La frammentazione politica è ancora un problema per il Libano

I risultati delle elezioni libanesi del 15 maggio delineano nuovi scenari per il futuro del Paese, accompagnati da una serie di incognite che dovrà affrontare l’Assemblea Nazionale (majlis al-nuwwāb) uscita dal voto. Sebbene la composizione del parlamento monocamerale non sia stata stravolta, nuovi assetti politici e una maggioranza da costruire aprono prospettive ignote. Nel frattempo, il Paese continua a vivere una crisi politica, economica e sociale senza precedenti e il bisogno di riforme è ormai impellente e necessario. Tuttavia, il cambiamento politico ripetutamente invocato durante la tornata elettorale rimane ancora distante.

I risultati

Alle elezioni erano ufficialmente registrati 225.114 non-residenti (libanesi della diaspora) e 3.744.959 residenti. L’affluenza alle urne è stata significativa per i non-residenti, con circa il 63%, mentre il dato nazionale aggregato (residenti e non residenti) si attesta attorno al 49,2%,  in linea con le elezioni del 2018 (49,7%), che conferma una diffusa disaffezione al voto per un sistema politico settario e corrotto.

I partiti o coalizioni più votati e che occuperanno quindi la stragrande maggioranza dei 128 seggi parlamentari  sono:

  • Le Forze Libanesi, partito cristiano guidato da Samir Geagea, con 19 seggi (14,9%);
  • Il Movimento Patriottico Libero, partito cristiano fondato dall’attuale presidente Michel Aoun e guidato da Gebran Bassil, con 17 posti (13,3%);
  • I candidati indipendenti, molti dei quali emersi a partire dalle proteste antigovernative del 2019, che hanno ottenuto 16 posti (12,5%);
  • Amal, secondo partito sciita del Paese guidato dal presidente del parlamento Nabih Berri, con 15 posti (11,7%);
  • Hezbollah, primo partito sciita del Paese guidato da Hassan Nasrallah, con 13 posti (10,2%);
  • I gruppi di opposizione – esterni al sistema partitico settario – che hanno ottenuto 13 posti (10,2%);

Cosa cambia?

I risultati di queste elezioni stravolgono i rapporti di forza dei principali partiti cristiani del Paese. Il Movimento Patriottico Libero (FPM), fondato dall’attuale presidente Michel Aoun, è passato dai 18 seggi delle elezioni del 2018 ai 17 di domenica 15 maggio, vedendosi soffiato il primato (per le formazioni cristiane) dalle Forze Libanesi, che hanno ottenuto 19 seggi.

Il partito del presidente, alleato politico di Hezbollah, è stato probabilmente punito dall’elettorato a causa di un atteggiamento quasi servile nei confronti del “Partito di Dio”. L’affermarsi delle Forze Libanesi guidate da Geagea e supportate da Stati Uniti e Arabia Saudita hanno provocato la reazione di Hezbollah, che ha dichiarato di accettare il partito come avversario politico in parlamento ma non come “scudo a difesa degli israeliani”.

Sebbene il duo sciita Hezbollah-Amal sia riuscito ad accaparrarsi tutti i posti disponibili per la comunità di riferimento, ha perso la maggioranza (71 seggi su 128 nella precedente legislatura) in Parlamento, che deteneva da tempo grazie al supporto dell’FPM e di altri partiti cristiani, drusi e armeni. La mancata maggioranza non è da imputare unicamente ai seggi persi da Hezbollah (3 in meno rispetto ai 16 del 2018), quanto alla perdita di fiducia dell’elettorato negli altri partiti non sciiti che la componevano.

Va inoltre ricordato che la forza di Hezbollah non risiede unicamente nel potere politico acquisito in parlamento ma anche e soprattutto nell’elettorato e nelle proprie milizie e la loro capacità di mobilitazione e diffusione sul territorio. È inoltre interessante sottolineare come nel sud del Paese, tra le roccaforti di Hezbollah e Amal, due seggi siano stati vinti da candidati di una lista di opposizione e che alcuni grandi nomi (fra cui il vicepresidente del parlamento uscente Elie Ferzli e Talal Arslan, leader del partito democratico druso) abbiano perso il loro posto.

Altra novità di questa tornata è la vittoria di 16 candidati indipendenti, molti dei quali emersi a seguito delle proteste dell’ottobre 2019: se prima delle votazioni diversi esperti attribuivano a questa forza dai 2 a 4 seggi, la previsione è stata stravolta dai risultati del 15 maggio. Questi non erano per nulla scontati dato che il sistema politico libanese sfavorisce la nascita di forze politiche differenti da quelle tradizionali. Tuttavia, la forte eterogeneità di tali candidati potrebbe minare gli effetti del tanto atteso cambiamento politico. Essi risultano inoltre già frammentati su diversi fronti, primo fra tutti l’alleanza strategica con le Forze Libanesi.

Il Libano verso un nuovo stallo politico?

Il mandato dell’attuale parlamento è terminato il 21 maggio. I nuovi eletti dovranno nominare il presidente del parlamento e gli altri membri della camera in un tempo indicativo di quindici giorni. Va ricordato però che questo periodo non è previsto dalla costituzione, trattandosi invece di un incentivo a espletare tale pratica in tempi ridotti. La scelta del presidente, o speaker (che per costituzione deve essere un musulmano sciita) potrebbe essere il primo vero ostacolo. Nabih Berri, presidente in carica da circa trent’anni, è nelle mire delle Forze Libanesi, del Movimento Patriottico Libero e dei candidati indipendenti, che paiono avere come unico punto comune in agenda l’ostacolarne la rielezione.

Nel mentre, le varie forze politiche inizieranno a tessere diversi accordi, andando a formare blocchi parlamentari sempre più chiari. Queste dinamiche saranno importanti per capire la composizione della nuova maggioranza , e di conseguenza le future dinamiche di voto.

A livello esecutivo, il presidente Michel Aoun dovrà invitare i parlamentari a svolgere delle consultazioni per la nomina del nuovo Primo ministro che prenderà il posto di Najib Mikati. Il Primo ministro sarà poi incaricato di proporre la nuova squadra di governo. Questo processo potrebbe richiedere mesi se non dovessero essere trovati i giusti compromessi in tempi utili, portando così il Paese in un ulteriore stato di insicurezza politica, dilatando i tempi per le riforme necessarie.

Infine, i neo eletti dovranno occuparsi dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica che sostituirà Michel Aoun, il cui mandato terminerà il 31 ottobre. Tale elezione dipende fortemente dalla costituzione di un governo che, se non dovesse essere formato prima di fine ottobre, verrebbe sostituito in tale compito da un governo ad interim.

Una nuova maggioranza, la frammentazione del parlamento e le impellenti scadenze costituzionali potrebbero dunque portare a un ulteriore stallo politico con esiti drammatici per il Libano. Questo ribaltamento di forze consacra, come scrive L’Orient-Le Jour, una serie di dinamiche iniziate con le rivolte del 2019 tuttora inedite, aprendo così nuovi scenari e incognite per il Paese.

Foto di copertina EPA/WAEL HAMZEH

Articolo a cura di Manuel Mezzadra, autore della redazione MENA de Lo Spiegone.

Lo Spiegone è una testata giornalistica formata da studenti universitari e giovani professionisti provenienti da tutta Italia e sparsi per il mondo con l’obiettivo si spiegare le dinamiche che l’informazione di massa tralascia quando riporta le notizie legate alle relazioni internazionali, della politica e dell’economia.

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