I pushback sono legittimi? Cosa dice il diritto marittimo

Le migrazioni via mare si sono intensificate esponenzialmente nell’ultimo decennio, assumendo il carattere di un fenomeno massivo, difficilmente qualificabile come eccezionale, nel Mediterraneo

Sono identificabili alcune rotte, quali quelle del Mediterraneo orientale, occidentale e centrale, lungo le quali imbarcazioni, per lo più prive di bandiera, trasportano esseri umani verso le coste di Paesi dell’Unione europea. In particolare la rotta del Mediterraneo centrale ha come punto di arrivo l’Italia, con partenza principalmente dalla Libia e dalla Tunisia.

Un fenomeno complesso

Il fenomeno migratorio descritto pone rilevanti problemi sotto il profilo del diritto applicabile, in quanto gli esseri umani che compongono il “flusso migratorio” possono essere riconducibili a diverse categorie, cui si applicano differenti norme. Sono rinvenibili richiedenti asilo, che, per il fondato timore di subire persecuzioni per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, lasciano il Paese di origine per ottenere protezione in uno Stato estero. Taluni fuggono da conflitti armati. Altri migrano da Paesi ove non è garantito il rispetto dei diritti umani fondamentali. Possono esservi lavoratori migranti, spesso menzionati atecnicamente come “migranti economici”, che intraprendono il viaggio per cercare migliori condizioni di vita. Possono rientrarvi vittime di tratta di esseri umani, ovvero migranti che cercano di transitare irregolarmente le frontiere.

Il “viaggio” è spesso gestito da organizzazioni criminali e la rotta via mare rappresenta soltanto l’ultimo segmento di una tratta ben più lunga che attraversa diversi Paesi. Il costo del “biglietto” è significativo, ove si tenga conto del PIL procapite dei Paesi di origine. Attraversare il Mediterraneo può costare 3500 dollari a individui provenienti da Paesi ove il reddito annuo procapite si aggira attorno ai 400 dollari.

La qualità delle imbarcazioni utilizzate non risponde ad alti standard di qualità con la conseguenza che le vite umane sono messe in pericolo e non è infrequente il verificarsi di naufragi.

Il quadro giuridico di riferimento 

Salvare vite umane in mare è uno degli obblighi più antichi derivanti dal diritto internazionale del mare. Indubbiamente derivante dal diritto consuetudinario, esso trova corrispondenza in una pluralità di norme pattizie, come la Convenzione di Ginevra sull’Alto mare del 1958, la Convenzione delle Nazioni Unite di Montego Bay del 1982 (art. 98), la Convenzione sulla salvezza della vita in mare del 1974 (c.d. SOLAS), la Convenzione di Amburgo sulla ricerca ed il soccorso (c.d. SAR) del 1979. 

In base a quest’ultima ogni Stato contraente ha assunto la responsabilità dei soccorsi in caso di necessità coordinare in un’area delimitata di propria competenza, non corrispondente o limitata al proprio mare territoriale o altre zone marine, ma sovrapponibile alle stesse. All’esito delle operazioni di soccorso, è fatto obbligo di portare i naufraghi in un luogo sicuro a terra ove i sopravvissuti non sono più a rischio e possono vedere soddisfatti i loro bisogni primari.

Il soccorso è effettuato da navi battenti la bandiera di un certo Stato, il cui diritto risulta applicabile in mare anche quanto agli obblighi di tutela degli individui soccorsi. Può trattarsi talvolta di navi militari, spesso partecipanti a specifiche operazioni connesse al fenomeno migratorio, ovvero di navi mercantili.

Gli obblighi di protezione sono complessi e derivano dall’insieme delle norme applicabili derivanti non soltanto dal diritto internazionale del mare, ma anche dal diritto dei diritti umani, dal diritto dei rifugiati, se vi sono coinvolti richiedenti asilo, dalle norme dei Protocolli di Palermo addizionali alla Convenzione delle Nazioni Unite sul crimine transnazionale, per i contraenti, dal diritto dell’Unione europea, nel caso di coinvolgimento di Paesi membri. In tale contesto, oltre alle norme sulla tutela dei diritti fondamentali, appaiono rilevanti le norme del c.d. sistema d’asilo dell’Unione.

Cosa sono i pushback

Le norme menzionate risultano applicabili anche in mare. Ciononostante si sono verificati casi in cui le imbarcazioni invece di essere soccorse siano state respinte (c.d. pushbacks), impedendo loro di avvicinarsi alle coste. 

Nello specifico contesto del Mediterraneo, sul punto ha avuto modo di pronunciarsi ripetutamente la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, sancendo la contrarietà di tale pratica rispetto alla tutela dei diritti umani fondamentali. In particolare nel caso Hirsi e altri c. Italia, riaffermando l’applicabilità extraterritoriale della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU) a tutela di tutti coloro che rientrano sotto la giurisdizione dei contraenti, ha ritenuto che il respingimento integrasse una violazione dei diritti garantiti in quanto implicante l’esposizione al rischio di violazioni nel Paese terzo (c.d. protezione par ricochet).

Parimenti, più di recente, nel caso Safi e altri c. Grecia la Corte ha anche ribadito l’obbligo in capo alle Autorità nazionali di proteggere la vita, ex art. 2 CEDU, tramite le operazioni di soccorso in mare. 

Gli obblighi di tutela dei diritti umani, derivanti non soltanto dalla CEDU ma anche dal diritto internazionale generale, impongono di garantire la protezione a tutti gli individui rientranti sotto la giurisdizione dello Stato della bandiera anche in mare. Di conseguenza appare difficile negare che essi siano applicabili anche nel caso di pushbacks, per cui risulterebbe dubbia l’ammissibilità di questi ultimi ove implicanti violazioni di tali obblighi. 

Le opinioni espresse sono soltanto dell’Autore

Foto di copertina EPA/ERDEM SAHIN

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