Negli ultimi giorni si sprecano i commenti sulla Germania come grande (e nuovo) “malato” d’Europa, quanto meno da parte di coloro che vedono nell’affermazione delle forze più radicali, nello specifico di Alternative für Deutschland, una minaccia alla stabilità politica della Germania e della stessa Unione europea. Una cosa è però chiara: il panorama politico tedesco si è andato definitivamente complicando, non solo rispetto al passato mitologico della Bundesrepublik, ma anche rispetto alle ultime elezioni politiche del 2021. In quella circostanza il grande fattore di novità era stato rappresentato dall’affermazione dei Verdi, che avevano rotto in modo definitivo la tradizionale dialettica tripartita tra cristiano-democratici/sociali, liberali e socialisti. Quelle che si sono appena tenute sono elezioni europee, ma è innegabile che questa consultazione certifichi l’apertura di una nuova stagione, nella quale una componente più radicale si insedia stabilmente nella sfera politica tedesca.
L’estrema destra eletta in Europa per la prima volta
Nel tentativo di dare un senso a tutte queste novità, si può iniziare ragionando sull’ambito rispetto al quale Afd, ma anche il Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW), andranno a incidere in modo meno rilevante: quello degli equilibri di governo dell’Unione europea. Qui sono ben altri i numeri che contano, in particolare quell’affermazione della CDU/CSU che contribuisce a rafforzare la capacità di indirizzo del Partito Popolare Europeo. In questo ambito a pesare saranno le coalizioni maggiori, anche se con dinamiche ed equilibri che appaiono ancora tutti da chiarire. Questa presa d’atto non basta, però, a derubricare come evento minore il raggiungimento dei 16 seggi da parte di AfD: è certamente un dato trascurabile rispetto ai 96 ottenuti dai cristiano-democratici, ma è comunque importante il senso. È infatti la prima volta che la Germania alimenta la schiera delle forze euro-scettiche e anti-europee nello stesso parlamento europeo: nella storia più profonda della Germania, le forze ipernazionaliste e dichiaratamente euro-critiche non avevano mai rappresentato un fenomeno degno di nota. Nel lungo cancellierato Merkel, inoltre, la Germania aveva rappresentato il principale paese dell’Unione Europea apparentemente capace di difendere l’Unione dai venti nazionalistici che agitavano altri paesi, Italia e Francia comprese. Oggi, invece, la Germania è il paese dal quale giunge la forza più radicalmente critica nei confronti dell’Ue: nell’ultimo quinquennio, infatti, AfD ha fortemente accentuato la sua vena euro-critica, con posizioni molto più radicali di quelle che, ad esempio, caratterizzano Marine Le Pen in Francia. È noto, infatti, che nel panorama delle forze nazionalistiche, AfD è quella che ha assunto posizioni più radicali: nell’ultima fase della campagna elettorale l’accento sulla DExit è stato in parte attenuato, al contempo però la dirigenza del partito non ha mai rinnegato la volontà di rivoltare l’ordine comunitario.
Gli equilibri dopo le Europee: difficilmente si tornerà a votare
È improbabile che la strategia demolitiva dell’Unione possa avere una valenza pratica, certo è però che le elezioni europee hanno aperto una fase della politica interna tedesca. Da più parti ci si è chiesto se l’esito delle europee avrebbe portato la Germania a seguire la Francia sulla via delle elezioni. Questo scenario ci sembra improbabile. A evitare che accada qualcosa di simile vi è innanzitutto la differenza degli assetti costituzionali: la mossa di Macron è poco replicabile in un sistema non basato sul quel dualismo governo-presidente della Repubblica che invece è la cifra del sistema istituzionale francese. Questo ci porta dunque a ragionare su come dovranno evolvere gli equilibri politici anche senza contemplare l’eventualità di elezioni immediate.
Il primo dato è rappresentato dall’indebolimento della coalizione di governo. A pagare il prezzo maggiore è sicuramente il centro della coalizione, che subisce una doppia sconfitta: quella del partito e quella del cancelliere. Olaf Scholz paga il progressivo logoramento della sua leadership all’interno del partito, con un calo nei consensi. Il cancelliere, che nel 2021 era considerato come l’uomo capace di rilanciare le sorti dell’SPD dopo anni di stagnazione, è ora assediato da altre figure, prima fra tutte quella del ministro della Difesa Boris Pistorius. Vi è poi il caso dei Verdi, il partito che nel 2021 appariva come la forza del futuro, capace di superare le rigidità ideologiche che l’avevano imbrigliata in passato – soprattutto negli anni dei governi Schröder – e di attrarre un elettorato giovanile deluso dai partiti tradizionali. Oggi anche questo partito paga uno scotto, alimentando così una crisi di coalizione che, in realtà, non è compensata dall’avanzata dei liberali: l’FDP ha infatti accresciuto il suo peso smarcandosi progressivamente dal governo e presentandosi come voce critica della coalizione.
Vi è poi il mondo dei vincitori, tra loro molto diversi. Da un lato vi è la CDU/CSU, che ottiene una vittoria di peso che ha un valore sia per le dinamiche europee che per quelle nazionali. Si può dire che con questo risultato si chiude la fase di transizione iniziata con l’uscita di scena di Angela Merkel e che aveva posto una questione di leadership di non facile soluzione. Questa transizione non si è chiusa però solo con l’affermazione di una nuova guida, ma anche con un riposizionamento del partito: la CDU e la sua appendice bavarese hanno infatti riguadagnato spazio a destra, definendosi come una forza politica conservatrice. Si assiste così a un superamento del momento merkeliano, che non solo aveva portato il partito su posizioni più riformiste, ma aveva anche accresciuto la sua capacità di manovra, portandolo a sovrapporsi alle altre forze liberali e socialdemocratiche. Quella che abbiamo di fronte oggi è una cristiano-democrazia, se vogliamo più tradizionale ma sicuramente più riconoscibile elettoralmente e anche capace di sopravvivere senza una figura carismatica come quella della Kanzlerin. L’affermazione della CDU ci rende l’immagine di una Germania che premia il centro-destra e questo, se vogliamo, rientra nella normale dialettica tra forze politiche, con una tendenza del partito di Merz a spingere per un progressivo logoramento della coalizione semaforo.
Vi è poi la galassia radicale, il cui principale addendo è AfD. Rispetto a questo partito è stata tracciata una linea rossa “politica” che si è in parte sovrapposta a una “giudiziaria”, la cui solidità si è dimostrata discutibile: i tentativi di fermare AfD facendo leva sulla sua anti-costituzionalità si sono rilevati poco efficaci dal punto di vista politico, come anche l’argomento secondo cui AfD avrebbe rappresentato il cavallo di Troia dell’interferenza russa. AfD è comunque cresciuta, contenuta in parte da una CDU ritornata a destra e in parte contesa da BSW: la sua crescita non è stata solo europea, ma anche regionale e nazionale. Si conferma come partito con una sua roccaforte nelle regioni orientali, nelle quali la tenuta del veto è sempre più problematica. Un partito che ha una presenza rilevante in consigli regionali ed è capace di eleggere sindaci pone un problema di governabilità. Merz è stato, fino a oggi, fedele alla linea Merkel dell’incomunicabilità con AfD, ma è innegabile che vi sia una forte corrente interna al partito che spinga, se non per un’alleanza, quanto meno per un patto di desistenza o per una collaborazione strumentale. Questo scenario ha un peso sul sistema politico tedesco, sul sistema valoriale che sottende al suo funzionamento, nonché sul ruolo che la Germania potrà e vorrà giocare nell’Europa del prossimo futuro.