Nonostante sia calata l’attenzione della stampa occidentale, in Sudan il conflitto tra le Forze armate sudanesi e il gruppo paramilitare delle Forze di supporto rapido continua ad infuriare. Sudan Tribune racconta come i facilitatori del cessate il fuoco abbiano sospeso il processo di Gedda, avviato l’11 maggio per porre fine al conflitto armato a Khartoum e nel Darfur, citando gravi violazioni commesse dalle parti in guerra. I facilitatori hanno espresso la loro disponibilità a riprendere i colloqui una volta consentita la fornitura di assistenza umanitaria e il ripristino dei servizi essenziali.
Anche in considerazione della rinnovata instabilità, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha deciso di rinnovare fino al 3 dicembre la propria missione per accompagnare la transizione nel Paese, la UNITAMS, ribadendo – come riporta Sudan Tribune – “l’impegno per la sovranità, l’unità, l’indipendenza e l’integrità territoriale del Sudan”. Ancora Sudan Tribune scrive infine della nuova proposta di pace avanzata dall’Unione Africana, una roadmap che si basa sull’”istituzione di un processo politico inclusivo che incoraggi il dialogo tra i principali attori militari, politici e sociali in Sudan” e che possa “preparare il Paese ad elezioni democratiche, libere e corrette”.
La miccia per il Darfur, le sanzioni americane
Su France Inter, in un pezzo tradotto per l’Italia da Internazionale, Pierre Haski sottolinea come l’attuale conflitto possa essere solo “l’inizio di una tragedia ancora più grande” per il Sudan. Le notizie che arrivano dal Darfur, la regione più occidentale del Sudan, al confine con il Ciad, sono infatti preoccupanti. Nel 2013 le milizie chiamate janjaweed (i demoni a cavallo) hanno creato le Forze di supporto rapido, comandate da Hemetti, uno dei due protagonisti degli scontri attuali. Ma all’epoca anche l’esercito regolare aveva partecipato alla repressione. Tutti i capi militari che operano oggi hanno le mani sporche del sangue del Darfur. L’intesa firmata nel 2020 dopo la caduta del dittatore Omar al-Bashir sta crollando, e già si segnalano decine di vittime nel capoluogo Geneina, nella zona ovest del Darfur.
L’Orient-Le Jour, invece, parla di una Khartoum sotto le bombe nonostante le sanzioni americane: dopo un conflitto che ha già generato più di 1800 morti, Washington ha alzato la voce e ha annunciato sanzioni contro due compagnie di armamenti dell’esercito e due società, di cui una operante nelle miniere d’oro del Sudan, tenute dal generale Dagalo e due dei suoi fratelli. L’isolamento diplomatico, tuttavia, non sembra rappresentare una reale minaccia per i due generali in guerra.
La condanna di Sonko infiamma il Senegal
In Senegal Ousmane Sonko, principale oppositore dell’attuale presidente Macky Sall, è stato condannato il 1° giugno a due anni di carcere per “corruzione della gioventù”. Una condanna che gli impedirà, con tutta probabilità, di partecipare alle elezioni presidenziali di febbraio 2024. Africa24Tv racconta come gli scontri nati in seguito alla condanna di Sonko abbiano fatto registrare già nove vittime, nonché fermato i trasporti e bloccato molte attività.
Come scrive Le Point Afrique, nella giornata di venerdì scorso il governo senegalese ha schierato nella capitale Dakar le forze armate, per fermare la spirale di violenze innescata il giorno precedente. L’esecutivo ha anche ammesso di aver limitato l’accesso ai social network come Facebook, WhatsApp o Twitter per far cessare la “diffusione di messaggi d’odio e sovversivi”.
Anche la Comunità economica dei paesi dell’Africa occidentale (Ecowas) ha rilasciato un comunicato in cui afferma di seguire con “inquietudine” lo scoppio delle violenze in Senegal, e richiama il Senegal a “difendere la reputazione affidabile del Paese come bastione di pace e stabilità”.
Foto di copertina EPA/AMEL PAIN