Ancor prima che il mondo potesse riprendersi dal Covid-19, l’invasione russa dell’Ucraina ha complicato ulteriormente un panorama geopolitico già teso, mentre la risposta alla crisi climatica è passata in secondo piano. Anche se si può sperare che l’orrore in corso in Ucraina sia di breve durata, la guerra ha comunque già spinto verso una visione più securitaria dell’interdipendenza globale. I prezzi dei combustibili fossili sono saliti alle stelle, quelli dei prodotti alimentari sono in rapido aumento – e con essi l’inflazione e l’insicurezza globale. Il trasporto su rotaia e via camion è piombato nel caos, le navi sono state costrette a dirottare.
Le interruzioni delle catene di fornitura continuano e si parla molto di una “diversificazione” urgente e inevitabile per sviluppare resilienza contro gli shock esogeni alla luce della cosiddetta “interdipendenza armata”. Senza dubbio, l’economic statecraft è diventato un’arma potente.
L’impatto della guerra su decarbonizzazione e digitalizzazione
Il campo minato della politica globale è dunque di cattivo auspicio per i progetti di decarbonizzazione e digitalizzazione? Le catene di fornitura dei minerali critici sono state colpite? Gli impegni del Green Deal sono stati accantonati? Ci sono sia buone che cattive notizie, e gli esiti andranno valutati meglio nei prossimi mesi.
In primo luogo, a differenza della pandemia, la guerra ha dato una nuova vita ai combustibili fossili. I prezzi dell’energia si sono impennati sia per il petrolio che per il gas e rimangono altamente volatili. L’Unione europea, per esempio, ha imposto sanzioni economiche senza precedenti alla Russia, ma ha dovuto riconoscere che non può tagliare le sue forniture di energia dalla Federazione. Si è impegnata a ridurre la dipendenza dalle importazioni di gas russo di due terzi entro la fine del 2022. Altro fatto importante, l’Ue ha fatto ricorso a qualsiasi fonte di energia disponibile (compresi il nucleare e il carbone) per mantenere l’economia in movimento e le luci accese. A breve termine, questo costituisce uno schiaffo alle ambizioni climatiche di Bruxelles. Nel medio e lungo termine, tuttavia, rende ancora più profondo l’impegno per la decarbonizzazione dell’economia europea.
Le forniture di terre rare
Mentre scriviamo, i produttori OEM (Original Equipment Manufacturers) confermano l’impegno all’elettrificazione dei trasporti, anche se i prezzi delle terre rare, del cobalto e del litio avevano subito un’impennata considerevole già prima della guerra. Le carenze nella fornitura globale di semiconduttori peggioreranno, con un impatto sul settore automobilistico e sull’elettronica di consumo. Una ragione è l’interruzione della produzione di alcuni gas fondamentali per la produzione di semiconduttori. Il neon, per esempio, è prodotto in Ucraina ed è essenziale per la produzione di chip avanzati. Le interruzioni nella produzione di nichel aumenteranno ulteriormente i costi delle batterie EV.
Tuttavia, l’industria, Bruxelles e i singoli Stati membri dell’Ue continuano a spingere per una maggiore resilienza e diversificazione delle loro catene di fornitura e puntano a portare una quota pari al 30 per cento della produzione mondiale di batterie all’interno dell’Ue. L’Unione europea e il Canada, inoltre, hanno firmato una partnership strategica per produrre sia i materiali sia le applicazioni necessarie per la decarbonizzazione. Attraverso l’ERMA (European Raw Material Alliance) e l’EBA (European Battery Alliance), Bruxelles e gli Stati membri stanno cercando nuove fonti di materiali e sostengono attivamente le infrastrutture di trasformazione intermedia (midstream) esistenti sul territorio dell’Ue. Anche se ci potrebbe essere qualche ritardo, l’UE rimane impegnata alla strategia Global Gateway volta a finanziare in modo trasparente nuove infrastrutture di connettività nel mondo in via di sviluppo che siano intelligenti, sostenibili e di “buona qualità”.
Gli scenari futuri
Per quanto riguarda la perdurante egemonia cinese sulle catene di fornitura di minerali critici, l’Europa sostiene la diversificazione, non il decoupling dalla Cina, anche se gli Stati Uniti hanno ribadito la loro intenzione di conseguire una maggiore autonomia da Pechino. Tutti i principali attori industriali, inoltre, e soprattutto gli Stati Uniti e la Cina, si contendono il controllo del dominio tecnologico, mentre la digitalizzazione dell’economia globale continua senza sosta.
Per i Paesi in via di sviluppo, le ricadute della guerra in Ucraina e la spirale apparentemente infinita del Covid stanno esacerbando le difficoltà socioeconomiche, oltre ad avere un impatto negativo sui loro fragili sistemi di governance. Nonostante i prezzi delle loro preziose risorse stiano salendo alle stelle, l’aumento dei costi energetici e alimentari sta infliggendo un altro duro colpo alle loro economie.
Per il momento, la decarbonizzazione e la digitalizzazione rimangono i due grandi progetti industriali del ventunesimo secolo. Anche se importanti, non sono tuttavia sufficienti a salvaguardare il pianeta da un riscaldamento superiore a un grado e mezzo, e il 2030 è dietro l’angolo. Se si manterrà il sangue freddo e se l’attuale stop alla cooperazione globale sarà di breve durata e gestibile, forse potremmo ancora essere in grado di concentrare le nostre energie sulla protezione dei beni comuni globali e sulla transizione verso un’economia a basse emissioni di anidride carbonica in un modo che sia inclusivo ed equo tanto nei Paesi sviluppati quanto in quelli in via di sviluppo.
The International Spectator è la rivista scientifica peer-reviewed in lingua inglese dello IAI curata da Daniela Huber e Leo Goretti.