Sri Lanka: cronache di una crisi annunciata

Gotabaya Rajapaksa, eletto presidente dello Sri Lanka nel 2019, ha infine ceduto alla rivolta esplosa nell’isola e ha confermato le sue dimissioni ed è fuggito dal Paese ormai in stato di emergenza.

Lo Sri Lanka viene lasciato dall’ex-militare, soprannominato il “terminator” della guerra civile che contrappose il governo alle Tigri Tamil, nel bel mezzo di una tremenda crisi economica che ha indebolito la popolazione dalla fine di dicembre 2021. L’assalto alla residenza presidenziale, simbolo del potere ottenuto dalla famiglia Rajapaksa ha portato all’estremo sviluppo delle proteste.

Le cause contingenti della rivolta

Le ragioni che hanno portato alla rivolta e all’abbandono dell’esecutivo da parte della famiglia Rajapaksa devono essere attentamente cercate fra cause economiche e sociali di medio e lungo corso. Innanzitutto bisogna sottolineare che la rivolta non può essere paragonata ad una rivoluzione politica ma uno spontaneo sommovimento popolare causato dalle rovinose e contingenti condizioni economiche dello Sri Lanka. Tali condizioni si sono manifestate, è vero, in questi primi mesi del 2022 ma affondano le proprie radici nella storia del paese, a partire dalla sua decolonizzazione, attraverso la guerra civile.

Nel 2019 Gotabaya Rajapaksa venne eletto dopo una competizione caratterizzata da una buona percentuale di volti nuovi, che tuttavia portò alla vittoria di un elemento conservatore ed ex-militare. Nonostante i nuovi candidati, il popolo cingalese optò per un candidato di più avanzata età anagrafica, protagonista di una narrativa buddhista nazionalista grazie alla quale conquistò i cuori e le menti di un elettorato spaventato anche da alcuni attentati di matrice religiosa avvenuti poco prima della tornata elettorale. In questo processo di identificazione politica bisogna considerare l’importante elemento del trauma subito dalla popolazione con la guerra civile che ha sconvolto il paese dal 1983 al 2009, e che ebbe in Gotabaya Rajapaksa uno dei suoi “uomini forti”, una delle risposte di stabilità all’anarchia.

Le quattro ragioni strutturali della crisi

Ma il governo di “terminator” Rajapaksa non ha saputo emendare la preoccupante situazione economica di Colombo aggravata da quattro fattori negativi decisivi: la mancanza di una rodata struttura produttiva di base in qualsivoglia settore, da quello agricolo a quello industriale, che è in parte l’eredità del dominio coloniale; la dipendenza dagli Investimenti Diretti Esteri (IDE)  e la loro contemporanea improduttività per il paese, con particolare riguardo a quelli della Cina (ma anche dell’India); l’incidenza di settori molto colpiti dalla pandemia, come il turismo sul Prodotto Interno Lordo (PIL) e infine una debole politica economica e monetaria.

L’ultimo fattore citato, ha rappresentato una motivazione scatenante del fenomeno dell’inflazione esplosa tra la fine del 2021 e l’inizio di quest’anno. Al termine del 2019 le riserve di valuta estera del paese erano ridotte a 7,6 miliardi di dollari statunitensi, al termine dell’anno successivo la disponibilità era scesa a 5,7 miliardi e infine, anche perché la bilancia dei pagamenti stava peggiorando a causa della pandemia, per il dicembre del 2021 si era arrivati a 3,1 miliardi di dollari. Di concerto, con la scarsità di liquidità a disposizione per pagare determinati beni importati e la contingente turbolenza economica dovuta alla guerra in Ucraina, l’inflazione è decollata in maniera quasi verticale: al 14,17%, in febbraio al 15,10% e poi al 30% circa in maggio e al 54% a giugno, rendendo fisicamente impossibile la sopravvivenza di molti nuclei familiari.

Prospettive politiche interne e internazionali

Le dimissioni del Primo ministro e fratello del presidente, Mahinda Rajapaksa, avvenute in maggio, non erano servite a placare il furore ormai dilagante. Dopo le dimissioni del presidente, Ranil Wickremesinghe ha temporaneamente assunto anche l’incarico di Capo dello stato in attesa della formazione di un nuovo governo. I movimenti legati alle sommosse non hanno saputo sinora trovare un’organizzazione politica che faccia da leader e si presentano come essenzialmente trasversali. L’intento delle proteste era stato, sin da subito, quello di cancellare l’influente (e corrotta) famiglia Rajapaksa dal panorama politico e, successivamente, con un governo ad interim ma comunque non legato ai precedenti decisori politici, preparare la strada per un minimo di recupero economico e la sottoscrizione ed emanazione di una nuova Costituzione.

Tra i molti giovani che sono scesi per le strade sembrano farsi strada le realtà della Inter University Student Union e della Socialist Youth Union, che sembrano vicine ad organizzarsi in un “Consiglio di lotta popolare” per sostenere la delicata fase della transizione almeno fino all’introduzione di una nuova Carta costituzionale. Le autorità internazionali, come le Nazioni Unite, preoccupate dagli sviluppi violenti della rivolta, premono per un transizione, ormai fondamentale per la sopravvivenza del paese, che avvenga il prima possibile e nel modo meno traumatico.

Quali siano attualmente la funzione e il peso dei partiti tradizionali nella gestione delle proteste è difficile da definire. I leader dei partiti parlamentari si sono incontrati nei giorni scorsi per discutere la formazione di un governo di transizione che includa varie rappresentanze (ad esclusione di figure legate ai Rajapaksa), ma sembrano essere scollegati dalla realtà delle rivolte.

La Cina guarda con preoccupazione la rivolta nel paese con bollettini giornalieri sulle agenzie di stampa ufficiali come News.cn, sia per gli investimenti realizzati, sia per l’importanza geopolitica dell’isola, punto focale della cintura marittima di Belt and Road Initiative (BRI). Gli sviluppi della rivolta, completata la transizione inoltre potrebbero rinsaldare i legami del governo dell’isola con la Cina o l’altra potenza regionale: l’India, che già a partire da febbraio si era sbilanciata con un prestito e assistenza sanitaria in cerca di una finestra di opportunità con coloro che saranno i nuovi decisori politici. La partita resta però da giocare, mentre il paese è in completa emergenza.

Foto di copertina EPA/CHAMILA KARUNARATHNE

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