L’inarrestabile centralità della Germania in Europa

È passata l’ondata dei commenti al primo turno delle elezioni presidenziali francesi, quello non decisivo ma più indicativo degli umori dell’elettorato. Ampiamente rilevata la ripartizione approssimativa di tale elettorato in circa tre tronconi: un centro moderato (più o meno liberale, più o meno riformista), una forte destra (più o meno sovranista, più o meno xenofoba) e un’estrema sinistra (più o meno giovanile, più o meno intellettuale) – le ultime due per lo più raccolte sotto l’etichetta di “maggioranza anti-sistema”.

Ampiamente riscontrata la fine dei maggiori partiti tradizionali, i gollisti e i socialisti in primo luogo, senza tuttavia che abbiano avuto spazio forze innovative, come quelle votate a fermare il deterioramento dell’ambiente. E ampiamente data per probabile la conferma di Emmanuel Macron all’Eliseo, pur in modi e con margini incerti.

Il paragone con Germania e Italia

Qui si vuole attirare l’attenzione sul paragone fra un tale esito e quello delle elezioni legislative tedesche del settembre scorso: esito grosso modo opposto. Le estreme anti-sistema di destra (Allianz fuer Deutschland) e di sinistra (Die Linke) hanno perso. Il tradizionale partito Socialdemocratico ha invertito la lunga tendenza al declino e ha conquistato il primo posto. La tradizionale compagine cristiano-democratica è calata, ma è giunta seconda con quasi un quarto dei voti espressi.  Al terzo posto il partito dei Verdi, che insieme ai tradizionali liberali, quarti, hanno rapidamente raggiunto l’accordo con i vincitori e formato il governo con una maggioranza diversa dalla precedente, rispettando il responso elettorale.

Qualcuno chiederà: e l’Italia? Beh, da noi le elezioni, più lontane, diedero luogo a un parlamento, diciamo anomalo, tanto da esprimere ben tre maggioranze diversissime. Ma, stando ai sondaggi recenti, il nostro di elettorato si colloca pressappoco a metà, con la sua parte di destra che assomiglia a quella francese e la sua parte progressista che cerca di assomigliare a quella tedesca. Come che sia, il caso italiano non altera, anzi conferma la constatazione cui spinge il voto francese, quella di una Germania che non è solo la prima economia e (dopo la riunificazione nazionale) la più grande popolazione dell’Europa, ma ne è anche il maggiore fattore di stabilità e di credibilità politica.

La centralità tedesca

Un tale primato era già stato in precedenza propiziato dalla scelta di un altro grande elettorato, quello britannico, che inconsultamente interrogato sei anni fa sul restare o meno a far parte del processo di integrazione europea aveva optato (con stretto margine) per il “No”. A seguito, una mediocre dirigenza politica, resa stabile per lo più dall’assenza di alternative, ha realizzato un faticoso processo di Exit, destinato a tradursi in grave danno per l’economia nazionale. Ma anche in una perdita di ruolo internazionale per l’Unione Europea, così privata di una delle due potenze nucleari e componenti permanenti del Consiglio di sicurezza Onu (per quanto simboliche l’una e l’altra qualifica possano oggi essere).

E ora si è aggiunto anche Vladimir Putin, che aggredendo l’Ucraina ha sconvolto in drammatica misura gli equilibri strategici europei e di conseguenza spinto la Germania ad avviare un drastico processo di riarmo non solo in termini di risorse, ma anche di atteggiamento culturale. La subitanea decisione, infatti, contraddice una riserva nei confronti dello strumento militare, dettata da una sana lettura critica del proprio passato e durata per tre generazioni. La gravità del momento trova conferma nel fatto che un tale passo avrebbe generato in passato qualche perplessità anche al di fuori del paese: non adesso. Da qui si avvia una crescita del ruolo tedesco ora anche in campo strategico.

Sembra insomma di assistere allo sviluppo di una specie di complotto internazionale per portare la Repubblica federale tedesca a una centralità nel Vecchio Continente, che rispecchia quella geografica e investe l’intero arco degli strumenti della potenza, anche al di là delle aspirazioni e delle preferenze del popolo e della sua classe dirigente, finora in prevalenza inclini al multilateralismo e al mercantilismo.

Il ruolo geostrategico della Germania

A ben vedere un tale “complotto”, di cui abbiamo visto essere parte i cittadini elettori non meno delle cancellerie, ha radici lontane nella storia. Un primo sintomo si ebbe infatti con il rifiuto francese del trattato istituente la Comunità europea di difesa, per effetto della convergenza dei voti gollisti e dei voti comunisti all’Assemblée Nationale e con la motivazione di impedire il riarmo tedesco. Erano gli anni Cinquanta del secolo scorso, durante i quali la Gran Bretagna si teneva ancora fuori dal progetto unitario (per poi entrarvi solo con un piede, come si è visto, e temporaneamente).

La Ced avrebbe inquadrato il riarmo dell’allora metà Germania sconfitta – inevitabile agli albori della Guerra Fredda – in un contesto europeo anziché, come avvenne, in quello nazionale ed atlantico. È bene ricordarlo in tempi in cui le sollecitazioni degli ultimi anni a uno sviluppo dell’Unione in materia di politica estera comune e di capacità di protezione della sua sicurezza hanno acquisito imprevista, grande rilevanza a seguito dell’attacco russo all’Ucraina, aspirante Stato membro. La detta risposta da parte del cancelliere socialdemocratico di una Germania ora intera e centrale è ancora in prevalenza nazionale e atlantica. La grande sfida è quella di farne parte costituente di un ruolo geostrategico europeo.

Foto di copertina EPA/FILIPPO ATTILI

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