Come l’Italia attuerà il Codice dei crimini internazionali

La guerra in Ucraina ha accelerato un processo fermo da anni: il ministero della Giustizia ha istituito una Commissione ministeriale, per il varo di un Codice dei Crimini internazionali, che dovrà dare attuazione alle previsioni di diritto sostanziale dello Statuto della Corte penale internazionale. Per l’Italia si tratta di una sfida epocale per una nuova fase di affermazione dei principi del Diritto internazionale umanitario e del Diritto internazionale penale.

Le definizioni dei crimini internazionali

Esaminato, per sommi capi, il contesto internazionale in cui ha avuto luogo il difficile sviluppo delle ratifiche e dei più recenti emendamenti apportati allo Statuto della Corte penale internazionale, è il caso di richiamare, anche qui in chiave essenziale, i principali istituti di diritto sostanziale del Rome Statute (RS), che il lavoro della Commissione ministeriale dovrà tradurre in norme di diretta attuazione nell’ordinamento interno.

Il compito principale riguarderà la definizione dei crimini internazionali che nello Statuto hanno già una nozione e una specifica catalogazione. Si parla dunque del crimine di aggressione, cui si è fatto già cenno, altrimenti indicato come il principale “crimine contro la pace”, una figura tipica di a leadership crime che, in sostanza, concerne l’attacco ingiustificato contro la integrità territoriale di un altro Stato, condotto al di fuori delle condizioni previste dalla Carta delle Nazioni Unite.

Seguono i crimini di guerra in una catalogazione più complessa, che li riconduce alle Gravi infrazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949 e alle violazioni delle leggi e consuetudini di guerra.

Vi sono poi i crimini contro l’umanità, che comprendono omicidi, stermini, schiavitù, stupri, persecuzioni, altri atti inumani commessi su larga scala, “nell’ambito di un esteso e sistematico attacco contro le popolazioni civili”, e, infine, il genocidio, ovvero l’intento deliberato di annientare un gruppo etnico, nazionale, razziale o religioso, perseguibile anche per diversi atti ad esso diretti.

Si tratta, nella sostanza, di definizioni tratte dalla elaborazione concettuale e giurisprudenziale derivata dallo sviluppo del Diritto Internazionale Umanitario, che dalle prime Convenzioni di Ginevra del 1864 e dell’Aja del 1899 ha visto confluirvi le regole del Diritto bellico, chiamato oggi Diritto dei conflitti armati, per affermare il canone della limitazione della violenza bellica, sotto i principi della “necessità e proporzionalità”, e della tutela della popolazione civile, nonché di altre categorie “protette”, gli hors de combat, i feriti, i malati, e  i prigionieri di guerra.

I riferimenti giurisprudenziali sono riconducibili in particolare ai principali organismi giurisdizionali internazionali, dal Tribunale di Norimberga e Tokio fino a quelli per la ex Jugoslavia e al Ruanda e anche agli altri tribunali “internazionalizzati” o “misti”, in cui sono stati affermati sul piano del Diritto internazionale penale i principi del Diritto internazionale umanitario. Beninteso altrettanta valenza ha anche tutto l’ampio complesso valoriale elaborato dal sistema giuridico di tutela dei diritti umani, così come risulta definito in particolare dalla Dichiarazione universale di diritti umani del 1948 e dai relativi atti discendenti.

Le possibili previsioni del Codice

A differenza del sistema di tutela dei diritti umani, tuttavia, quello dell’adeguamento dell’ordinamento italiano alle norme del diritto internazionale umanitario è un problema allo studio da diversi anni. Dopo vari tentativi di modifiche legislative e qualche richiamo nelle norme sulle operazioni all’estero (tuttavia parziale e poco incisivo), di fatto le uniche norme specifiche che si possono rinvenire nel nostro ordinamento riguardano ancora il titolo IV “Dei reati contro le leggi e gli usi di guerra” del Codice penale militare di guerra, approvato con il Regio Decreto 20 febbraio 1941, n. 303, prima ancora delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, rese esecutive con la Legge 27 ottobre 1951, n. 1739.

L’esperienza degli studi e delle iniziative delle trascorse legislature però dovrebbe ora facilitare il percorso che è apparso opportuno modellare sulla scelta di introdurre un nuovo corpus iuris, appunto un Codice dei Crimini internazionali, così come fatto anche in altri ordinamenti nazionali. Tra i principali problemi che la Commissione dovrà approfondire probabilmente potranno esserci alcuni aspetti in particolare:

1) la definizione della giurisdizione nazionale in rapporto al regime di “complementarietà” della Corte (che interviene solo in caso di “unwilling” o “unable” a procedere);

2) la definizione del crimine di “aggressione”, specie con riferimento alle richieste determinazioni del Consiglio di sicurezza e alla qualificazione di “a leadership crime”;

3) la distinzione e la tipicizzazione dei crimini di guerra e contro l’umanità, anche in coordinamento con le altre Convenzioni di diritto internazionale umanitario, incluse quelle relative alla proibizione o limitazione dell’uso di determinate armi;

4) le previsioni dello Statuto che non consentono prescrizione, immunità ed esimenti dell’ordine superiore;

5) le questioni controverse riguardanti le nozioni di criminal intent, joint criminal enterprise, e conspiracy, specie in rapporto alle figure giuridiche del dolo (diretto, indiretto, eventuale), del concorso, del concorso esterno, dell’associazione e del favoreggiamento, tipiche del nostro ordinamento;

6) la verifica di costituzionalità, il riparto di giurisdizione tra magistratura ordinaria e militare, e il raccordo con il codice penale, e i codici penali militari di pace e di guerra.

La sfida della giurisdizione universale

Un problema a parte potrà essere posto nel caso si voglia fare una scelta anche più coraggiosa, che comunque potrebbe avere un rilievo per essere pienamente aderenti allo “spirito” dello Statuto (il “Geist des Statuts”, in Principles of International Criminal Law, G. Werle e F. Jeßberger, 2020) e del diritto internazionale umanitario. Si tratterebbe di dare attuazione anche in Italia al principio di “giurisdizione universale”, che consentirebbe la punizione in ogni luogo e tempo dei colpevoli dei crimini internazionali – al di là delle regole sulla competenza del locus commissi delicti o della appartenenza allo Stato dei responsabili dei crimini internazionali – analogamente a quanto già previsto da moderni ordinamenti giuridici, come quello della Germania, del Regno Unito e della Spagna.

Per la Commissione e il Parlamento si tratterà in ogni caso di una sfida epocale che getterà le basi di una nuova fase di affermazione dei principi del Diritto internazionale umanitario e del Diritto internazionale penale in Italia.

Foto di copertina ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

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