini avrebbero voluto che un percorso preciso fosse deciso almeno entro la fine di quest’anno. Altri avevano proposto il vertice del prossimo anno quando l’Alleanza celebrerà il suo 75° anniversario. Presumibilmente si fisseranno almeno successive tappe per la verifica del processo di adesione. 

Su un altro punto Biden è stato chiaro: questa verifica dovrà riguardare, a suo parere, anche l’effettivo rispetto da parte ucraina dei criteri per l’adesione, compresi quelli che riguardano la democratizzazione e il rispetto dei diritti delle minoranze. Al contrario, Kyiv e i fautori di un suo rapido ingresso nella Nato ritengono che l’Ucraina già soddisfi pienamente i parametri. Per questo, sostengono, non ha bisogno di sottoporsi al Membership Action Plan (Map) – il programma Nato di sostegno e assistenza ai paesi impegnati nel processo di adesione. Anche Finlandia e Svezia, la prima membro Nato da marzo, la seconda in attesa del via libera di Erdogan, sono state esentate dal Map. La situazione dell’Ucraina è però diversa: è un paese che dovrà realizzare alcune importanti trasformazioni interne per adeguarsi agli standard occidentali e che dovrà fare i conti con la pesante eredità della guerra sul suo assetto politico-istituzionale. Probabilmente, anche nel caso dell’Ucraina, si metterà da parte il Map, come gesto simbolico, ma il problema del progressivo adeguamento ai criteri per l’adesione non scomparirà da un giorno all’altro.

Quali garanzie di sicurezza?

Biden è stato invece, all’apparenza, più positivo e aperturista sull’altra richiesta avanzata da Kyiv: la concessione di garanzie di sicurezza anche prima dell’entrata nella Nato. Ha anzi dato un’indicazione precisa, quando ha parlato di un accordo per il sostegno militare analogo a quello che Washington ha con Israele: non quindi un’alleanza formalizzata in un trattato, ma un accordo di partenariato strategico volto ad accrescere la capacità dell’Ucraina di difendersi dalla Russia. 

Il caso di Israele è ovviamente molto diverso da quello dell’Ucraina. Israele può contare su una superiorità convenzionale sui suoi avversari e dispone di una capacità autonoma di deterrenza grazie all’arsenale nucleare. Ma, al di là di queste differenze, pur non trascurabili, un simile impegno verso l’Ucraina risulterebbe già oggi molto più credibile di un’applicazione dell’articolo V, proprio alla luce di quanto i paesi occidentali, e gli Usa in primis, hanno concretamente fatto finora. 

L’esitazione a fornire le armi per paura di un’escalation è venuta progressivamente scemando. La quantità e qualità delle forniture di materiale sono continuamente cresciute. Gli Usa hanno già investito 47 miliardi di dollari in aiuto militare e più 30 miliardi in assistenza economica, l’Ue 54,9 miliardi di euro in varie forme di sostegno. Ne è derivato un forte consolidamento dei legami politici, economici e strategici. L’impegno dei paesi occidentali a continuare il sostegno all’Ucraina “per tutto il tempo necessario” sembra abbastanza solido. Né si dimentichi che gli Usa hanno minacciato “catastrofiche conseguenze” in caso di attacco nucleare russo. Il potere dissuasivo di una tale minaccia non va sottovalutato. 

Le garanzie di sicurezza dovranno essere costruite su questa base. Potranno essere fornite a livello multilaterale, come molti propongono e gli Usa certamente preferiscono, in formati più o meno ampi di “capaci” e “volenterosi”, e rese effettive in varie modalità, attraverso atti legislativi o, come nel caso di Israele, in periodici memorandum di intesa.  Già a Vilnius verranno poi decisi nuovi meccanismi di consultazione e cooperazione tra Nato e Ucraina anche in vista di un rafforzamento dell’interoperabilità e integrazione fra le forze armate.    

In conclusione, a Vilnius verranno certamente mandati segnali di un ulteriore avvicinamento dell’Ucraina all’obiettivo di un ingresso nella Nato, inclusa la creazione di nuovi meccanismi di consultazione e cooperazione, ma senza la fissazione di rigide tabelle di marcia. Sulla base di quanto già realizzato finora e dei piani in via di sviluppo per un ulteriore sostegno militare contro la Russia, l’incontro di Vilnius potrà anche segnare l’inizio di un più concreto confronto sulle garanzie di sicurezza da fornire a Kyiv. Tali garanzie saranno uno dei pilastri del nuovo ordine di sicurezza che si cercherà di costruire in Europa dopo la fine della guerra.

Foto di copertina EPA/FILIP SINGER

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