Il nodo del gas russo non si scioglierà facilmente

L’ultima settimana ha visto l’Unione europea intraprendere i primi passi sulla strada della riduzione e dell’eliminazione della dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili russi. Un compito decisamente arduo, visti gli attuali volumi scambiati e un contesto di mercato non ottimale. Sebbene la strada sia tracciata, non mancano forti incertezze e differenze fra gli Stati membri nell’approccio complessivo, emerse nel Consiglio del 24-25 marzo scorso.

La cooperazione energetica Usa-Ue

Durante la visita del presidente Usa a Bruxelles, gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno lanciato una task force congiunta per la cooperazione in materia di sicurezza energetica. Gli Stati Uniti lavoreranno alla possibilità di fornire all’Europa 15 miliardi di metri cubi aggiuntivi di gas per l’anno corrente, mentre l’Unione europea prenderà iniziative per assicurare agli Usa una domanda annuale aggiuntiva di 50 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto (Gnl) americano almeno fino al 2030.

Precedentemente, la Commissione aveva illustrato una roadmap per la riduzione delle importazioni di gas russo di due terzi (circa 100 miliardi di metri cubi all’anno) entro il 2022 – secondo la quale il deficit dovrebbe essere parzialmente coperto, fra diverse misure, da 50 miliardi di metri cubi aggiuntivi di Gnl già da quest’anno. Diversi stati membri – soprattutto Germania, Italia e Francia – hanno annunciato di voler lavorare ad un rapido dispiegamento di capacità di rigassificazione aggiuntiva, attraverso grandi terminali onshore o più piccole e flessibili unità galleggianti.  Tuttavia, difficilmente il Gnl potrà offrire un contributo di vaste dimensioni nel bravissimo termine. Tralasciando colli di bottiglia infrastrutturali in Europa e aspetti contrattuali domestici, il piano della Commissione non sembra fondato su una valutazione realistica delle condizioni dell’offerta.

Un’offerta carente

Come ampiamente dimostrato dalla crescita dei prezzi del gas iniziata nel 2021, l’offerta sul mercato è carente. I produttori stanno usando la loro capacità quasi al massimo. Per il 2022, non più di 12 miliardi di metri cubi di capacità aggiuntiva arriverebbe sul mercato, mentre l’intera crescita dell’offerta prevista per il decennio non arriva a coprire i volumi russi verso l’Europa. Insomma, con le modeste quantità aggiuntive dagli Usa, promesse da Biden per il 2022, si coprirà al massimo l’8% delle esportazioni russe verso l’Ue.

Se davvero l’Europa vuole considerevoli quantità aggiuntive di Gnl, altri compratori dovranno rinunciare a parte delle loro importazioni. Non facile, visto che gran parte di essi acquista sulla base di contratti di lungo termine. In secondo luogo, una recrudescenza della concorrenza globale per scarse quantità di Gnl non russo implicherebbero significative pressioni al rialzo sui prezzi. In altre parole, sarebbero i paesi in via di sviluppo le principali vittime energetiche della guerra economica fra occidente e Russia.

Stoccaggi di gas: un cambio di passo?

Le iniziative di Bruxelles si sono inoltre concentrate sul tema degli stoccaggi. La Commissione ha lanciato una proposta di riforma della normativa che suggerisce di stabilire una quota di approvvigionamento pari all’80% delle scorte da raggiungere entro la fine di ottobre. La proposta nasce dal ruolo svolto dalle scorte insufficienti – soprattutto a causa dei bassi livelli di approvvigionamento delle strutture di Gazprom in Germania e Austria – nella crisi dei prezzi, e dunque nell’aver creato un ambiente di mercato caratterizzato da prezzi molto alti. Un contesto, dunque, particolarmente difficile per l’attivazione di sanzioni che colpiscano proprio il settore energetico russo.

In proposito, visto quanto l’anomalo comportamento di Gazprom ha inciso sui livelli delle scorte europee nello scorso inverno, la Commissione ha proposto di classificare gli stoccaggi come infrastrutture critiche, e dunque imporvi una certificazione riguardante la sicurezza energetica, stabilendo l’esproprio come extrema ratio in caso di mancato soddisfacimento delle condizioni. La proposta dovrà passare l’esame di Consiglio e Parlamento, e in caso di approvazione introdurrebbe un cambiamento significativo da un approccio storicamente fondato su logiche commerciali, ad uno che privilegia considerazioni strategiche.

Gas: la discussione su prezzi e mercato

Infine, è sulle misure di contenimento dei prezzi che stanno emergendo le maggiori divisioni fra gli Stati. Già durante la crisi dei prezzi di novembre, la Commissione e i paesi del nord hanno avversato le proposte franco-spagnole – con sponde in Italia e in Europa centro-orientale – per un acquisto congiunto del gas che aumentasse il potere negoziale dell’Europa negli approvvigionamenti; e per un disaccoppiamento dei prezzi del gas da quelli dell’elettricità.

Con le regole attuali, è il generatore più costoso – solitamente a gas – a determinare il prezzo di mercato e la remunerazione per tutti gli altri. Se da un lato tale meccanismo garantisce alle fonti rinnovabili stabilità nelle remunerazioni che incentivano nuovi investimenti e spinge le fossili fuori dal mix, dall’altro espone l’elettrificazione al rischio – ora non più solo di mercato ma politico – connesso alla dipendenza dalle importazioni di gas. Questo tema ha dimostrato di incidere su convinzioni di principio degli Stati piuttosto profonde e divergenti rispetto al ruolo del mercato e alle priorità climatiche.

Un accordo al ribasso è emerso anche sugli acquisti congiunti, che il Consiglio europeo ha deciso di mantenere per il momento volontari. Molti Stati temono che nel processo di disconnessione dal gas russo, una forte competizione possa emergere all’interno dell’Ue con pressioni al rialzo sui prezzi, e con gli Stati membri dotati di maggiori mezzi finanziari in una condizione di possibile vantaggio. In proposito, sembra che l’Ue previlegi il rafforzamento di meccanismi di solidarietà fra gli stati. Un maggiore consenso sembra infine emergere sul coordinamento per la tassazione sugli extraprofitti delle compagnie energetiche, e sul prolungamento di sostegni nazionali ai consumatori.

Il nodo del clima

E il clima? La Commissione ha più volte sottolineato che i piani non cambiano, e che proprio la decarbonizzazione rappresenta la risposta strutturale alla crescente insicurezza energetica. Vi sono tuttavia diversi elementi di perplessità. Una corsa europea al gas non russo potrebbe incoraggiare paesi di sviluppo ed emergenti – soprattutto in Asia – a riconsiderare piani di riduzione del ruolo del carbone, mentre i timori per il caro prezzi sembrano spingere gli Stati verso un sostegno ai consumi fossili che mal si concilia con un contesto di offerta limitata, soprattutto nella prospettiva di accelerazioni – intenzionali o meno – di uscita dal gas russo.

Insomma, il rischio è che si lavori troppo sulla diversificazione dell’offerta – finendo con l’esacerbare una conflittualità fra nord e sud del mondo per l’accesso alle risorse, aumentare il potere negoziale dei petrostati e potenzialmente compromettere l’agenda climatica – e non abbastanza sulla riduzione della domanda, l’opzione più coerente con le attuali priorità geopolitiche, economiche e ambientali.

Ultime pubblicazioni