L’Italia verso l’attuazione dello Statuto della Corte Penale Internazionale

Il Ministero della Giustizia ha annunciato la costituzione di una Commissione per l’elaborazione di un Codice dei Crimini internazionali, in attuazione dello Statuto della Corte penale internazionale. Per l’Italia si tratta di una sfida epocale per una nuova fase di affermazione dei principi del Diritto internazionale umanitario e del Diritto internazionale penale.

L’avvio dei lavori per un Codice dei Crimini internazionali

Con una nota ufficiale apparsa su gNews – giustizia News online, il quotidiano digitale del Ministero della Giustizia,  è stato annunciato che con il Decreto Ministeriale del 22 marzo scorso è stata istituita una Commissione per l’elaborazione di un progetto di Codice dei Crimini internazionali. L’obiettivo del Ministero è di completare “l’adattamento nel diritto interno della materia dei crimini internazionali”, che richiede “di organizzare e sistematizzare una disciplina complessa, tenendo conto dei criteri generali di legalità e personalità della tutela penale”.

Il riferimento esplicito è al percorso di completamento per l’attuazione dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale (CPI), lo Statuto di Roma adottato il 17 luglio 1998 a Roma dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite, la cui entrata in vigore internazionale è avvenuta nel 2002. In Italia l’attuazione sinora si è sviluppata in termini generali con la legge di ratifica, Legge 12 luglio 1999, n. 232, e con la Legge 23 dicembre 2012, n. 237, relativa essenzialmente alla cooperazione giudiziaria con la Corte penale internazionale.

Nonostante vari tentativi avviati nelle scorse legislature, fra cui quella della nota “Commissione Conforti”, presieduta dal compianto internazionalista prof. Benedetto Conforti (1930-2016), manca ad oggi proprio la parte di diritto sostanziale che riguarda la definizione dei crimini internazionali di competenza della Corte: l’aggressione (internazionale), i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, il genocidio.

Composizione e adempimenti della Commissione

La Commissione ha un programma di lavori che va dal 31 marzo al 30 maggio p.v., data di prevista conclusione, dalla quale sarà poi promosso l’iter governativo per trasferire l’elaborato in una iniziativa legislativa da sottoporre all’esame parlamentare, ai fini della approvazione di una legge ad hoc. Si tratta di una commissione di esperti, che sarà co-presieduta da Francesco Palazzo, professore emerito di diritto penale presso l’Università di Firenze, e da Fausto Pocar, professore emerito di diritto internazionale presso l’Università di Milano. Tra gli altri componenti figurano diversi docenti in diritto internazionale e diritto penale, nonché le massime cariche della magistratura ordinaria e militare, nonché vari dirigenti degli uffici giuridici e legislativi dei Ministeri della Giustizia, degli Affari esteri e della Difesa. Vi figura anche il giudice italiano designato alla Corte penale dell’Aja, Rosario Aitala.

La Commissione si avvarrà pure di un comitato scientifico, con funzioni di segreteria tecnica, e potrà articolare il lavoro in subcommissioni, per l’approfondimento di specifiche tematiche. È prevista anche l’audizione, su proposta della Presidenza della Commissione, di altre “persone o rappresentanti di Enti che hanno particolare esperienza nel settore”. Il Decreto Ministeriale assegna esplicitamente due compiti alla commissione: 1) l’esame delle iniziative già proposte per la compiuta attuazione dello Statuto di Roma; 2) la stesura di un Codice dei crimini internazionali per assicurare il compiuto adattamento dello Statuto di Roma.

Il contesto di riferimento

Non vi è dubbio che l’iniziativa – che, come si è detto, era stata già avviata in precedenti occasioni per poi arenarsi data la complessità della tematica – sia ritornata di attualità con i tragici scenari della guerra in Ucraina. Va infatti ricordato che il Governo italiano, su parere conforme del Ministero degli Affari esteri e della Giustizia, ha deciso di comparire tra i primi 39 Stati, con in testa la Lituania, che il 2 marzo scorso hanno presentato il referral, ex art. 14 dello Statuto, al Procuratore della Corte penale internazionale dell’Aja, per avviare le indagini sui crimini internazionali perpetrati nella guerra in Ucraina. L’iniziativa ha consentito all’organo inquirente della CPI di muoversi più celermente, aggirando il passaggio della Pre-Trial Chamber.

Da più parti in verità era stato osservato che l’Italia stesse procedendo con ritardo rispetto agli obblighi di attuazione che avrebbe dovuto assumere dopo 20 anni dalla entrata in vigore internazionale, e a 22 anni dalla data della approvazione dello Statuto. E questo accadeva proprio all’Italia, che della CPI è stata ferma sostenitrice nel corso della Conferenza diplomatica delle Nazioni unite svoltasi a Roma e conclusasi con l’approvazione del testo definitivo e l’ “apposizione delle firme” avvenuta in una solenne cerimonia in Campidoglio nel 1998.

Le ragioni di tale ritardo sono varie e probabilmente anche giustificate dalle difficoltà in cui la giurisdizione della Corte si è dovuta muovere nel contesto internazionale. È senz’altro vero che lo Statuto di Roma può vantare un alto numero di ratifiche: sono infatti 123 gli Stati parte. Ma mancano quelle delle “grandi potenze” che siedono nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, come la Russia, la Cina e gli stessi Stati Uniti. Questi ultimi in particolare sono stati protagonisti durante la presidenza Trump (che ha emesso anche un executive order contenente sanzioni personali contro i giudici della CPI) di una rottura con la Corte per l’avvio di indagini su presumibili abusi commessi da militari statunitensi in Afghanistan, tra il 2003 e il 2004, e solo recentemente la presidenza Biden ha dato segnali compiuti di riapertura dei rapporti con l’Aja.

La comunità internazionale ha poi a lungo dibattuto sulla definizione del crimine di “aggressione”, cui è potuta pervenire nel corso della Conferenza di revisione sullo Statuto che ha portato agli emendamenti allo Statuto adottati a Kampala il 10 e l’11 giugno 2010. Per l’entrata in vigore delle modifiche statutarie è stato necessario attendere 7 anni, 30 ratifiche e un voto favorevole di almeno due terzi dell’Assemblea degli Stati parte, condizioni realizzate solo il 17 luglio 2018. L’Italia ha provveduto alla ratifica con la Legge 10 novembre 2021, n.202. Tuttavia, i problemi della mancata attuazione in Italia dello Statuto sono principalmente legati alla complessità e tipicità dell’ordinamento nazionale.

Foto di copertina ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

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