Corea del Sud: Yoon Suk-yeol vince senza un forte mandato popolare

Mercoledì 9 marzo, il candidato conservatore Yoon Suk-yeol è stato eletto presidente della Corea del Sud. Si tratta della seconda elezione più partecipata della storia del Paese, dopo quella del 2017: nonostante i protagonisti della campagna elettorale siano stati gli attacchi personali e non i programmi di governo, l’affluenza alle urne è stata del 77%.

Il tasso di partecipazione, unito al successo della transizione democratica – il candidato democratico Lee Jae-myung ha subito riconosciuto la vittoria dell’avversario – rappresenta un buon segnale per la giovane democrazia sudcoreana. Allo stesso tempo, i seggi hanno restituito l’immagine di un Paese spaccato su più livelli. Terminato il mandato di Moon Jae-in a maggio, Yoon si troverà ad affrontare numerose sfide domestiche e internazionali.

Fratture nazionali e generazionali

Annunciato come il confronto più aperto degli ultimi vent’anni, l’elezione ha rispettato le aspettative: Yoon ha ottenuto il 48,56% delle preferenze ed è stato eletto con uno scarto di circa 250 mila voti su Lee, che si è fermato al 47,83%. A livello regionale, l’elettorato si è espresso secondo dinamiche consolidate: il Partito democratico si è imposto nella regione sud-occidentale (Cheolla), mentre quello conservatore ha avuto la meglio nella zona sud-orientale (Kyongsang).

La chiave di volta per la vittoria di Yoon è stata la conquista della capitale Seoul, ottenuta con ben cinque punti percentuali di distacco, che ha consentito al partito conservatore di tornare in auge dopo la sonora sconfitta del 2017. Analizzando il voto su base generazionale, sebbene gli elettori tra i 40 e i 50 anni abbiano espresso una netta preferenza per Lee, Yoon ha ottenuto la metà dei voti degli under 30 e circa i due terzi delle preferenze degli elettori sessantenni e più anziani, che rappresentano il 16% della popolazione.

La questione di genere in Corea del Sud

La distanza diventa decisamente più marcata se analizzata da una prospettiva di genere, ancor più alla luce del fatto che la Corea del Sud si colloca 102esimo posto (su 156 Paesi) del Global Gender Gap Report e ha un divario retributivo di genere di oltre il 34%.

Secondo gli exit poll, soltanto il 30% delle elettrici tra 20 e 29 anni ha votato per Yoon, rispetto al 59% degli elettori ventenni e al 53% degli uomini tra 30 e 39 anni. Durante la campagna elettorale, Yoon ha sfruttato l’ondata di anti-femminismo nel Paese – circa l’80% degli uomini dichiara di sentirsi discriminato a causa del proprio genere – dichiarando a più riprese che non esiste alcuna discriminazione strutturale di genere in Corea del Sud, e proponendo di abolire il ministero per le Donne e la Famiglia, l’equivalente del ministero per le Pari Opportunità.

Nonostante Yoon abbia respinto le accuse di aver sfruttato le divisioni di genere per propaganda politica, non stupisce che l’elettorato femminile più giovane si sia espresso in maniera diametralmente opposta.

Sfide domestiche e internazionali

Il presidente-eletto eredita un Paese diviso anche a livello istituzionale. Il Partito democratico detiene una super-maggioranza all’interno dell’Assemblea nazionale – l’organo legislativo – con 172 seggi su 300. Poiché le prossime elezioni legislative si terranno nel 2024, questa ‘coabitazione’ potrebbe mettere a rischio l’attuazione dell’agenda politica di Yoon. Non è difficile ipotizzare che i parlamentari democratici intendano complicare il lavoro del nuovo presidente, cominciando con la nomina del nuovo Primo ministro e della squadra di governo.

Inoltre, per raggiungere alcuni obiettivi – come quello di favorire la crescita economica e di frenare l’aumento dei prezzi delle proprietà immobiliari deregolamentando il settore privato – Yoon avrà bisogno del supporto istituzionale e popolare, che potrebbe mancare in un Paese così diviso. Allo stesso tempo, Yoon dovrà trovare una soluzione per poter governare, in quanto nei primi anni del mandato lo attende un appuntamento elettorale cruciale.

Considerando che Yoon non ha alcuna esperienza politica, questa divisione sul piano istituzionale può influenzare notevolmente anche la sua politica estera. In primo luogo, senza un forte sostegno non sarà facile dare seguito alla volontà di abbandonare l’engagement di Moon in favore di politiche di contenimento della minaccia nucleare nordcoreana, compresa l’ipotesi di un attacco preventivo come mezzo deterrente. L’equilibrio della penisola si regge sul filo del rasoio e un cambio di tendenza così radicale sarebbe difficile anche potendo contare su una maggiore coesione interna. Inoltre, la proposta di condannare più esplicitamente la Cina per le violazioni dei diritti umani in Xinjiang e a Hong Kong potrebbe essere ostacolata dalla necessità di mantenere la cooperazione economica con Pechino.

Infine, se rafforzare l’alleanza con gli Stati Uniti e collaborare con i Paesi del QUAD (India, Australia e Giappone) in chiave anti-cinese non sembrano obiettivi a rischio, nascondono più insidie le relazioni bilaterali con Tokyo, che rimangono tese a causa di alcune questioni storiche irrisolte, come quella delle comfort women. Nonostante Yoon abbia ventilato la possibilità di mettere in secondo piano le questioni storiche e focalizzarsi sul miglioramento delle relazioni bilaterali, anche questa strategia potrebbe essere difficile da realizzare in mancanza di un chiaro mandato popolare e del supporto dell’Assemblea nazionale.

A cura di Veronica Barfucci, caporedattrice della redazione Asia de Lo Spiegone

***Lo Spiegone è una testata giornalistica formata da studenti universitari e giovani professionisti provenienti da tutta Italia e sparsi per il mondo con l’obiettivo di spiegare con chiarezza le dinamiche che l’informazione di massa tralascia quando riporta le notizie legate alle relazioni internazionali, della politica e dell’economia.

Foto di copertina EPA/JUNG YEON-JE/POOL

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