Tech, green e clean: i nuovi paradigmi per rifondare l’economia europea

Negli ultimi 15 anni, l’economia europea sembra essere entrata in un trend di poli-crisi permanente. Mentre per il Presidente francese Emmanuel Macron, i tempi dell’abbondanza erano già finiti nel 2022, i cambiamenti climatici, l’inflazione e la crisi energetica, così come la crescente concorrenza all’interno di un mercato globale spesso dominato dai giganti digitali di Stati Uniti e Cina, sono solo alcuni esempi di stress test a cui l’Unione europea (Ue) è stata continuamente sottoposta anche nel corso di quest’anno. Eppure, mai come oggi, il termine spesso abusato di resilienza europea sembra essere azzeccato. Nonostante l’inflazione galoppante e la crisi energetica stiano tentando di sfiancare gli investimenti, nel 2022 il Pil dell’Ue è cresciuto del 3,6% e il tasso di occupazione ha registrato trend positivi.

La strada per la piena ripresa e il rilancio dell’economia europea è però lunga e passa da un costante impegno ad ottimizzare le risorse scarse, innovando il modo di produrre e fornire beni e servizi. In termini di innovazione, la situazione non è poi così drammatica come potrebbe sembrare. Sebbene sia spesso considerata come “il vecchio continente”, l’Unione europea è ancora una delle regioni che innova di più al mondo. Secondo il Global Innovation Index, solo nel 2022, 17 paesi sui 30 più innovativi al modo provenivano dall’Ue (l’Italia è al 28° posto).

Europa polo di innovazione: Il Net Zero Industry Act

L’innovazione tecnologica rimane infatti alla base del processo di trasformazione necessario all’Ue per creare un benessere sostenibile e di lungo termine, rinforzando una rapida transizione verso la neutralità climatica. Ciò è particolarmente urgente alla luce del Green Deal europeo, che mira a trasformare l’Ue nel primo continente neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050 e a ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030.

In questo frangente si pone certamente il Net Zero Industry Act, la risposta europea non solo alle politiche di interventismo statale cinesi, ma anche allo US Inflation Reduction Act, la legge americana che consentirà a Washington di finanziare aziende green-tech con ingenti aiuti di stato (369 miliardi di dollari). Il Net Zero Industry Act mira a fare in modo che il 40% delle tecnologie pulite sia prodotto in Europa entro i prossimi dieci anni attraendo investimenti, facilitando l’accesso ai mercati, supportando ricerca e sviluppo e diminuendo la burocrazia per rilanciare le aziende che si occupano di clean-tech cioè quell’innovazione tecnologica che non è solo green e sostenibile ma che impatta positivamente l’ambiente.

L’impresa non è facile e richiederà un forte coordinamento tra Stati membri. Tuttavia, si tratta di un azione necessaria. L’Unione europea è al momento un importatore netto di questo tipo di tecnologie che hanno un mercato che globalmente triplicherà nei prossimi 6 anni, raggiungendo un valore di 600 miliardi di euro entro il 2030. Ad oggi però, per costruire un sistema efficace di reti di innovazione clean-tech in Europa, è necessario non tanto partire dai massimi sistemi, ma concentrarsi sul piccolo, ad esempio supportando la creazione di nuove start up nel settore, che rappresentano il cuore pulsante dell’innovazione.

Le startup clean tech in Ue: il caso di Germania, Francia e Italia

In Europa, il numero delle startup che operano in ambito clean-tech è sicuramente in aumento. Tuttavia, secondo uno studio del Centres for European Policy Network, la distribuzione di queste aziende non è armonica. Se si analizzano le principali economie europee in termini di Pil, cioè Germania, Italia e Francia, Berlino spicca in testa alla classifica, con l’Italia che registra un terzo di clean-tech startups rispetto a quelle della Germania. In effetti solo il 14% delle startup italiane opera nel settore delle clean-tech.

Al di là dei numeri, però, quello che rimane problematico è che, a livello nazionale, non esiste una definizione chiara di cosa siano le clean-tech. In Francia, ad esempio, le clean-tech rientrano in un’ampia gamma di aziende che trattano sia di innovazione tecnologica tout court, “le deep tech”, sia di quelle che si occupano di produzioni a basso impatto, come le green tech, che sicuramente innovano, ma diversamente dalle clean-tech non impattano positivamente sull’ambiente in maniera diretta. Pertanto, affinché le attuali agende europee funzionino, è necessario concordare concetti e definizioni concreti di clean-tech che possano essere facilmente resi operativi nei diversi Stati membri.

La difficoltà di accesso ai finanziamenti

Inoltre, se in tutti e tre i Paesi maggiori sussidi a questo tipo di aziende sarebbero ben accolti, nel caso italiano le startup ricevono meno finanziamenti rispetto ai loro concorrenti tedeschi e francesi. In effetti, il vero problema che le startup italiane operati nel settore clean-tech è proprio la difficoltà di accedere a finanziamenti non solo nella prima fase di sviluppo ed incubazione del progetto, ma soprattutto quando hanno bisogno di risorse per trasformarsi in piccole o medie imprese.

Il venture capital italiano sembra non credere nelle startup clean-tech. Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, dal 2015 al 2020, solo 13 startup di questo settore hanno ottenuto finanziamenti per un totale di 36,8 milioni di euro su 2,458 milioni di euro destinati all’ innovazione. Inoltre, non solo in Italia, ma anche in Francia ed in Germania, gli acceleratori di startup, che dovrebbero aiutare le aziende nel fare un salto di livello, non sono in grado di fornire risorse sufficienti e le banche richiedono garanzie spesso troppo elevate. Se il problema di accesso a finanziamenti adeguati potrebbe essere generalizzato a tutte le startup, nel caso delle clean-tech è maggiormente sentito perché i prodotti creati da quest’ultime hanno bisogno di più tempo per essere sviluppati e commercializzati e quindi spesso non rientrano nella logica dell’efficienza economica che vede il guadagno immediato come primo diktat.

Come in Italia, anche nel caso della Germania, dove il Future Fund lanciato dal governo nel 2020 ha contribuito a rafforzare gli investimenti anche privati nel settore clean-tech, ci sono ostacoli significativi legati alla scarsa liquidità del mercato nel segmento del capitale di rischio in generale e all’insufficiente attenzione alle attività di innovazione sulle soluzioni pulite. Inoltre, l’eccessiva burocrazia viene identificata dalle startup tedesche come un ostacolo significativo alla loro crescita. Secondo lo Startup Monitor, il 90% delle startup considera la semplificazione burocratica il primo obiettivo da raggiungere.

Nel caso della Francia, invece, sebbene le autorità francesi puntino a favorire la transizione ecologica tramite l’innovazione aziendale del Paese, non solo le lungaggini amministrative ma anche la sovrapposizione di diverse linee di finanziamento sono un ostacolo. A questo si aggiunge una particolarità tutta francese, dove si tende sempre a favorire i progetti sviluppati a Parigi. La concentrazione di startup clean-tech in specifiche aree geografiche e città è comune anche in Germania e in Italia. Tuttavia, mentre nel caso di quest’ultimi, ciò è dovuto principalmente alla presenza di maggiori finanziamenti pubblici o privati, nonché di poli di innovazione o tecnologici o di capitale umano, nel caso della Francia ciò sembra più legato ad una questione culturale, per cui la capitale viene preferita rispetto al resto del Paese.

Il Net Zero Act e il rischio di ambizioni inattese

In conclusione, nonostante il Net Zero Act Europeo punti a facilitare l’accesso a fondi per lo sviluppo di attività green e clean-tech, anche tramite la diminuzione dei vincoli burocratici, il rischio è che un piano europeo di larga scala non riesca ad affrontare in maniera consistente le barriere esistenti e persistenti nel mercato delle startup dei Paesi membri, che da sempre rappresentano la base dell’innovazione industriale e tecnologica.

Per questo, è necessario che anche i Paesi membri facciamo la loro parte cambiando l’approccio culturale alle startup e che le istituzioni pubbliche nazionali si impegnino maggiormente nel loro ruolo di garanti, diminuendo la burocrazia e facilitando gli investimenti privati sotto forma di acceleratori o capitale di rischio. Queste sono tutte azioni indispensabili per consentire alle clean-tech di acquisire le risorse necessarie in un sistema integrato ed efficace che non solo consentirebbe di generare nuove forme di prosperità ma che permetterebbe al progetto europeo di passare da uno stato di resilienza ad uno di rilancio sociale ed economico di lungo periodo.

Foto di copertina EPA/CAROLINE BREHMAN

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