Serbia-Kosovo: le resistenze di Pristina al piano Ue, ma il dialogo continua

La situazione internazionale ha portato ad un rinnovato impegno diplomatico occidentale verso la normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia.

Un nuovo piano franco-tedesco per un accordo tra Belgrado e Pristina, in particolare, è stato oggetto di intense discussioni negli ultimi mesi. L’ostacolo principale, per ora, è stato dato dalle forti resistenze interne da parte delle autorità di Pristina nel procedere alla realizzazione di un’Associazione di municipalità a maggioranza serba nel nord del paese, condizione già prevista negli accordi di Bruxelles del 2013 e ribadita dal nuovo piano franco-tedesco. Sebbene le parti coinvolte rimangano ancora ben lontane da una svolta, il dialogo continuerà con un nuovo incontro già previso nei prossimi giorni. Nessuno ha a disposizione un piano b.

Il dialogo continua

Nonostante l’Accordo di Bruxelles del 2013, concluso tra Serbia e Kosovo sotto l’egida dell’Unione europea, il dialogo tra le due parti è rimasto a lungo in stallo. Inoltre, negli ultimi anni ha registrato un grave deterioramento delle relazioni. Rispetto al periodo successivo alla dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo nel 2008, il rischio di nuove violenze è sostanzialmente diminuito. Ciononostante, la statualità del Kosovo non è mai stata riconosciuta dalla Serbia.

Inoltre, all’interno dell’Ue, cinque Stati membri non hanno ancora riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Le divisioni tra gli Stati membri rispetto alla statualità del Kosovo hanno rallentato il percorso d’integrazione nell’UE di Pristina. Ad oggi, il Kosovo rimane l’unico paese della regione a non avere ancora ricevuto lo status di paese candidato e l’accesso libero, senza visti, per i propri cittadini alla zona Schengen. Anche per Belgrado, comunque, un superamento definitivo della disputa con Pristina e una normalizzazione delle relazioni costituiscono condizioni imprescindibili per accedere all’Unione.

Una nuova spinta al dialogo è stata data delle attuali preoccupazioni per la sicurezza in Europa. La guerra in corso in Ucraina sembra aver contribuito all’internazionalizzazione della disputa tra Kosovo e Serbia, che fino a poco tempo fa era vista principalmente come un problema bilaterale localizzato. Gli interessi della Russia a mantenere una forte influenza nella regione, in particolare tramite i suoi legami con la Serbia, hanno aumentato l’urgenza di trovare una soluzione accettabile per entrambe le parti.

Il nuovo piano di normalizzazione

È in questo contesto che le diplomazie occidentali hanno portato avanti una nuova bozza di accordo per la normalizzazione delle relazioni, redatto da Francia e Germania, che dovrebbe aggiornare l’Accordo di Bruxelles del 2013. Il raggiungimento di un accordo generale e legalmente vincolante che normalizzi le relazioni tra il Kosovo e la Serbia contribuirebbe alla stabilizzazione della regione dei Balcani occidentali e aprirebbe la strada all’adesione di entrambi i paesi all’UE.

Il testo dell’accordo non è ancora stato reso pubblico. In base alle dichiarazioni dei funzionari e alle fughe di notizie dai media, l’accordo richiederebbe a entrambe le parti di “sviluppare reciproche relazioni normali e di buon vicinato basate sulla parità di diritti”; di “riaffermare l’inviolabilità presente e futura delle frontiere/confini esistenti tra di loro e impegnarsi pienamente a rispettare l’integrità territoriale reciproca”; di scambiare “missioni permanenti”; e impegnarsi al “reciproco rispetto della giurisdizione di ciascuna parte”.

In pratica, l’accordo prevederebbe (almeno per una prima fase) una normalizzazione delle relazioni senza riconoscimento del Kosovo, sul cosiddetto modello delle “due Germanie”. Punti cruciali dell’accordo sarebbero anche l’impegno serbo a non impedire al Kosovo di diventare un membro delle Nazioni Unite, mentre il Kosovo dovrebbe finalmente realizzare l’istituzione di un’Associazione di municipalità a maggioranza serba nel nord del paese. Su entrambi i punti era deragliata proprio l’implementazione dell’Accordo di Bruxelles del 2013.

Un’ulteriore stretta diplomatica è arrivata il 20 gennaio, con una visita di una delegazione diplomatica occidentale – composta da rappresentanti dell’Ue, Usa, Germania, Francia e Italia – prima a Pristina poi a Belgrado, per discutere il nuovo piano UE franco-tedesco. Nello stesso giorno, il rappresentante speciale dell’Ue per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajcak, l’inviato speciale del Dipartimento di Stato americano per i Balcani occidentali, Gabriel Escobar, i consiglieri di politica estera del presidente francese e del cancelliere tedesco, Emmanuel Bonne e Jens Ploetner, e il consigliere diplomatico del primo ministro italiano, Francesco Talo, hanno incontrato prima il premier kosovaro Albin Kurti a Pristina, e poi il presidente serbo Aleksandar Vučić a Belgrado. Nel farlo, hanno esercitando forti pressioni per l’accettazione dell’accordo.

Le reazioni di Belgrado e Pristina

L’incontro è stato rappresentato dal presidente serbo, prima ai media e poi al parlamento, con toni drammatici. I discorsi di Vucic tuttavia indicavano, per quanto in maniera riluttante, la necessità di una sostanziale apertura. Il nuovo piano Ue, come ha spiegato Vucic, è stato infatti presentato al paese come un ultimatum alla Serbia, che in caso di bocciatura avrebbe portato a conseguenze gravi per il paese. Lo scopo del suo discorso è stato quello di informare il pubblico sul prezzo che la Serbia avrebbe dovuto pagare se avesse rifiutato il piano.

Vucic ha riferito che i quattro paesi occidentali e l’Ue avrebbero minacciato, in caso di bocciatura del piano, la sospensione dei negoziati di ingresso nell’Ue oltre che l’arresto e poi il ritiro degli investimenti occidentali nel paese. Vucic ha anche ribadito la necessità che la Serbia continui il suo percorso europeo, e che, in caso di isolamento, sarebbe “politicamente ed economicamente persa”.

Le più forti resistenze al piano sono però arrivate dal primo ministro del Kosovo Albin Kurti. Quest’ultimo ha resistito alla crescente pressione internazionale sulla creazione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba. Un’iniziativa a cui il suo partito Vetevendosje si è sempre fortemente opposto, fin dai tempi in cui era all’opposizione. In parlamento, il premier kosovaro ha enumerato le sei condizioni per riprendere il dialogo per la creazione della suddetta Associazione, che sono apparse come un rifiuto dell’intero piano Ue. Queste infatti includevano, tra le altre cose, il rifiuto di concedere alla Associazione ulteriori autonomie rispetto alle competenze locali già adesso esercitate dai comuni in Kosovo (secondo la costituzione).

Un’altra altra delle richieste è il pieno riconoscimento della statualità del Kosovo da parte della Serbia, condizione da implementate prima della realizzazione dell’Associazione. Tramite la stampa, Albin Kurti ha inoltre invitato le potenze occidentali a non fare pressioni sul suo piccolo paese balcanico affinché accetti una controversa associazione di cinque comuni a maggioranza serba che sta aumentando le tensioni tra Kosovo e Serbia. Kurti ha dichiarato che l’obiettivo dovrebbe invece essere quello di rendere la Serbia più democratica e sbarazzarsi di quelle che ha definito le idee egemoniche di Belgrado.

Le resistenze del Kosovo

Il problema chiave per il Kosovo è la narrativa negativa creata attorno all’Associazione delle municipalità a maggioranza serba, ovvero il mancato accordo sull’attuazione di quanto già concordato nel 2013. Le ricerche condotte in Kosovo mostrano che la maggioranza dei cittadini kosovari di etnia albanese è favorevole a un accordo che comporterebbe un riconoscimento formale da parte della Serbia (75%). Mentre l’opzione del non riconoscimento da parte della Serbia con l’adesione del Kosovo a organizzazioni internazionali, con la formazione dell’Associazione di Comuni a maggioranza serba e uno status speciale per i monasteri, è stata sostenuta solo dal 9% dei cittadini del Kosovo.

Se il rifiuto di Pristina di accettare un compromesso riflette, in parte, una maggiore fiducia delle autorità kosovare nel tentare di isolare Belgrado, facendo leva sui legami con Mosca, dall’altra parte denota una debolezza interna della società kosovara che appare ancora incapace di affrontare al proprio interno il discorso sulla necessità di raggiungere un compromesso con le minoranze serbe nello stato kosovaro. Equiparare la concessione di maggiori autonomie a quei territori con maggioranza serba a una minaccia alla sovranità del Kosovo restringe lo spazio per il compromesso e allontana Pristina dai suoi due obiettivi chiave, ossia quello di ottenere l’adesione alle organizzazioni internazionali (Onu, Consiglio d’Europa) e quello di garantire un percorso di adesione all’Ue e alla Nato. Il raggiungimento di entrambi gli obiettivi non è possibile senza un accordo con la comunità serba in Kosovo e una soluzione politica con la Serbia.

Foto di copertina EPA/MILAN KAMMERMAYER

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