Il Nord Kivu è una regione situata nell’est della Repubblica Democratica del Congo, confinante con Rwanda e Uganda, teatro da oltre due decenni di un conflitto dai contorni estremamente complessi. In questa regione, ricca di importanti risorse minerarie quali diamanti, oro e coltan, sono attivi circa un centinaio di gruppi armati, a cui vanno aggiunte le forze armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) e dei suoi Paesi confinanti.
Il Movimento 23 Marzo (M23): la rinascita del 2021
Tra questi gruppi armati quello che negli ultimi anni è riuscito ad imporsi maggiormente è il Movimento 23 Marzo (M23). Il gruppo affonda le sue radici in conflitti che avevano già interessato quest’area della RDC e deve il suo nome all’accordo firmato il 23 marzo 2009 tra il governo congolese e il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), un altro gruppo armato attivo all’inizio degli anni Duemila.
Sulla base di questo accordo i combattenti del CNDP sarebbero stati inquadrati nella polizia e nell’esercito congolese, mentre l’ala politica del CNDP sarebbe diventata un partito politico ufficialmente riconosciuto. Nel 2012 una fazione interna al CNDP ha denunciato una presunta scarsa implementazione dell’accordo di pace, dando vita al movimento M23.
Il gruppo dichiara come obiettivo la protezione delle minoranze Tutsi e di lingua Kinyarwanda in Congo. Dopo l’insurrezione del 2012, il gruppo è stato sconfitto militarmente nel 2013, mentre nel 2021 è scoppiata una violenta recrudescenza delle ostilità . Questo ritorno della violenza è stato giustificato dall’M23 citando il mancato rispetto dell’accordo di pace siglato col governo congolese quasi un decennio prima, richiedendo la garanzia di un ritorno nella RDC della leadership dell’M23 fuggita in Rwanda dopo la sconfitta del 2013 e la fine della discriminazione dei Tutsi congolesi.
In particolare, l’M23 afferma di essere stato attaccato improvvisamente dall’esercito congolese, dopo che Kinshasa aveva dichiarato la legge marziale nelle province del Nord Kivu e Ituri nel maggio 2021. Questo attacco sarebbe arrivato sulla scia di uno sforzo fallito per risolvere le questioni in sospeso con il governo congolese, che aveva ospitato segretamente una delegazione M23 a Kinshasa dalla metà del 2020. Tuttavia, la delegazione non è mai stata ricevuta dai funzionari governativi, suscitando rabbia tra la leadership dell’M23.
Il governo congolese sostiene una spiegazione molto diversa per la rinascita dell’M23, incolpando direttamente il Rwanda e la sua ingerenza negli affari interni congolesi.
Il successo dell’M23 tra il sostegno del Rwanda e il controllo delle attività estrattive
Attualmente l’M23 controlla una vasta area compresa tra i territori di Niryagongo, Rutshuru e Masisi, oltre alle vie d’accesso alla città di Goma, il principale centro abitato e la capitale del Nord Kivu. Questo progresso è stato reso possibile principalmente da due fattori: il sostegno militare e logistico fornito ai ribelli dal Rwanda e la disorganizzazione dell’esercito congolese.
Il gruppo M23 si trova all’incrocio di importanti dinamiche regionali che lo hanno plasmato. Il suo ritorno nel 2021, infatti, è stato favorito dal sostegno dell’Uganda, ma soprattutto del Rwanda. Il presidente congolese Felix Tshisekedi sostiene che il Rwanda stia destabilizzando il Congo sostenendo i ribelli M23. Anche le Nazioni Unite e il Dipartimento di Stato americano sostengono che il Rwanda supporti i ribelli dell’M23, nonostante il Rwanda neghi qualsiasi coinvolgimento.
Il Rwanda ha una lunga storia di interventi nell’est della RDC. L’interesse rwandese per l’RDC si è sviluppato a partire dalla fine del genocidio avvenuto in Rwanda negli anni Novanta tra Hutu e Tutsi, quando oltre due milioni di Hutu, tra cui diversi perpetratori del genocidio, fuggirono nella RDC, al tempo chiamata Zaire. Successivamente le milizie Hutu fuggite in Congo formarono le Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda (FDLR), considerate una minaccia per la sicurezza nazionale del Rwanda. Sempre negli anni Novanta il Rwanda di Paul Kagame, il leader delle FDLR che ha ristabilito la pace nel Paese e posto fine al genocidio, è intervenuto nuovamente nella RDC durante le due Guerre del Congo. Durante la prima ha sostenuto il presidente Laurent-Désiré Kabila dopo l’assassinio del dittatore Mobuto Sese Seko. Successivamente, nel 1998, il Rwanda ha interrotto il supporto a Kabila, schierandosi contro e sostenendo le forze ribelli. Per risposta il governo della RDC ha iniziato ad armare le milizie Hutu contro il Rwanda fino agli accordi di pace siglati tra il 1999 e il 2002.
Il governo rwandese userebbe quindi il gruppo M23, di etnia prettamente Tutsi, in una guerra per procura contro le forze armate congolesi, per tentare di fiaccare il controllo di Kinshasa nella regione del Kivu. Il Rwanda ha importanti interessi economici in questa regione, quali lo sfruttamento delle risorse minerarie e il controllo sul commercio tra i due Stati. Infatti, la RDC è una destinazione fondamentale per le esportazioni (dichiarate e non) di beni rwandesi. Alla fine del 2021 il Rwanda ha temuto che la sua storica influenza sull’est della RDC stesse diminuendo a causa del riavvicinamento tra RDC ed Uganda, Paese con il quale il Rwanda ha avuto una relazione complicata negli ultimi anni. Questo riavvicinamento avrebbe minacciato gli interessi economici e di sicurezza del Rwanda, spingendolo a sostenere l’M23 e il suo ritorno in chiave anti-Kinshasa.
Alla luce di ciò, appaiono credibili le accuse mosse dalla Presidenza Congolese contro le Forze di Difesa del Rwanda (RDF) di sostenere con mezzi e uomini il gruppo M23. Ciò già a partire dalla prima tentata insurrezione del 2012. I rapporti delle Nazioni Unite, filmati aerei, fotografie e testimonianze dimostrano la presenza di soldati dell’esercito rwandese nei campi M23 nella RDC. Da maggio 2022, l’M23 ha iniziato ad impiegare mortai e artiglieria nelle sue operazioni belliche, grazie alla crescente capacità militare che fornisce ulteriori prove del sostegno rwandese. Esperti delle Nazioni Unite sostengono che a luglio 2024 tra i 3000 e i 4000 soldati rwandesi fossero schierati in Congo a fianco dell’M23.
Oltre al supporto rwandese un’altra importante fonte di finanziamento per l’M23 deriva dal controllo delle attività estrattive nella regione. In particolare, l’M23 controlla l’area mineraria di Rubaya, una zona ricca di tantalio, un minerale estratto dal coltan impiegato per la produzione di batterie. L’RDC detiene oltre il 70% delle riserve globali attualmente conosciute di questo minerale, ma circa il 15% della fornitura globale di tantalio proviene dal distretto minerario di Rubaya, permettendo al gruppo M23 di generare, secondo alcune stime, oltre 300 mila dollari al mese. Unitamente a ciò, nelle aree sotto il suo controllo l’M23 impone tasse alle imprese locali e alla popolazione civile, ricorrendo anche all’estorsione tramite la richiesta di pagamenti per la protezione o per il passaggio sicuro delle merci attraverso le zone sotto il controllo del gruppo.
Criticità di un processo di pace
Il processo di pace avviato dalla Comunità dell’Africa Orientale (EAC) non ha portato ai risultati sperati in quanto l’M23 è stato escluso dal tavolo trattative da parte di Kinshasa. Inoltre, l’EAC, per evitare di inimicarsi il Rwanda, ha evitato di ingaggiare militarmente l’M23. Ciò ha portato la RDC a chiedere, nel 2023, il ritiro della Forza Regionale della Comunità dell’Africa Orientale dopo nemmeno un anno di missione.
Kinshasa si è successivamente rivolta alla Comunità di Sviluppo dell’Africa Meridionale (SADC), più critica nei confronti del Rwanda rispetto all’EAC. In questo modo è riuscita ad ottenere il dispiegamento di 500 truppe da parte dell’Angola e successivamente una più corposa partecipazione militare della SADC con l’intento di combattere i gruppi armati attivi nella regione, incluso l’M23. Questa forza va a sommarsi e ad agire su binari paralleli rispetto alla missione MONUSCO delle Nazioni Unite già attiva in Congo, segnalando i limiti della diplomazia regionale nella RDC.
L’eredità di tre decenni di conflitto si ritrova principalmente nella distruzione e nella sofferenza che questi hanno provocato alla popolazione civile, senza che le questioni strutturali alla base della violenza siano state affrontate o risolte. A ciò va sommata la mancata attuazione dei precedenti accordi di pace, la quale non ha fatto altro che aumentare la violenza e generare ulteriori rimostranze. Per ottenere una pace duratura nella regione sono necessari profondi sforzi politici che attualmente sembrano essere lontani dal manifestarsi.
di Lorenzo Pellegrini