I mezzi di informazione, specialmente in Italia, non hanno dedicato grande attenzione a due provvedimenti adottati di recente sul caso Ucraina in sede di Corte Penale Internazionale (Cpi) e Corte Internazionale di Giustizia (Cig). È probabile che questo dipenda dalla diffusa opinione circa la scarsa efficacia del diritto internazionale e delle sue procedure. Nondimeno sembra opportuno tenere conto di questi sviluppi, con l’auspicio che anch’essi possano favorire una soluzione concordata del drammatico conflitto in corso.
I due procedimenti aperti
Con la sua Dichiarazione del 28 febbraio scorso il Procuratore della Cpi ha comunicato di ravvisare l’esistenza di ragionevoli elementi per aprire un’indagine circa crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Ucraina a partire dal 2013; egli ha pertanto chiesto al Tribunale di primo grado della Corte l’autorizzazione (ai sensi dell’art. 15 dello Statuto) ad avviare formalmente l’indagine. Il Procuratore ha poi rotto gli indugi senza attendere i tempi, anche non brevi, del Tribunale di primo grado: già il successivo 2 marzo ha annunciato di procedere ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, essendogli pervenuta la richiesta di farlo da ben 39 Stati aderenti alla Cpi.
Veniamo alla Cig. Con l’ordinanza del 16 marzo scorso questa Corte ha adottato, su richiesta dell’Ucraina, misure provvisorie nei confronti della Russia, ingiungendole di sospendere le operazioni militari da essa iniziate in Ucraina fin dal 24 febbraio e di impedire simili operazioni da parte di persone o enti soggetti al suo controllo. La decisione, presa dalla CIG con 13 voti a favore e due contrari, trae origine da un’azione promossa dall’Ucraina davanti alla Cig già il 26 febbraio 2022. L’Ucraina ha chiesto alla Corte di accertare, contrariamente a quanto asserito dalla Russia, di non aver violato la Convenzione sul Genocidio del 1948 nella regione del Donbass. Pertanto l’invasione militare dell’Ucraina, mirata – a detta della Russia – a porre fine a tali violazioni, risulta priva di qualsiasi giustificazione e lesiva di fondamentali principi del diritto internazionale. La Corte, ritenendo prima facie fondata la posizione dell’Ucraina, ha ravvisato l’urgenza di impedire, in via cautelare, il protrarsi dei danni irreparabili conseguenti alle operazioni militari della Russia.
Si deve ricordare che la Cpi e la Cig, pur avendo ambedue sede all’Aja, sono due istituzioni distinte. La Cpi è competente a giudicare individui chiamati a rispondere di crimini internazionali. La Cig deve invece pronunciarsi su controversie internazionali fra Stati. Un elemento accomuna tuttavia le due Corti: ed è che la loro giurisdizione è soggetta a ben precisi limiti. Ne deriva che esse sono tenute a verificare in via del tutto preliminare se siano o meno abilitate ad occuparsi di una certa questione. Il problema si è posto anche con riguardo ai casi qui considerati.
Giurisdizione e competenza delle Corti
Il problema si è posto innanzitutto al Procuratore della Cpi. In principio la Cpi può esercitare la sua giurisdizione solo rispetto a crimini commessi sul territorio di uno Stato aderente alla Corte o da suoi cittadini. Senonché né l’Ucraina né la Russia hanno aderito alla Cpi. Il Procuratore si è però avvalso dell’art. 12.3 dello Statuto, ai sensi del quale la giurisdizione della Corte può estendersi anche a Stati terzi che abbiano dichiarato di accettarla. Questo ha fatto l’Ucraina con una prima dichiarazione relativa a crimini internazionali commessi sul suo territorio tra novembre 2013 e febbraio 2014; seguita da una seconda dichiarazione che ha eliminato ogni limite temporale. L’indagine avviata dal Procuratore appare pertanto del tutto legittima.
Un problema di competenza si è posto anche alla Cig nel giudizio instaurato dall’Ucraina. A sostegno della giurisdizione della Corte, l’Ucraina ha invocato la Convenzione sul Genocidio del 1948, sottoscritta da ambedue le parti, che all’art. IX espressamente abilita la CIG a dirimere ogni controversia inerente alla sua applicazione. La Russia ha tuttavia contestato la giurisdizione della Corte, dapprima astenendosi dal partecipare all’udienza di discussione delle misure cautelari e poi inviando un documento esplicativo della sua posizione. In questo documento la Russia ha sostenuto che la sua azione militare si fonda sull’art. 51 delle Nazioni Unite (autotutela) piuttosto che sulla Convenzione sul Genocidio; questa non potrebbe quindi costituire la base dell’intervento della CIG. La tesi della Russia è stata però rigettata dalla Corte, osservando che in ripetute occasioni la Russia ha additato il preteso genocidio nel Donbass per giustificare il suo ricorso alla forza. La CIG deve ritenersi pertanto pienamente legittimata ad esercitare la sua giurisdizione.
I dubbi sull’efficacia dei procedimenti
L’iniziativa del Procuratore della CPI e la decisione della CIG sono dunque fondate su solide basi giuridiche; restano però i dubbi circa la loro concreta efficacia. Sono rari i casi in cui la CPI ha potuto esercitare la sua giurisdizione: non basta individuare i responsabili di crimini internazionali, occorre anche ottenere la loro estradizione all’Aja. Per Statuto, infatti, il giudizio nei loro confronti può svolgersi solo in presenza. Le difficoltà di riuscirvi sono evidenti. Non minori difficoltà incontra l’attuazione delle decisioni della CIG. Per la Carta delle N.U. (art. 94) esse sono vincolanti, ma se la parte soccombente non vi dà attuazione, l’altra parte può solo ricorrere al Consiglio di Sicurezza, con quasi nulla probabilità di successo se si scontra con uno Stato dotato del diritto di veto (come è nel nostro caso).
Pur con tutti i limiti ora richiamati, il coinvolgimento della CPI e della CIG nella vicenda dell’Ucraina merita di essere debitamente sottolineato. È certo che un’auspicata cessazione delle violenze dipenderà dal contesto politico e militare piuttosto che da considerazioni strettamente giuridiche. Tuttavia, vi è da credere che il prestigio delle Corti internazionali coinvolte, la straordinaria tempestività dei loro interventi, le situazioni di diritto da esse tracciate possano avere un qualche peso al tavolo delle trattative.