Dal G20 al Sud-Est asiatico: la rotta ‘globale’ di Xi Jinping

La comunità internazionale si aspetta grandi cose dalla Cina. Questo il messaggio chiave secondo l’interpretazione del presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping, dopo una settimana di summit e vertici bilaterali di alto profilo nel Sud-Est asiatico.

Una politica estera di difficile interpretazione

Settimane intense per il segretario generale del Partito comunista, da poco rieletto per un terzo mandato al XX Congresso, che si è recato prima al summit del G20 di Bali e poi a Bangkok per il forum dell’Asia Pacific Economic Cooperation (APEC). Analisti e osservatori sembrano reticenti a interpretare la (apparente) ritrovata benevolenza dimostrata da Xi nei confronti degli storici alleati degli Usa dell’Asia-Pacifico: Stati Uniti, Australia e Giappone.

Ma mentre alcuni leggono nella “scioltezza” di Xi la predisposizione ad abbandonare la diplomazia da “wolf warrior” che ha caratterizzato le relazioni estere della Cina negli ultimi anni una possibile svolta, altri invitano alla prudenza. L’apparente intenzione di normalizzare i rapporti non si traduce necessariamente in una minore assertività sul piano internazionale, poiché gli “interessi fondamentali” del Partito sembrano rimanere invariati. Stabilità del regime, insieme a sovranità e integrità territoriale sono in cima alle priorità, lo sviluppo viene solo al terzo posto. Una tendenza gerarchica che si è via via accentuata nell’ultimo decennio.

Dall’Asean al G20: gli appuntamenti della Cina

I leader mondiali si sono dapprima incontrati per l’Asean Summit a Phnom Penh, in Cambogia, dal 10 al 13 novembre. Si tratta dell’evento semestrale che vede riunirsi i capi di Stato dell’Associazione delle Nazioni del Sudest asiatico (ASEAN) e i rappresentanti dei paesi partne. All’incontro hanno partecipato, tra gli altri, il primo ministro cinese uscente Li Keqiang e il presidente statunitense Joe Biden. Le parole inaugurali del discorso di Li, “sin dagli anni Novanta la Cina e l’ASEAN (…) hanno partecipato alle rispettive storie di successo”, sembrano sfidare i piani multilaterali lanciati dagli Stati Uniti. Biden ha promesso di costruire con l’ASEAN una regione “stabile e (…) sicura”, ma è proprio il confronto con gli USA che minaccia la stabilità regionale agli occhi di Pechino. 

Ai vertici del G20 di Bali la “brillante” performance diplomatica della Cina ha mostrato le sue contraddizioni. Del primo incontro “fisico” tra Biden e Xi rimarranno impressi i sorrisi e le strette di mano, anche se i leader delle maggiori economie mondiali hanno convenuto che Taiwan rimane la più grande sfida nelle relazioni bilaterali. Il leader cinese ha affermato con decisione che la prospettiva dell’indipendenza di Taipei e la pace nello Stretto restano “inconciliabili come l’acqua e il fuoco”.

Foreign Policy ha sottolineato, però, come il linguaggio adottato da Xi nei confronti di Biden sia stato meno severo di quanto ci si sarebbe aspettati. “Il presidente cinese ha ottenuto ciò che voleva nell’incontro con Biden”, ha commentato il direttore del SOAS China Institute dell’Università di Londra Steve Tsang, “poiché un apparente e limitato riavvicinamento lo ha fatto sembrare più responsabile”.

Poi una ventata di realismo ha scosso gli osservatori che hanno immortalato i rimproveri del segretario generale al capo di governo canadese Justin Trudeau, perché a suo dire erano trapelati alla stampa dettagli riservati del loro bilaterale del giorno precedente. Secondo Reuters, la vicenda con Trudeau è un “promemoria delle relazioni burrascose di Pechino con l’Occidente”.

Tra gli altri, Xi ha incontrato a Bali anche i leader di Corea del Sud, Australia e Giappone coi quali ha tenuto colloqui bilaterali. Al primo incontro tra il presidente cinese e il primo ministro giapponese Fumio Kishida, ad esempio, i due leader hanno concordato dei “gesti di buona volontà” per allentare le tensioni bilaterali inaspritesi negli ultimi anni. Anche se la retorica cinese vuole che non esista competizione tra Pechino e Washington (“perché gli USA non hanno mai veramente guidato il mondo, ma solo il mondo occidentale”) gli incontri di Bali sono stati un’opportunità per recuperare terreno nel gioco di influenze in atto nella regione dell’Asia-Pacifico.

L’Apec e la ‘dottrina’ Xi sul Sud-Est Asiatico

A Bangkok per l’Apec, Xi ha potuto godersi le luci dei riflettori. La criticata assenza di Vladimir Putin e la sostituzione del presidente degli Stati Uniti con la vicepresidente Kamala Harris hanno lasciato la ribalta al segretario generale del PCC. “Non ha pari nella stanza”, ha commentato Yun Sun, direttore del Programma Cina presso il think tank Stimson Center di Washington, “sarà il suo show”.

Se, come sostiene Lorenzo Lamperti, direttore editoriale di China Files, “il vero focus della ‘nuova era’ ” di Xi Jinping è la “sicurezza”, all’APEC il tema della stabilità regionale è stato cruciale. La regione non è da considerarsi “il cortile di casa di nessuno”, ha dichiarato Xi, e tanto meno “un’arena per la competizione tra grandi potenze”. E ancora: “qualsiasi tentativo di politicizzare e armare le relazioni economiche e commerciali” va evitato. 

Dopo il XX Congresso del PCC e la conferma del terzo mandato di Xi, analisti e osservatori guardano alla politica estera cinese con ancora maggiore attenzione. La cornice del “realismo del partito-stato” di Steve Tsang può essere ancora una valida chiave di interpretazione, dal momento che gli “interessi fondamentali” di Pechino (stabilità interna, sovranità e sviluppo in quest’ordine) restano inalterati. Poiché non vi sono ancora segnali di scostamento da questo paradigma, è ancora presto per giudicare eventuali cambi di rotta della diplomazia cinese.

Foto di copertina EPA/WILLY KURNIAWAN / POOL

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