Giustizia internazionale: una prima decisione sull’illegittimità della guerra in Ucraina

La Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite (International Court of Justice, ICJ) il 16 marzo scorso ha emesso l’Order-Ukraine v. Russian Federation, con cui ha stabilito l’illegittimità, sotto il profilo dei principi e delle regole del diritto internazionale, delle azioni belliche intraprese dalla Federazione Russa in Ucraina a partire dal 24 febbraio scorso, in particolare con riferimento alle previsioni della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948 e della Carta delle Nazioni Unite del 1945.

Nello specifico, pur rinviando la decisione di merito, ha ritenuto di pronunciarsi “allo stato degli atti” e di disporre, come provisional measures l’ordine per la Federazione Russa di “sospensione immediata” delle operazioni militari avviate il 24 febbraio scorso. L’analisi del provvedimento offre peraltro una osservazione estremamente interessante e suggestiva di un percorso giuridico che si è dipanato attraverso le regole di competenza e procedurali della Corte internazionale di giustizia e di un importante trattato multilaterale, la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948.

Le competenze della Corte internazionale di giustizia

Per comprendere il rilevante valore giuridico della pronuncia è opportuno un breve cenno sulla International Court of Justice, che in base al Capitolo XIV della Carta delle Nazioni Unite del 1945, all’articolo 92, è individuata come “il principale organo giurisdizionale delle Nazioni Unite”. Lo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, approvato insieme alla Carta a San Francisco il 26 giugno 1945, prevede che la stessa è costituita da 15 giudici, eletti per 9 anni con un sistema di votazione che si svolge simultaneamente, ma in modo autonomo, nel Consiglio di Sicurezza e nell’Assemblea Generale.

La sua competenza si declina in particolare su due canoni, quello della “giurisdizione speciale”, in forza di un accordo sottoscritto fra gli Stati interessati alla controversia, e quello della “giurisdizione obbligatoria”, in base alle clausole di accettazione della giurisdizione inclusi in trattati bilaterali o multilaterali.

Le accuse di “genocidio” in Ucraina

L’Ucraina è stata parte attrice del procedimento di accertamento davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, a seguito delle azioni di guerra intraprese nel suo territorio dalla Federazione Russa a partire dal 24 febbraio scorso, facendo riferimento all’accettazione della giurisdizione della Corte fatta dalla Russia nell’aderire alla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 9 dicembre 1948.

L’Ucraina in questa fase non ha accusato la Russia di genocidio, ma si è rifatta alle dichiarazioni pubbliche rese dal Presidente Vladimir Putin, nonché al contenuto dei due distinti “Ordini Esecutivi” sottoscritti da Putin sul riconoscimento unilaterale delle “Repubbliche Popolari” di Donetsk e di Lugansk, in cui si dava fondamento giuridico ad una “operazione militare speciale” per reazione ad “atti di genocidio” perpetrati dall’Ucraina ai danni delle popolazioni di etnia  e lingua russa di quei territori.

L’Ucraina ha quindi chiesto di accertare, in punto di fatto e di diritto, due significative situazioni di rilevanza giuridica: la prima, che l’Ucraina non ha compiuto atti di genocidio contro la popolazione del Donbass; la seconda, che l’uso unilaterale della forza per la repressione di atti di genocidio non è previsto tra i mezzi consentiti dalla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio. La Russia si è rifiutata di intervenire in giudizio e ha presentato una memoria in cui ha contestato invano la competenza della Corte, e chiesto di “non indicare misure provvisorie e rimuovere questo caso dalla sua lista”.

Le conclusioni dell’Order-Ukraine v. Russian Federation

Il massimo collegio delle Nazioni Unite ha quindi emesso l’Order-Ukraine v. Russian Federation del 16 marzo u.s. con 13 voti a favore, contrari solo il vicepresidente russo Kirill Gevorgian e il giudice cinese Xue Haqin. La Corte, rinviando come è prassi la decisione di merito a successivi approfondimenti,  ha comunque deliberato “allo stato degli atti” con due statuizioni: a) non sussistono elementi per configurare un genocidio perpetrato dall’Ucraina in Donbass; b) ai sensi della Convenzione, per prevenire un genocidio è illegittimo il ricorso unilaterale della forza, poiché gli Stati “possono ricorrere agli organi competenti delle Nazioni Unite per intraprendere le azioni previste dalla Carta delle Nazioni Unite”.  

Conseguentemente, la Corte ha disposto come “misure provvisorie” che la Federazione Russa:

1) “sospenda immediatamente le operazioni militari avviate il 24 febbraio”;

2) “provveda affinché tutte le unità armate militari o irregolari che possano essere dirette o sostenute da essa, nonché da tutte le organizzazioni e le persone che possono essere soggette al suo controllo o direzione, non prendano provvedimenti per proseguire le operazioni militari di cui al punto 1”.

È molto probabile che anche in forza di questa determinazione l’Assemblea Generale delle Nazioni Unire torni a pronunciarsi sulla Risoluzione A/ES-11/L.1 adottata il 1° marzo scorso, nella quale, a stragrande maggioranza degli Stati, si era già intimato alla Federazione Russa di cessare le ostilità e si era disposto, al paragrafo 16, di aggiornare la “sessione speciale di emergenza”. Stavolta l’Assemblea Generale potrebbe anche pensare ad un modello più simile alla Risoluzione Uniting for Peace – adottata nel 1950, quando fu superato l’immobilismo del Consiglio di sicurezza per far cessare la guerra di Corea – che imponga d’autorità un negoziato e condizioni imperative, eventualmente definite ancora dalla stessa Corte internazionale di giustizia.

Foto di copertina EPA/PHIL NIJHUIS

Ultime pubblicazioni