Le dispute territoriali minacciano la stabilità del mar Egeo

Con lo guerra della Russia contro l’Ucraina, la possibilità di ricorrere alla forza armata per risolvere una disputa internazionale non sembra più un’opzione così remota in Europa. Dopo le ultime dichiarazioni di Erdogan a giugno 2022, la disputa tra Turchia e Grecia attorno alla questione del mar Egeo ha conosciuto uno dei suoi punti di tensione più alti.

L’evoluzione storica della disputa

È sufficiente guardare una cartina del mar Mediterraneo per rendersi conto che il mar Egeo ospita centinaia di isole tra Grecia e Turchia. L’equilibrio tra questi due Paesi – entrambi membri della Nato dal 1952 – è stato disciplinato dal diritto internazionale fin dal 1923 quando, con il Trattato di Losanna, vennero sanciti gli attuali confini della Turchia, la cessione dell’intera isola di Cipro all’Impero britannico – sancendo la fine di ogni pretesa turca sull’isola – e l’obbligo di mantenere demilitarizzate tutte le isole nel Mar Egeo. Oggetto del Trattato fu anche il destino della Cirenaica e della Tripolitania, cedute all’Italia insieme alle isole del Dodecaneso.

Questo disegno durò però pochi decenni: alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il Dodecaneso passò definitivamente sotto il controllo della Grecia, mentre Cipro ottenne l’indipendenza dalla corona inglese nel 1960. Dopo il fallito golpe del 1974, Cipro divenne teatro di una guerra civile tra maggioranza greca e minoranza turca, culminata nell’invasione turca del 1983. Con la proclamazione della Repubblica Turca di Cipro Nord, riconosciuta solamente da Ankara, la Repubblica di Cipro ha invece instaurato un dialogo con Egitto e Israele, contribuendo alla definizione delle rispettive Zone Economiche Esclusive (ZEE).

Parallelamente, la comunità internazionale ha definito sia il concetto di piattaforma continentale che quello di ZEE. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (UNCLOS) ratificata solamente dalla Grecia, e non dalla Turchia, definisce la ZEE come la porzione di mare che si estende dalla costa fino alle 200 miglia navali – limite entro il quale lo Stato costiero esercita il diritto assoluto di esplorazione e sfruttamento del fondale.

Nonostante la norma internazionale sancisca la sovranità entro le 12 miglia navali dalla costa, Grecia e Turchia hanno da sempre applicato la più antica regola delle 6 miglia navali. Operando in questo senso, meno del 40% delle isole bagnate dal Mar Egeo vengono considerate come greche, contro circa il 10% appartenente alla Turchia.

La sete di risorse

Centrale alla disputa è lo sfruttamento del fondale marino: i Paesi che affacciano sul mar Mediterraneo sono impegnati in una ricerca continua di giacimenti di gas naturale. Dal 2015, con la scoperta dei giacimenti di Zohr, di Tamar e Leviathan e di Afrodite, c’è stata una corsa all’alleato più forte. Con l’entrata in campo dell’Egitto al lato della Grecia e della Libia a quello della Turchia, entrambe le parti hanno diviso il Mar Egeo nelle rispettive ZEE. Queste, però, non possono coesistere: nel caso di mutuo riconoscimento dei trattati, la ZEE greca verrebbe tagliata a metà dal corridoio turco-libico.

La Grecia ha anche avviato, al fianco dell’italiana Eni, il progetto EastMed, un mega-gasdotto che si estende dal sud di Cipro fino al mar Adriatico. Il progetto è stato affiancato dalla creazione di un Forum nel 2018, trasformato poi in un’organizzazione internazionale volta a facilitare il dialogo interregionale e gli scambi commerciali.  Avviato nel 2020, coinvolge Grecia, Cipro, Italia, Israele, Francia, Giordania e Palestina e ha suscitato fin da subito l’attenzione di Erdogan, rimasto escluso dal progetto: ad agosto dello stesso anno, il braccio di ferro tra i due Paesi ha conosciuto un punto di rottura dopo che Ankara ha inviato la sua nave Oruc Reis a scopo esplorativo verso la ZEE greca, accompagnata dalla marina turca. Nonostante la nave abbia virato poco prima di sorpassare il limite delle 200 miglia, Atene ha espresso la volontà di estendere la sua sovranità fino alle 12 miglia navali, così come sancito dal diritto internazionale. La Turchia ha però da sempre interpretato questa possibilità come un eventuale casus belli.

La Grecia si allarga

In un’Europa che tenta di riprendersi dalla crisi indotta dalla pandemia e tragicamente segnata dalla guerra all’Ucraina, è necessario evitare qualsiasi conflitto aperto tra Grecia e Turchia. A giugno scorso, le dichiarazioni di Erdogan hanno limato ancora di più il fragile equilibrio nel Mar Mediterraneo, suggerendo la possibilità di un conflitto armato nel caso in cui la Grecia non demilitarizzasse le isole nel Mar Egeo – in particolare l’isola di Kastellorizo, che dista solamente 2 km dalla costa turca.

La disputa è un vero e proprio ping-pong di responsabilità e colpe: la Grecia difende il suo allargamento giustificandolo tramite l’applicazione del diritto internazionale; la Turchia opta invece per una più tradizionale interpretazione dei confini. Contemporaneamente, la questione del Mar Egeo mette in luce una delle maggiori debolezze dell’UE, vale a dire la dipendenza ancora troppo profonda dall’utilizzo di combustibili fossili come il gas.

L’Unione europea non può permettersi di isolare la Turchia dalla sua politica estera: con la minaccia imposta da Putin in termini di approvvigionamento di gas, Ankara diventa una tappa fondamentale nel passaggio del gas da Iran e Qatar verso l’Europa. Da parte sua, la Turchia sta tentando di riaprire il dialogo con i Paesi dell’East Med, favorito dal ritiro degli Stati Uniti dai lavori del mega-gasdotto.

Foto di copertina EPA/ERDEM SAHIN

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