La visione di politica globale del nuovo governo in Germania

I negoziati per la formazione della nuova coalizione di governo in Germania procedono spediti, anche a causa di un quadro internazionale che reclama con sempre maggiore urgenza una leadership chiara e forte. In particolare, il concretizzarsi della sfida trumpiana al sistema delle relazioni economiche internazionali aggiunge un ulteriore fattore di urgenza a quello legato al progetto di riarmo europeo

Coerentemente con il quadro emerso all’indomani delle elezioni, si configura una coalizione a due – CDU/CSU e SPD – che porrà all’opposizione un ventaglio di partiti che va dai Verdi ad AfD passando per la Linke. Si tratterà dunque di una coalizione che non potrà sicuramente essere definita come “grande” ma che certamente dovrebbe presentare minori problemi gestionali della defunta coalizione semaforo, che aveva posto un vero e proprio problema dei tre corpi, finendo per logorare soprattutto il maggiore, l’SPD, e il suo leader, Olaf Scholz. In questi giorni le trattative tra le due forze principali si stanno intensificando, anche se il raggiungimento di un accordo per la fine di aprile sembra davvero difficile, con una maggiore fiducia per i primi giorni di maggio. 

Ha avuto molta eco la convergenza espressa da socialdemocratici e cristiano-democratici per la riforma delle regole di finanza, che sono state fatte votare dal parlamento uscente e che permetteranno al governo tedesco un maggiore margine di manovra su tematiche strategiche. In questo senso, l’impegno per il riarmo e la continuazione del sostegno all’Ucraina rappresenta la premessa attraverso cui cementificare l’intesa. 

Restano però molti fattori divisivi legati soprattutto alle diverse visioni dell’economia e dello sviluppo del paese, al momento alle prese con una contrazione economica che va governata e trasformata in un volano di crescita. A dividere molto è il tema della detassazione: mentre la CDU preme per un taglio immediato delle tasse sulle aziende, per i socialdemocratici questo obiettivo va raggiunto in un orizzonte più ampio, quello del 2029. Si tratta di divisioni di sostanza ma anche di forma: su questi temi infatti i partiti mettono in gioco la loro identità e la loro visione della società. 

Diversi punti di frattura

In realtà, il tema del rilancio dell’economia è molto più complesso e va oltre le divisioni più classiche su tasse e occupazione. La futura Groko dovrà infatti mettere a punto un programma per modernizzare un’economia che, nell’ultimo decennio, non ha saputo effettivamente rinnovarsi. Vi è un ritardo infrastrutturale rilevante, basti guardare al comparto ferroviario. Vi è poi una questione energetica aperta: è diffusa l’idea che la svolta green che il paese ha compiuto sia stata mal pensata e mal gestita. Vi è poi un discorso più generale di innovazione e di adeguamento di una legislazione che con il tempo si è fatta più complessa e farraginosa. Questo processo di riforma si intreccia e si sovrappone con le politiche in materia portate avanti dall’Unione europea, dall’Omnibus Simplification Package ad altri macro-provvedimenti che andranno rapportati e integrati con le strategie nazionali.

Tutti questi temi, che dovranno necessariamente trovare una sintesi nella piattaforma politica del nuovo governo, andranno poi a sommarsi alla nuova visione strategica che il governo dovrà definire, innanzitutto nei confronti dei tre attori globali principali: Russia, Cina e Stati Uniti. Questi ultimi pongono un duplice problema: da un lato quello di ripensare (e, se necessario, integrare) il dialogo transatlantico, dall’altro quello di evitare che il vuoto di potere generato dalla ritrazione di Washington in diverse aree geografiche sia colmato dagli altri, in particolare da Pechino. In questo senso un aspetto molto importante da monitorare sarà la visione di politica globale del nuovo governo, con un’attenzione specifica alle politiche di aiuto allo sviluppo. Inizialmente si pensava che il nuovo governo tedesco avrebbe tagliato questa voce per dare priorità ad altro, ma oggi ci si chiede se questo sia possibile per evitare che la Cina subentri nel controllo di aree e ambiti economici strategici.

Consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali, docente presso la Luiss Guido Carli di Roma e l’Università per Stranieri di Perugia.

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