Gli Usa vogliono sfidare la Cina in Africa su tecnologia e infrastrutture

La ministra del Tesoro statunitense Janet Yellen è recentemente partita per una visita di circa dieci giorni in diversi paesi africani, con l’obiettivo di rafforzare i rapporti in un continente in cui la Cina è diventata un attore importante. Yellen si è recata in Senegal, Zambia e poi in Sudafrica.

La visita arriva poche settimane dopo lo svolgimento, a dicembre, del vertice Africa-Stati Uniti a Washington, durante il quale la Casa Bianca ha annunciato investimenti per diversi miliardi di dollari nei prossimi anni. Cina e Russia da tempo stanno cercando di aumentare la loro influenza in Africa e gli Stati Uniti si trovano ora in una posizione difensiva, cercando di proteggere la loro posizione nel continente.

“Penso che l’obiettivo principale (del viaggio, ndr) sarà quello di posizionarsi rispetto alla Cina, il che è un peccato perché i paesi africani vogliono essere considerati per quello che sono, non come un campo di battaglia tra grandi potenze”: così ha definito la spedizione americana Susan Page, ex ambasciatrice statunitense in Sud Sudan e docente presso l’Università del Michigan. Il rischio, infatti, è che il continente possa trasformarsi definitivamente in un campo di battaglia economico, abbracciando anche la tecnologia e la sicurezza informatica.

Gli investimenti cinesi 

La Nairobi Expressway è una strada che si snoda attraverso la metropoli keniota come un gigantesco fiume: si estende per ventisette chilometri attraverso il cuore della capitale e collega l’aeroporto più importante del paese con il quartiere centrale, il Museo Nazionale e il Palazzo Presidenziale. La costruzione, sotto l’egida della Cina, è durata solo due anni. Ora la strada a pedaggio sta contribuendo a decongestionare le trafficate arterie della città.

Il ritmo degli investimenti cinesi in Africa è aumentato negli ultimi due decenni. Secondo il Ministero del Commercio cinese, gli investimenti diretti esteri (Ide) nel continente sono cresciuti a un tasso medio del 18% all’anno dal 2004 al 2016..

Anche il finanziamento di progetti appaltati dalla Cina in Africa è aumentato e nel 2015 ha raggiunto un picco di 55 miliardi di dollari, quasi venti volte il livello degli Ide. Allo stesso modo, nel 2016 la Cina era il principale esportatore verso l’Africa, con il 17,5% delle importazioni del continente. A metà 2017, più di diecimila aziende di proprietà cinese operavano in Africa.

Le aziende più grandi in termini di valore sono imprese statali che dominano nei settori dell’energia, dei trasporti e delle materie prime. Dal 2010 un terzo della rete elettrica e delle infrastrutture africane è stato finanziato e costruito da aziende cinesi. Gli investimenti, infatti, si sono concentrati in pochi settori chiave. Il settore delle costruzioni, con la nascita di zone economiche speciali a gestione cinese o la realizzazione di strade o ponti a pedaggio, è stato il principale canale per gli IDE, rappresentando il 35% degli investimenti totali nel 2020.

Ipotizzando un tasso di crescita annuale del 5% rispetto ai livelli del 2020 – come si è verificato negli ultimi cinque anni – gli Ide cinesi in Africa potrebbero raggiungere i 90 miliardi di dollari entro il 2035. Un tasso di crescita del 10% invece implicherebbe una cifra pari a 181 miliardi di dollari entro il 2035, il che potrebbe rapidamente rendere la Cina il principale investitore estero in Africa, a meno che il ritmo da parte di altri non aumenti. Non si tratta di un’ipotesi surreale: nel periodo 2011-2015, gli IDE cinesi in Africa sono cresciuti del 21% all’anno.

La risposta americana

L’impegno economico cinese in Africa non è passato inosservato ai politici statunitensi. Nel 2018, la “New strategy for Africa: Expanding Economic and Security Ties on the Basis of Mutual Respect” dell’amministrazione Trump cita la Cina 25 volte, ma non menziona la Nigeria o il Sudafrica, le maggiori economie dell’Africa subsahariana, a dimostrazione che questa strategia sia stata pensata più per contrastare la Cina che per impegnarsi con i paesi locali.

Questo atteggiamento è stato in gran parte mantenuto dall’amministrazione Biden. Il presidente e i suoi collaboratori non vogliono però che i leader africani percepiscano che gli interessi ufficiali degli Stati Uniti sono guidati principalmente dal desiderio di contrastare la Cina. In agosto, durante una conferenza stampa in Sudafrica, Blinken ha affermato che la strategia dell’amministrazione non è incentrata sulla rivalità con Cina e Russia. I funzionari statunitensi che si occupano di politica africana sono consapevoli del passato colonialista europeo e non vogliono che le nazioni africane siano trattate come pedine di una più ampia lotta geopolitica.

Al riguardo, l’ex Segretario di Stato americano John Bolton ha rivolto lo sguardo altrove, definendo gli investimenti cinesi in Africa come predatori: “l’uso strategico del debito tiene gli Stati africani prigionieri dei desideri e delle richieste di Pechino”. Queste critiche hanno trovato maggior vigore con la Belt and Road Initiative. Tuttavia, i sostenitori dell’impegno cinese in Africa hanno affermato come questi investimenti a lungo termine favoriscano una maggiore indipendenza dei paesi africani e non presentino le condizioni paternalistiche o imperialistiche, spesso comuni agli occidentali. Più preoccupanti, però, sono i timori che la Cina possa usare il suo crescente potere economico per ottenere concessioni che potrebbero essere economicamente e politicamente dannose per il continente.

I rischi tecnologici e il caso Huawei

Sebbene le osservazioni del presidente Joe Biden al recente vertice dei leader Usa-Africa non abbiano fatto alcun riferimento esplicito alla Cina, i risultati del meeting confermano che l’amministrazione americana considera gli investimenti e lo sviluppo tecnologico come un gioco a somma zero che gli Stati Uniti non possono perdere. In particolare, l’annuncio da parte di Biden di diverse iniziative legate al settore tecnologico segnala l’intenzione di contrastare l’attività della Cina.

Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda Huawei, colosso tech che sembrerebbe partecipare alla grande influenza della Cina nell’ecosistema tecnologico africano. Nonostante le accuse relative a operazioni di sorveglianza, reti poco sicure e gestione pericolosa dei dati, Huawei costituisce attualmente circa il 70% dell’infrastruttura 4G africana. Nel novembre 2022, ha annunciato l’intenzione di aumentare gli investimenti “per sostenere il costante sviluppo del 5G e facilitare la trasformazione digitale nella regione”.

Nell’agosto 2019, il Wall Street Journal ha riferito che Huawei avrebbe aiutato il governo ugandese a tracciare le attività del leader dell’opposizione Robert Kyagulanyi. Allo stesso modo, funzionari non meglio specificati dello Zambia hanno dichiarato che l’azienda cinese avrebbe aiutato il governo ad accedere ai telefoni e alle pagine Facebook di oppositori dell’allora presidente Edgar Lungu. In Burundi, Sudafrica, Senegal ed Egitto, Huawei avrebbe censurato contenuti e limitato l’accesso a numerosi siti web. Molti paesi africani partecipano inoltre all’iniziativa “Safe City” di Huawei, che fornisce il riconoscimento facciale e delle targhe, il monitoraggio dei social media e altre funzionalità di sorveglianza, con l’obiettivo di contrastare la criminalità.

Il radicamento di Huawei e la più ampia influenza della Cina nell’ecosistema tecnologico africano dovrebbero allarmare l’Occidente per diversi motivi. L’attenzione del vertice Usa-Africa per la tecnologia è quindi un primo passo per ravvivare le relazioni e ridurre queste vulnerabilità. Mentre Biden si prepara per la sua visita nel continente, deve essere pronto ad accelerare sulla cooperazione tecnologica, utilizzando le preoccupazioni su Huawei come punto di partenza.

In primo luogo, il presidente americano dovrebbe garantire in modo proattivo i finanziamenti del Congresso per la Trasformazione digitale con l’Africa (DTA, Digital Transformation with Africa), un progetto che ha lanciato alla conferenza di dicembre. Molte nazioni africane collaborano con Huawei perché le sue apparecchiature e i suoi servizi sono economici e facilmente disponibili, e l’azienda ha esperienza nell’operare in aree remote. La DTA punta a indebolire Huawei offrendo alternative affidabili.

Per mitigare efficacemente l’influenza di Huawei e di altri giganti tecnologici cinesi, gli Stati Uniti devono porsi come partner alternativo. Una rinnovata attenzione per l’Africa offre a Biden l’opportunità di rafforzare il vantaggio tecnologico e la posizione di leadership globale degli Stati Uniti e di collaborare alla realizzazione di infrastrutture di telecomunicazione sicure.

Foto di copertina EPA/Kim Ludbrook

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