Per un nuovo parlamento europeo

Si stima che, nel 2024, quattro miliardi di cittadini saranno chiamati a votare per diversi organi istituzionali. Fra questi, vi saranno gli elettori europei, al termine di una campagna elettorale che si potrebbe dire già iniziata, almeno per quel che riguarda l’Italia, seppur con modalità differenti rispetto a quelle consuete dell’ultimo mese prima del voto.

Le votazioni nel Vecchio Continente andrebbero colte come rappresentare occasione per un progetto organico di rilancio dell’Unione, ma finora stanno stimolando schermaglie concentrate nella progettazione delle alleanze politiche che, diverse per le parti in competizione, si spera possano affermarsi e governare l’Unione. Si tratta soprattutto di una visione del confronto elettorale con gli occhi degli equilibri politici interni e delle possibili conferme o evoluzioni. Siamo lontani dall’anima che l’Europa dovrebbe avere e che dovrebbe esserne guida, secondo il pensiero di uno dei Padri dell’Unione, Jacques Delors, recentemente scomparso.

Nell’iniziale e ancora tacita competizione politica, appare ancora più lontano l’inquadramento della linea che si vuole prevalga con il voto in una visione dell’evoluzione che potranno avere i rapporti internazionali. Per gli esiti delle temporalmente poco distanti elezioni americane vi è il rischio che possano mutare alcuni cardini della linea statunitense faticosamente riequilibrata – non senza contraddizioni e incertezze – dall’amministrazione Biden, in termini di multilateralismo e di ruolo svolto nelle istituzioni globali,  nonché di rapporti con l’Europa.

Discriminanti saranno le scelte riguardanti i due conflitti, in Ucraina e in Israele, dunque i rapporti innanzitutto con la Russia, da un lato, e con la Cina, dall’altro. Un ruolo che ha mostrato una subalternità europea agli indirizzi Usa, anche per l’intreccio che si è distortamente determinato tra Unione e Nato. Un coinvolgimento dei cittadini europei, durante la campagna elettorale, sulle scelte da compiere per un ruolo meno marginale nella politica estera sarebbe fondamentale.

Questi rapporti fanno ulteriormente riflettere sui temi della sicurezza e della difesa. Gli sviluppi della situazione geopolitica potrebbero favorire un “risveglio” dell’Unione per l’aprirsi, pur nell’accentuarsi delle difficoltà, di spazi per iniziative europee. Naturalmente, ciò presuppone che l’Unione esca dal guado in cui si trova e affronti la questione istituzionale: la formazione di un Parlamento, come linea da sostenere per il nuovo mandato post-elettorale, non solo pienamente rappresentativo dei cittadini, ma anche con i poteri tipici di un Parlamento nazionale. Ciò rappresenta la condizione affinché si possa fondatamente progettare un bilancio comune, una fiscal policy europea, il famoso Ministro unico delle Finanze facente parte di una Commissione-Governo. L’obiettivo di una Federazione di Stati-nazione sostenuto da Delors –  e ricordato in questi giorni alla scomparsa del grande europeista – sottolinea il momento unitario della Federazione, ma anche quello delle nazioni, proprio dell’attuazione del principio di sussidiarietà verticale (in base al quale ciò che può essere fatto  meglio dai singoli Paesi non va accentrato) che i Padri fondatori posero alla base del processo di integrazione con la stessa dignità dell’accentramento.

Suscitare un’adesione e una partecipazione attiva a una nuova e più avanzata fase dell’Europa è fondamentale perché in essa si creda, perché se ne vedano i risultati e le potenzialità, perché se ne riesca ad avvertire l’importanza oltre gli stessi aspetti economici e finanziari, che pure debbono concorrere a sostenere le idealità.

Un’Europa più avanzata sotto il profilo istituzionale  potrebbe affrontare meglio le sfide che si porranno oltre Oceano, in misura nettamente diversa – a seconda dei risultati delle votazioni americane – e ben diversamente auspicabili, ma pur sempre impegnative. Si immagini, soltanto, il possibile riproporsi, “Quod Deus avertat”, di concezioni isolazioniste e/o mercantiliste, ben lontane dalla visione transatlantica wilsoniana, oltre all’effetto di imitazione che viene determinato da un Paese forte e all’avanguardia in molti settori economici.

Come si affronterà la transizione nei campi dell’ecologia, della digitalizzazione, delle applicazioni dell’Intelligenza artificiale generativa: sono, questi, temi cruciali. Competere, pur nella convergenza, su obiettivi  di fondo e su valori comuni, è essenziale.

L’Italia, che  avrà la presidenza del G7, ha un importante ruolo da svolgere anche con riferimento a un rafforzamento delle istituzioni finanziarie internazionali, quali il Fondo monetario, la Banca mondiale, l’Organizzazione mondiale del commercio, il Financial Stability Board. Fare del Fondo monetario una sorta di banca centrale mondiale preposta al controllo della liquidità internazionale potrebbe essere un obiettivo da rilanciare, nel quadro non dell’arretramento della globalizzazione – favorendo l’incipiente processo di  deglobalizzazione –, ma di una sua regolamentazione compatibile con il mercato.

Naturalmente, ciò deve fare i conti con i rapporti di forza che si determineranno a seguito delle elezioni europee e di quello che sarà il “primum movens” costituito dagli sviluppi delle due guerre, dall’efficacia che potranno avere le iniziative per la pace e per il ripristino del diritto internazionale e  del diritto umanitario, differenziatamente per i due conflitti.

Il Governo italiano avrebbe già segnalato gli aiuti all’Ucraina come uno tra i principali punti  dell’agenda del G7. Tuttavia, ciò non potrà non essere collocato nel contesto di iniziative per la cessazione del conflitto e del conseguimento di una pace giusta, chiarendo definitivamente il significato di quest’ultimo aggettivo.

In ogni caso, si può affermare che l’einaudiano “sta in noi” vale anche per l’Unione tutta, auspicando un suo risveglio o, comunque, la capacità di far vivere la sua ragion d’essere. La posizione recentemente assunta dai presidenti delle principali istituzioni europee cita, tra l’altro, Anatole France a proposito della necessità, per le grandi imprese in cui cimentarsi, non solo di agire, ma anche  di sognare, non solo di progettare, ma anche di credere. È, in sostanza, il richiamo dell’anima europea nel segno del valore dell’unità.

Più che attendere le elezioni americane – certo, un fondamentale passaggio a livello globale – è l’Europa che deve riflettere su se stessa, rafforzarsi, rilanciare, in una situazione nuova, la propria funzione: insomma, non attendere, ma prepararsi a essere interlocutrice fondamentale a livello globale.

Sono trascorsi 25 anni dall’istituzione dell’euro, ma è questa l’occasione propizia per un consuntivo più generale degli avanzamenti e dei ritardi, nonché per progettare correzioni e progressi.  Non è più il tempo di agire di rimessa e per di più senza anima.

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