L’Europa e il conflitto israelo-palestinese: dalla paralisi ad una prima ripresa di iniziativa diplomatica

Finora l’Unione europea, che pure in occasione dell’aggressione russa all’Ucraina era stata capace di definire e attuare una sua credibile linea comune, sui seguiti degli attacchi terroristici di Hamas contro Israele, sulla reazione del governo israeliano nella striscia di Gaza e sulla ripresa del conflitto israelo-palestinese si era mostrata clamorosamente incerta, poco incisiva e in difficoltà nel definire una linea condivisa e riconoscibile.

Avevano contribuito a questa percezione, all’indomani del 7 ottobre, le divergenze di sensibilità fra i responsabili delle istituzioni della Ue, manifestatesi anche con una clamorosa polemica pubblica sulla questione di chi sia responsabile della politica estera della Ue. Avevano poi proseguito i leader dei maggiori Paesi membri, scegliendo di manifestare solidarietà a Israele, ma ognuno con un proprio messaggio, non necessariamente convergente, su come gestire l’intervento a Gaza, su come e quanto insistere sul tasto della moderazione nella risposta a Hamas e sull’accesso per gli aiuti umanitari a Gaza.

Unità del Consiglio europeo e distinte posizioni di voto all’Assemblea Generale Onu

Il Consiglio europeo del 26 e 27 ottobre era poi miracolosamente riuscito recuperare un minimo di unità di intenti e a definire una posizione comune fondata su una inequivoca condanna degli attentati terroristici di Hamas, sul riconoscimento del diritto di Israele a difendersi, ma anche sulla richiesta di accesso per gli aiuti umanitari a Gaza, da garantire con “pause” e corridoi umanitari, sulla necessità di evitare una escalation del conflitto e sul rilancio di un processo politico sulla base della formula dei “due popoli e due Stati”. Ma già poche ore dopo la faticosa adozione di queste conclusioni i Paesi membri della Ue si erano divisi con tre distinte posizioni di voto in occasione della adozione di una risoluzione in Assemblea Generale delle NU che sostanzialmente chiedeva una tregua umanitaria a Gaza.

Sono fatti che confermano che la definizione di una dimensione geo-politica e di un autentico protagonismo della Ue sulla scena internazionale è ancora un auspicio in larga misura irrealizzato e difficile da concretizzare. Anche in questa occasione infatti è emerso quanto contano le differenze di sensibilità fra Paesi membri, quanto pesano i condizionamenti di politica interna nel definire la linea dei vari Governi, ed infine quanto inadeguate sono le regole di funzionamento della Ue nel campo della politica estera, e ancor più nel campo della difesa, ancora caratterizzate come sono dalla regola dell’unanimità e da una ambigua distribuzione di competenze fra Commissione e Consiglio (e quindi Governi nazionali).

Anche se va riconosciuto che in questo caso erano chiamati in causa il diritto all’esistenza e alla sicurezza di Israele e il destino del popolo palestinese, temi su cui le sensibilità nazionali sono più evidenti che rispetto ad altre sfide di politica estera, perché condizionate da responsabilità e precedenti storici (particolarmente evidenti nel caso della Germania), dal ruolo e dal peso delle comunità ebraiche nazionali, dalla presenza nei rispettivi Paesi di importanti comunità arabe e musulmane, e di conseguenza la maggiore o minore attenzione al mondo arabo e musulmano.

Un accordo minimo comune sul post-conflitto a Gaza

Ora però qualcosa, anche se in ritardo, sembra muoversi. In occasione dell’ultima riunione dei Ministri degli Esteri della UE si è riusciti a concordare una piattaforma minima comune. Non tanto su come gestire questa fase del conflitto, e in particolare sulla richiesta di un cessate il fuoco a Gaza (su cui permangono le divisioni), ma perlomeno su come affrontare la fase che dovrebbe aprirsi quando cesseranno le operazioni militari israeliane a Gaza.

Si tratta di una piattaforma che Borrell ha descritto facendo riferimento alla formula dei “tre no” e dei “tre si”. No a spostamenti della popolazione di Gaza verso altri Paesi, no ad amputazioni territoriali a Gaza, no ad una occupazione permanente israeliana di Gaza. Sì ad un ruolo di una Autorità Nazionale Palestinese (magari rinnovata) per l’amministrazione di Gaza; si ad un maggiore coinvolgimento dei Paesi arabi per una soluzione del problema palestinese; si ad un impegno politico della UE per la ricerca di una soluzione duratura per la stabilità della regione. E su questa base Borrell ha iniziato una sua missione nei Paesi della regione.

Si tratta di uno sviluppo ancora embrionale ma pur sempre importante. E anche se la piattaforma concordata è minima e per di più difficilmente realizzabile nel breve termine, con l’iniziativa di Borrell la Ue conferma che è disposta e interessata a svolgere un suo ruolo. E se oggi i margini di manovra per la Ue sono oggettivamente limitati, nell’attesa che si concludano le operazioni militari di Israele nella striscia di Gaza contro Hamas, magari senza ulteriori vittime civili innocenti, una volta conclusa la fase più acuta di questa crisi, ad un certo punto dovrà aprirsi una fase nella quale si tratterà di definire un assetto di governo per Gaza, di riprendere un dialogo con i maggiori protagonisti nella regione, e di avviare un negoziato che abbia al suo centro un futuro sostenibile per il popolo palestinese insieme a garanzie per la sicurezza di Israele.

Su queste sfide la Ue, inevitabilmente giocando di sponda con una Amministrazione americana che ha concretamente manifestato l’intenzione di tornare ad occuparsi seriamente di Medio Oriente, e con i Paesi arabi più moderati e realisti, dovrebbe essere in grado di ritrovare una sua capacità di iniziativa politico-diplomatica. Al fondo si tratta di garantire stabilità in una regione ai confini dell’Europa, di tutelare la propria sicurezza, di evitare di lasciare spazi di iniziativa politica in questa regione a potenze non necessariamente amiche, e di contrastare il rischio di una ulteriore divisione fra Occidente e resto del mondo. Se la Ue non fosse capace di recuperare un suo ruolo di fronte a queste sfide, per quanto complesse, rischierebbe seriamente la sua irrilevanza.

Foto di copertina EPA/OLIVIER MATTHYS

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