Lula e la strategia del ‘non allineamento’

“Nessuno proibirà al Brasile di migliorare le sue relazioni con la Cina”. Luiz Inácio Lula da Silva, portando a Pechino i colori verdeoro del suo Brasile vicino al petto, ricamati sulla cravatta, ha lanciato un poco velato messaggio a Washington. Per massimizzare l’autonomia strategica del Brasile e difendere l’interesse nazionale, il leader del PT usa il multipolarismo e divide in compartimenti stagni le relazioni con Washington e Pechino. Così un Lula realista gioca tra i due blocchi provando a ottenere risorse e narrative per risolvere i problemi domestici. I rischi sono molteplici, e passano per il conflitto in Ucraina.

Lula in Cina 

A partire dall’organizzazione logistica, la visita di Lula in Cina era destinata a irritare gli Stati Uniti. Lula è sbarcato il 13 aprile a capo di una delegazione di ministri, politici e imprenditori; un contrasto netto con l’incontro avuto con Biden a febbraio.

La delegazione ha visitato una sede di Huawei, società soggetta a sanzioni americane. Durante il bilaterale con Xi Jinping, Lula ha firmato 35 tra memorandum e accordi su aree cruciali per le sfide domestiche del governo brasiliano. In particolare, sforzi e risorse comuni andranno a rafforzare le innovazioni tecnologiche e industriali, i problemi sociali, tra cui fame e povertà, e il settore dell’agribusiness, importante per l’export ma anche gruppo di interesse in chiave elettorale.

Spiccano poi settori chiave per l’amministrazione Biden in America Latina: oltre ad aumentare l’energia green brasiliana, Cina e Brasile stanno negoziando un fondo di investimento per il clima. Inoltre, i due Paesi hanno aumentato la cooperazione nell’industria brasiliana dei semiconduttori, tema centrale delle tensioni tra Washington e Pechino. Inoltre, gli accordi hanno assicurano alle casse di Brasilia decine di miliardi di dollari di investimenti cinesi nell’economia brasiliana. Nel complesso la visita ha cancellato gli anni di rapporti freddi di Pechino con Bolsonaro, riportando le relazioni tra il Brasile e il suo primo partner commerciale e finanziario a livello del partenariato strategico del primo mandato di Lula (2003-2010).

Infine, dopo aver chiesto all’Ucraina di cedere la Crimea alla Russia, Lula ha discusso con Xi anche della guerra, portandogli la sua proposta di creare un gruppo di paesi ‘non allineati’ per mediare la pace. “Ogni parte vuole vincere e molte volte una guerra non ha bisogno di un vincitore”, ha spiegato Lula, chiedendo a Stati Uniti e UE di smettere di “incentivare” il conflitto, e parlare invece di pace.

Le relazioni con l’Asia e la guerra in Ucraina

L’incontro tra i presidenti delle prime economie di Asia e America Latina è stato il climax di un fitto periodo di viaggi, bilaterali e firme di accordi tra l’amministrazione di Lula e i vertici delle grandi potenze asiatiche. Sulla via della Città Proibita, il 13 aprile il presidente brasiliano ha assistito alla cerimonia di insediamento di Dilma Rousseff, sua erede nel 2011, come presidente della Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS. In quella riunione del gruppo che riunisce anche Russia, India Cina e Sudafrica, Lula ha gridato all’ingiustizia dietro al dominio del dollaro come valuta di riferimento del sistema monetario internazionale, lanciando una proposta di moneta alternativa dei BRICS. Un discorso non ben visto a Washington, soprattutto nel contesto della recente creazione di una camera di compensazione tra Brasile e Cina per scambi e commercio in Yuan.

Tra fine aprile e i primi di maggio, Lula ha poi inviato il suo ex ministro degli Esteri e oggi consigliere capo Celso Amorim prima a Mosca, dove è stato ricevuto da Putin in persona, e poi in Ucraina. Dopo l’incontro con Putin, Amorim ha dichiarato che non esiste una “soluzione magica” per fermare il conflitto. Anche da Kyiv, dopo giorni polemiche per le parole cinesi di Lula, sono arrivati segnali di distensione e apertura a un ruolo di mediazione da parte del Brasile. Con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Lula aveva discusso in videochiamata, spiegandogli la sua iniziativa per il gruppo di pace. Ma al ritorno dalla Cina, ad aspettare il ministro degli Esteri Mauro Vieira a Brasilia c’era l’omologo russo Sergei Lavrov, che ha ringraziato i brasiliani per la loro “chiara comprensione della genesi della situazione in Ucraina”. Lavrov ha aggiunto che una soluzione al conflitto può essere solamente basata sul “multipolarismo”, e non dall’Occidente che vuole dominare l’arena internazionale. 

I rischi della politica estera di Lula

La politica estera dei primi cento giorni di governo Lula non ha disatteso le aspettative, con il Brasile ambasciatore latinoamericano della posizione di ‘non allineamento attivo’ tra Cina e Stati Uniti. Se i temi, le firme e le dichiarazioni emersi da questa visita a Pechino riconfermano questa tendenza, comportano però una maggiore assunzione di rischi da parte di Lula. Gli interessi del Brasile continuano a dipendere dalle sue sfide sociali e ambientali interne, tra cui la povertà e la salvaguardia dell’Amazzonia.

La guerra in Ucraina resta un problema per Brasilia, che importa fertilizzante dalla Russia sanzionata per poi esportare prodotti agricoli e minerali in Cina. Gli Stati Uniti restano la prima fonte di investimento estero nel paese, Biden e Lula hanno in comune valori fondanti, tra cui il rispetto di democrazia e diritti umani, che Cina e Russia non condividono. Per portare avanti le sue istanze, il Brasile non punta unicamente alla rinascita dei BRICS come vent’anni fa. Conscio che le sfide sono diverse, Lula prova a portare il Brasile “al centro” di un mondo multipolare, soppiantando il dollaro e coinvolgendo paesi come Congo e Indonesia in questioni tematiche ma globali come l’ambiente. Una governance multipolare sostenuta dalle narrative di Cina e Russia su antiamericanismo e Sud Globale.

Ottenere il massimo da questi due schieramenti comporta per Lula una compartimentazione delle relazioni con Cina e Stati Uniti. Il tutto giustificato con la narrativa del non allineamento: in questo senso la posizione del Brasile in Ucraina riflette quella tra Washington e l’asse Mosca-Pechino. Questa politica a lungo termine si trascina dietro dei rischi enormi per il Brasile. Il più evidente è la possibilità che dagli States si stufino del gioco delle parti di Lula. La Cina sta offrendo a Lula quello che gli Stati Uniti non hanno ancora voluto dare, dagli investimenti per i semiconduttori al fondo per l’Amazzonia. Ma fare affari con i BRICS e con Pechino in settori critici per gli interessi statunitensi potrebbe non giovare alle sfide interne di Lula, specialmente perché nel 2024 alla Casa Bianca potrebbe insediarsi un nuovo presidente isolazionista o falco anticinese. Nel frattempo, più Lula si avvicina a Pechino sulla guerra e predilige alla salvaguardia dell’Amazzonia il commercio di prodotti agricoli e minerali, più tradisce le sue promesse elettorali, e l’opinione pubblica rischia di abbandonarlo.

Foto di copertina EPA/KEN ISHII / POOL

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