Le tensioni marittime tra Grecia e Turchia alimentano vecchi rancori

Grecia e Turchia sono nuovamente faccia a faccia sulla scena marittima: dalle minacce del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan contro la Grecia fino alla retorica sulle rispettive violazioni del diritto internazionale si è poi aggiunto un grande attivismo con i rispettivi alleati. Atene cerca di condizionare il futuro assetto della Libia, mentre Ankara resta saldamente a Tripoli (anche grazie alla Russia). Entrambe sono impegnate in una corsa al riarmo navale che alimenta crescenti tensioni ed incidenti negli spazi marittimi contesi. Decisivo sarà il ruolo degli Stati Uniti nel frenare gli estremismi; anche Egitto, Israele e Italia possono favorire la distensione.

Posizioni inconciliabili

Le questioni di confine create cent’anni fa dai trattati di Sèvres e Losanna sono alla base dell’odierna rivalità tra Atene e Ankara. I due accordi restrinsero la sovranità turca alle isole comprese entro tre miglia dalla costa. Tutto il resto dell’Egeo passò alla Grecia con clausole di smilitarizzazione di certe isole; lo stesso fece il Trattato di Pace del 1947 nell’annettere il Dodecanneso italiano alla Grecia.

Le soluzioni di allora, unitamente alle differenti caratteristiche geografiche, condizionano antitetiche interpretazioni del diritto del mare. Il principale problema riguarda l’effetto delle isole sulle delimitazioni marittime: per Atene deve essere del 100% anche se esse risultano vicine alla costa turca; per Ankara andrebbe ridotto a tutto beneficio dell’equidistanza tra le coste continentali dei due Paesi.

Rilevante è anche la questione dell’estensione delle acque territoriali: la Grecia dichiara da anni di aver il diritto di portarle da 6 a 12 miglia. Il Parlamento turco nel 1996 deliberò di considerare una simile decisione un “casus belli” poiché gran parte dell’Egeo passerebbe sotto sovranità ellenica restringendo di fatto la libertà di navigazione.

Atene ha in programma tale ampliamento nello Ionio e attorno a Creta. Ankara risponde con avvertimenti. Di recente la Guardia costiera greca è intervenuta nella acque territoriali dell’isolotto di Farmakonisi ad est di Lero, allontanando pescatori turchi. Il fatto può essere la spia di ben altro: Ankara potrebbe progettare di spingere verso il largo le sue acque territoriali di 3 miglia mediante chiusura, con una linea di base dritta, di insenature come quella del Golfo di Mandalya (Gulluk) antistante Farmakonisi applicando norme del 1982.

Interessi convergenti

I due Paesi da qualche anno sono passati a politiche marittime assertive, benchè mantengano sotto traccia il contenzioso sull’Egeo. La dottrina turca della “Patria Blu” è anche una reazione alle iniziative della Repubblica di Cipro di delimitare la propria Zona economica esclusiva (ZEE) con Egitto, Libano ed Israele. Nicosia ha così acquisito importanti giacimenti di idrocarburi stabilendo confini che riducono la potenziale ZEE turca ad una ristretta fascia adiacente l’Anatolia. Atene asseconda tali pretese che si saldano con la rivendicazione al pieno effetto della piccola Kastellorizo (ex italiana Castelrosso).

Ankara sostiene invece che la sua ZEE ad ovest di Cipro arrivi fino al meridiano 32° 16’ 18’’ e ha negoziato un confine con l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord (RTCN). Nel 2019 ha inoltre stipulato un accordo sulla ZEE con Tripoli che ignora le isole greche di Rodi, Carpato e Creta mettendo in relazione l’Anatolia con la Cirenaica. L’intesa – considerata nulla e inefficace dalla Grecia- è stata seguita nel 2022 da un memorandum di sfruttamento delle risorse energetiche.

La risposta greca è stata, nel 2020, un accordo di delimitazione con l’Egitto che si sovrappone in parte alla pretesa ZEE turco-libica ma che lascia impregiudicate le aree di interesse turco ad est del meridiano 28°.

Ankara, Atene e il riarmo navale

Le ambizioni turche a dominare Mediterraneo orientale e spazi adiacenti sono dimostrate dalla crescita della Marina, dotata di una portaelicotteri di assalto anfibio (LHD) che impiega droni, nuove unità d’altura e dodici sommergibili. Nelle statistiche, il suo rango è oramai analogo a quello della Marina italiana.

Non inferiore lo sviluppo delle capacità navali greche con una consistente forza subacquea e nuove acquisizioni di fregate francesi. L’Italia, benchè esclusa da tale gara, ora è in lizza -assieme a Francia ed Olanda – per la fornitura di tre corvette.

Entrambi i Paesi sono ben consci del ruolo strategico delle proprie Marine. Atene presidia la sua potenziale ZEE svolgendovi esercitazioni ed Ankara dispiega navi da guerra a protezione delle attività offshore in aree contestate dove, nel 2020, si è verificata una mini collisione.

Possibili sviluppi

Sarà un caso, ma un tribunale di Tripoli ha sospeso a dicembre l’accordo turco-libico sulle attività offshore considerando che la ZEE interessata non è riconosciuta da Grecia ed Egitto. Atene chiede inoltre al di Governo di accordo nazionale (Gna) di avviare trattative per definire le ZEE tra Creta e Cirenaica, sperando che dopo le elezioni, con l’unificazione, possano crearsi condizioni a sé favorevoli.

Del gasdotto Eastmed, dopo la posizione contraria espressa dagli Stati Uniti, si parla meno e si ipotizza un ruolo dell’Egitto nell’esportazione di gas liquefatto verso Israele e Turchia. La leva economica potrebbe essere adoperata per coinvolgere maggiormente Ankara e convincerla a migliorare le relazioni con Grecia ed Israele.

Gli Usa, come già fecero nel 1996 per il caso dell’isolotto conteso di Imia/Kardak, hanno invitato le due Parti ad astenersi da ulteriori azioni escalatorie dopo l’incidente di Farmakonissi, incoraggiando “tutti gli Stati a risolvere le questioni di delimitazione marittima in accordo col diritto internazionale”.

L’approccio statunitense è anche quello italiano: il nostro Paese, pur vicino alla Grecia di cui condivide in ambito Ue le istanze, mantiene una posizione di terzietà, lasciando aperti tutti i canali di dialogo con Ankara.

Foto di copertina EPA/NIKOS CHALKIADAKIS

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