Ancora non abbiamo digerito del tutto le elezioni americane, che già si profilano all’orizzonte quelle anticipate del 23 febbraio in Germania. Sembrano eventi lontani nel tempo e geograficamente agli antipodi, ma in realtà costituiscono entrambi le facce della stessa medaglia. Esse infatti rappresentano, da una parte, il futuro dei rapporti fra Unione europea e Stati Uniti e, dall’altra, la capacità dell’Ue di resistere agli assalti del trumpismo e di mantenere, se non approfondire, la propria unità.
Ma prima di tutto le prossime elezioni in Germania ci diranno quale sarà il futuro politico di questo paese, che rimane chiave nei confronti dell’intera Europa. Oggi a preoccuparci sono due fatti concomitanti. Il primo è la crisi sistemica dell’economia tedesca: quasi il 20% delle imprese tedesche lavora a ritmi ridotti e almeno 1/3 delle grandi industrie, soprattutto nel comparto automobilistico, hanno avviato licenziamenti e chiusura di impianti. L’arrivo di Trump, che come è noto teme le auto tedesche che inondano il mercato americano, non fa che rendere ancora più pessimistiche le prospettive dell’industria tedesca nell’eventualità di forti dazi statunitensi. Per un’economia ampiamente basata sull’export, la sola menzione di dazi o di aiuti di stato alle industrie concorrenti (vedi il caso Cina) è una minaccia rovinosa.
L’AfD è per l’Ue una grande novità ed un’imminente minaccia
Il secondo fatto che rischia di indebolire il “modello” politico tedesco è l’impetuosa crescita, sia nei Länder dell’Est ma anche a livello nazionale, delle forze estremiste di destra, in particolare del partito “neo nazista” AfD di Alice Weidel. Già la destra fa da padrona in Austria, Italia, Ungheria e Slovacchia, tanto per citare i paesi dell’Ue che più si rapportano con la Germania, e uno scivolamento tedesco ancora maggiore verso quell’area estrema è fonte di non poche preoccupazioni a Bruxelles e nelle altre capitali europee.
È quindi comprensibile lo scandalo suscitato dagli ormai ripetuti interventi in totale sostegno dell’AfD e della sua leader Alice Weidel da parte di Elon Musk, il supertrumpiano consulente e collaboratore del nuovo presidente americano. I suoi sfacciati interventi nella campagna elettorale di un paese “amico” fanno impallidire le accuse di interferenze, temute ma non sempre dimostrate, della Russia di Vladimir Putin nelle elezioni dei paesi occidentali, Germania compresa.
È quindi abbastanza evidente come per Berlino il prossimo appuntamento elettorale si preannunci come decisivo per il ruolo tedesco in Europa nei prossimi anni. A parte l’AfD, che rappresenta la grande novità e un’imminente minaccia, il resto dello scenario partitico tedesco rimane sostanzialmente invariato, con i Verdi e i Liberali al difficoltoso inseguimento delle due tradizionali forze trainanti, i democratico-conservatori della CDU/CSU e i socialdemocratici della SPD. Questi ultimi, in realtà, scontano l’inadeguatezza del loro leader-cancelliere Olaf Scholz, dalle cui dimissioni sono nate le elezioni anticipate.
Tutto si concentra quindi sulla CDU e sul suo leader Friedrich Merz, figura non certo nuova essendo stato già anni fa un acerrimo nemico e concorrente di Angela Merkel, cui oggi rimprovera sia gli accordi sull’energia con Vladimir Putin che l’apertura nel 2015 ad oltre un milione di immigrati siriani in fuga dalla repressione di Bashar al-Assad. In effetti, ancora oggi a dominare la campagna elettorale è il tema dell’immigrazione, su cui l’AfD ha creato la propria forza nel paese. Per non farsi scavalcare a destra, sia i socialdemocratici di Scholz sia, a maggior ragione, i conservatori di Merz hanno elaborato proposte volte a bloccare l’immigrazione alle frontiere e a rendere particolarmente difficile la richiesta di asilo.
Le nuove sfide per il futuro cancelliere Merz
A soffiare sul fuoco è ancora una volta Elon Musk che, proprio nell’80° anniversario dell’olocausto, ha invitato i tedeschi (e l’AfD) a “liberarsi delle colpe del passato” e a combattere per preservare la cultura e sovranità tedesca. Al di là della indecente provocazione, ciò che colpisce è come il tema dell’immigrazione sia di fatto un argomento cruciale, come dimostra la vittoria di Trump negli Usa e le sue draconiane misure di deportazione dei clandestini al di fuori dei confini americani. Un allarme per un’Unione alle prese da anni con questo argomento e incapace di darsi regole e politiche comuni, lasciando a ciascun paese membro l’onere di risolvere (o cercare di risolvere) per proprio conto una questione chiaramente strutturale e di lungo periodo.
Ma certo per il futuro cancelliere tedesco le questioni da affrontare saranno molte altre, tutte enormemente difficili e di grande responsabilità. Friedrich Merz ha cercato di delineare il suo programma interno ed estero, ad iniziare dalla ripresa delle competitività industriale tedesca ed europea, magari aprendo uno spiraglio ad eventuali eurobond e a modificare la previsione costituzionale tedesca sul pareggio obbligatorio del bilancio. Stesso discorso sul piano della difesa, dove Berlino dovrà superare sia i vincoli costituzionali che di bilancio per operare pienamente anche in questo settore, la cui prospettiva dovrebbe essere tuttavia europea. Di qui la ricerca di paesi alleati con cui avviare concretamente l’abbozzo di una difesa comune: il cosiddetto “formato di Varsavia”, composto da Polonia, Germania, Francia (i tre del gruppo di Weimar) con l’aggiunta di Gran Bretagna, Italia e Spagna. Un nucleo di paesi intorno a Berlino che dovrà allo stesso tempo tenere rapporti equilibrati con Washington, sostenere l’adesione dell’Ucraina all’Ue e contenere l’aggressività di Mosca. Insomma, quelle tedesche saranno elezioni per noi ben più importanti delle vicende americane, anche se le due rimangono inevitabilmente legate fra di loro.