Il sogno europeo di Papa Francesco al confine ungherese

Ai confini dell’Europa per guardare il caos che ribolle al di là di essi. Dall’Ungheria, dove papa Francesco si è recato per il suo secondo viaggio internazionale dopo quello in Congo e Sud Sudan, si percepiscono meglio i pericoli che l’Unione si trova di fronte e le sfide alle quali è sottoposta. È la capacità esplicativa delle periferie, che mettono in risalto le mancanze del centro.

Muri ungheresi

A Budapest, Bergoglio non poteva innanzitutto sottrarsi alla questione dei migranti. Per il primo ministro Viktor Orbán e la – vasta – maggioranza che lo sostiene, composta dal suo Fidesz e dal Partito popolare cristiano democratico, il tema è da sempre tanto delicato quanto fondamentale per articolarne la retorica ultranazionalista e conservatrice.

Secondo quanto riportato da Amnesty International, durante il 2022 l’Ungheria avrebbe respinto oltre 157mila migranti. Una politica resa possibile dalla legislazione alquanto restrittiva adottata proprio dai governi presieduti da Orbán: per esempio, nel 2020, è stata approvata una norma che, di fatto, impedisce ai richiedenti asilo provenienti da Paesi che non sono in guerra di superare i confini.

Prima ancora, come noto, il primo ministro decise di affrontare la crisi migratoria del 2015 con la costruzione di un muro di oltre 170 chilometri al confine con la Serbia, principale passaggio della rotta balcanica, poi esteso anche a quello con la Croazia. 

Confini che uniscono e non separano 

Il conflitto ucraino, in questo senso, ha ulteriormente esteso il problema. Dall’inizio dell’invasione russa nel febbraio dello scorso anno, sono stati registrati quasi quattro milioni di attraversamenti di confine tra Ungheria e Ucraina. E se molti sono semplicemente transitati dal Paese, più di 33mila hanno fatto richiesta di protezione a Budapest che, fino a oggi, ha mantenuto aperte le porte ai rifugiati ucraini. L’esacerbarsi della situazione, però, potrebbe anche spingere Orbán a rivedere i propri piani.

“È triste e fa male vedere porte chiuse”: Francesco, durante la sua omelia in piazza Kossuth Lajos, non ha girato attorno alla questione. Le frizioni con il governo di Budapest sul fenomeno migratorio non sono nuove e non stupiscono. Bergoglio, però, ha voluto richiamare anche l’Unione Europea nella sua interezza a farsi carico del problema, riscoprendo il proprio passato, contraddistinto dalla volontà di unire i distanti e di accogliere le diversità.

Del resto, papa Francesco, già nel 2016, aveva lanciato il suo monito verso chi vuol costruire muri e tenere chiuse le porte. “Non è da cristiani”, disse all’epoca rivolgendosi al candidato e futuro presidente statunitense, Donald Trump.

Alla ricerca della pace

Dalla periferia europea d’Ungheria, inoltre, assume tutt’altro significato anche la guerra in Ucraina. Il Paese, a est, confina con Kyiv e, come detto, nell’ultimo anno ha rappresentato un approdo sicuro per moltissimi rifugiati.

Proprio per questo, per papa Francesco, il viaggio in Ungheria non poteva non rappresentare un momento fondamentale nella sua ricerca della pace. Sin dall’inizio del conflitto, Bergoglio sta cercando di ricomporre la frattura tentando la strada diplomatica con un ruolo in prima linea per la Santa Sede, talvolta accolto con entusiasmo – sia dall’Ucraina, sia dalla Russia – e, di contro, spesso scartato dalle parti in causa.

Rilanciare il messaggio della pace proprio dall’Ungheria, al confine con l’Ucraina e dove la guerra e le sue conseguenze sono quanto mai tangibili, acquista ancor più significato. Per papa Francesco, infatti, anche a Budapest dev’essere tenuto in vita e rilanciato il sogno dei padri fondatori dell’Europa, ovvero quello di porre fine ai conflitti sul continente. In contrapposizione, ancora una volta, ai tentennamenti di Orbán, esitante nell’applicazione delle sanzioni verso Mosca e indulgente nei confronti di Pechino, soprattutto per gli investimenti cinesi nel Paese attraverso il progetto delle nuove vie della seta. 

Mediazione vaticana?

Di ritorno da Budapest, papa Francesco ha accennato a una possibile “missione di pace”, non ufficiale ma attualmente in corso. Non una novità, a dirla tutta: già a novembre dello scorso anno, il segretario per i Rapporti con gli Stati, monsignor Richard Paul Gallagher, aveva affermato durante un’intervista come il Vaticano fosse pronto a farsi carico di un ruolo di mediazione tra Kiev e Mosca.

Alla missione paventata da Francesco, sia il governo ucraino che quello russo hanno risposto di non saperne niente. È naturalmente difficile dire quanto ciò sia vero e quanto no: anche lo fosse, infatti, almeno nelle fasi iniziali, un eventuale processo diplomatico non sarebbe promosso pubblicamente.

La domanda, dunque, resta: quanto è plausibile una mediazione vaticana? Al momento è complicato parlare in generale di negoziati e, per questo, diventa ancor più complicato immaginare un ruolo della Santa Sede. Sicuramente, da parte della diplomazia pietrina, sin dagli inizi, c’è la massima disponibilità. Sulla scorta di papa Francesco, non si chiuderanno le porte a nessuno.

Foto di copertina ANSA/VATICAN MEDIA

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