Putin e il rintocco di Schuman

Anche se in queste ore può non sembrare così, Putin ha già perso. La sua invasione dell’Ucraina è destinata a rivelarsi, giorno dopo giorno, un totale disastro. Anzi tutto per le centinaia di vittime civili e militari (che speriamo non divengano centinaia di migliaia) cadute sotto gli attacchi di missili ed artiglieria pesante. Poi perché gli obiettivi che l’autocrate di Mosca intendeva presumibilmente raggiungere non saranno perseguiti, anzi al contrario c’è da attendersi che a realizzarsi sarà proprio l’opposto di quanto si aspettasse Putin.

I piani di Putin

Come da lui stesso ripetutamente affermato l’intento era, e penso resti, occupare una parte del territorio ucraino, se non tutto, insediare a Kiev un leader vicino a Mosca (simile a Lukashenko in Bielorussia), annettere definitivamente alla Russia i territori della Crimea e quelli del Donbas.

Sul piano politico, verosimilmente Putin prevedeva che l’attacco armato avrebbe suscitato delle forti reazioni in Europa e nel mondo. Ma che queste, tutto sommato, sarebbero state gestibili. Più o meno come già accaduto con le risposte contenute che hanno fatto seguito all’invasione della Crimea e prima ancora della Georgia e della Cecenia.

Inoltre, a suo favore ci sarebbe la vicenda siriana, dove il governo russo sostiene massicciamente e da anni il regime di Assad, responsabile di atrocità contro i suoi cittadini e di avere trasformato la Siria in uno dei luoghi più pericolosi del pianeta. Per quel che riguarda l’Unione europea, questa avrebbe svolto un ruolo sostanzialmente poco rilevante, come fino ad ora è accaduto per questioni di importante peso politico a livello internazionale.

Il presidente russo ha sbagliato i conti

In più, il capo del Cremlino pensava di poter contare su altri quattro fattori.

Il primo, è quello di disporre dell’arsenale nucleare più potente al mondo, che gli avrebbe consentito, come effettivamente sta facendo, di utilizzarlo quale strumento di minaccia e pressione.

Il secondo, è il sostanziale consenso sul quale può contare in Russia, consenso favorito anche dalla presenza di un efficiente sistema di propaganda e di repressione dei dissidenti.

Il terzo, la considerazione di cui gode in diversi paesi del mondo, europei in particolare, dove numerosi leader politici, in genere di partiti e movimenti sovranisti, fino a poche settimane fa hanno visto in lui un modello ed un punto di riferimento insostituibile.

Il quarto fattore consiste nella sostanziale indifferenza che, secondo il leader russo, avrebbero dovuto mostrare i paesi non europei. A partire dagli USA che, sempre più concentrati su quanto accade in Asia e pur stigmatizzando la gravità del fatto, quasi sicuramente avrebbero derubricato la vicenda a questione regionale. E poi attori come la Cina e l’India, che avrebbero potuto addirittura sostenere, anche se non pubblicamente, la Russia.

Infine, c’era la convinzione che sia l’esercito ucraino, che la popolazione non avrebbero opposto una strenua resistenza.

In realtà, al momento attuale di tutti i fattori richiamati, solo uno sembra giocare a reale vantaggio di Putin: la minaccia nucleare.

Gli altri non hanno funzionato.

Cosa è andato storto?

Il consenso in Russia è ancora presente, ma si sgretola ogni giorno che passa con lo stillicidio delle informazioni che filtrano su quanto sta avvenendo in Ucraina. Inoltre, le sanzioni comminate alla Russia ed i conseguenti effetti economici negativi, destinati a divenire sempre più severi, contribuiranno a breve a far crescere il malcontento. E, se non è realistico attendersi una rivolta popolare di massa, è invece abbastanza prevedibile che le élite del paese, che hanno più da perdere in termini economici, faranno sentire presto il loro dissenso.

Per quanto riguarda il sostegno o quantomeno l’indifferenza del mondo non europeo, le aspettative di Putin si sono rivelate molto al di sotto di quelle attese. Il voto di condanna dell’aggressione, espresso dall’Assemblea generale dell’Onu riunita il 2 marzo scorso in una delle sue rarissime sessioni plenarie straordinarie, conta solo 4 contrari oltre alla Russia, 141 favorevoli e 35 astensioni. Tra i tanti favorevoli alla condanna anche paesi come la Serbia ed il Brasile di Bolsonaro, notoriamente sostenitori delle politiche putiniane. Mentre la semplice astensione di Cina ed India è motivata da un loro non adeguato coinvolgimento e non dall’adesione alla posizione russa. Risoluzione ONU che, quindi, fotografa una comunità internazionale né distratta, né simpatizzante riguardo all’aggressione perpetrata dall’ex-impero sovietico.

Sulle capacità dell’esercito ucraino di contrapporsi al gigante russo e sulla eroica resistenza del popolo invaso rispetto all’invasore, la cronaca di questi giorni dimostra al di là di ogni dubbio come le previsioni del padrone del Cremlino fossero sbagliate. Militarmente l’esercito russo sarà pure in grado di sconfiggere i difensori, ma a meno di non puntare allo sterminio della intera popolazione non riuscirà mai a normalizzare l’Ucraina.

Putin non aveva previsto l’Unione europea

Ma è soprattutto l’Unione europea, la sempre più invisa Unione europea, che ha spiazzato Putin. Mai prima d’ora la UE era stata in grado di adottare sanzioni economiche così severe nonché lesive di importanti interessi economici dei suoi paesi membri ed in un così breve lasso di tempo. Sanzioni che per essere emanate richiedono l’unanimità e che quindi sono state avallate anche dalla Germania, dalla Francia e dalla stessa Italia, che hanno sempre mostrato un atteggiamento di disponibilità verso Mosca.

L’aggressione ha poi compiuto un altro miracolo, quello di trasformare paesi tradizionalmente ostili alle politiche migratorie della UE, Polonia ed Ungheria in testa, ad aprire senza condizioni i propri confini all’accoglienza dei profughi ucraini. Senza per giunta farsi spaventare dall’eccezionale decisione di estendere fino a 3 anni il titolo di soggiorno di chi fugge dalla guerra.

Per non dire del sostegno economico che già prima dello scoppio della guerra ha visto la UE versare 1,2 miliardi di euro per rafforzare le finanze ucraine. Fino ad arrivare alla decisione, particolarmente delicata, di garantire attraverso lo European Peace Facility rifornimenti militari per mezzo miliardo di euro.

Scelte e decisioni che hanno visto muoversi compatte ed in modo tempestivo le tre principali istituzioni della Ue: il Parlamento, la Commissione ed anche il Consiglio. Condizione questa che non si era mai verificata nella storia ormai quasi secolare del processo di integrazione europea e che prelude a nuovi scenari, primo tra tutti la nascita di un esercito europeo.

Si sa che l’Unione compie dei passi in avanti in situazioni di emergenza, nelle quali soprattutto gli Stati sono costretti ad aprire gli occhi e rendersi conto che avere più Europa è non solo utile ma inevitabile. Ed è quanto sta succedendo con l’aggressione russa all’Ucraina.

Putin ha rimesso in moto l’orologio di Schuman che nella famosa ed omonima dichiarazione preconizzò che “L’Europa non potrà farsi in una sola volta … essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. Il rintocco ucraino appare forte e chiaro.

Purtroppo, non è la sola conseguenza della scellerata scommessa del presidente russo. Le armi e la disperazione continuano a monopolizzare i media di tutto il mondo. Ora la priorità è come gestire in modo responsabile la sconfitta di Putin e porre fine il prima possibile ad una guerra che in questo caso non solo è assurda, come lo sono tutte le guerre, ma è anche superata dalla storia, che nel vecchio continente, ormai ed irreversibilmente, è scandita dai valori comuni dell’Unione europea.

Foto di copertina EPA/STEPHANIE LECOCQ

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