Il Piano Mattei e la via dello sviluppo dell’Africa

Per il G7 del 2024, il governo italiano vuole mettere al centro le relazioni con l’Africa. Meno di centocinquanta chilometri separano la Sicilia dalla Tunisia, eppure per decenni la diplomazia italiana ha investito poco sulle relazioni con il continente a noi più vicino. Nel dopoguerra lo sguardo dell’Italia era rivolto verso Washington e proiettato ad inserirsi nell’asse Parigi-Berlino. L’Africa non era una priorità, ed in particolare non lo era l’Africa Subsahariana dove i legami commerciali – e coloniali – erano meno forti rispetto ad altri.

L’attenzione è cresciuta nell’ultimo decennio. Sono stati gli anni dell’aumento del flusso di migranti e rifugiati, delle tragedie in mare e dell’operazione Mare Nostrum. Dal 2013 innumerevoli sono state le visite bilaterali di Primi ministri e Presidenti italiani in paesi Subsahariani, sono state aperte cinque nuove ambasciate, è stata istituita l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, è partita una missione militare in Niger e la Farnesina ha convenuto tre Conferenze ministeriali con i leader africani. Lo sguardo italiano verso l’Africa resta però dettato da urgenze domestiche: sicurezza energetica e riduzione degli sbarchi di migranti attraverso iniziative di polizia e aiuti economici. Questi sembrano anche i pilastri del cosiddetto “Piano Mattei” annunciato per novembre.

L’Europa come l’America dell’Africa

Migrazioni e sviluppo economico sono fenomeni collegati ma distinti. L’Europa è diventata, come scriveva Stefano Allevi, l’ “America dell’Africa“. Una speranza di salvezza o di successo economico per un continente in esplosione demografica e dove l’età media è vent’anni. Le risorse italiane ed europee per la cooperazione allo sviluppo (prestiti o donazioni a governi e imprese) difficilmente possono incidere sui flussi migratori nell’immediato. Serve un approccio più sottile e paziente.

I governi africani chiedono la ristrutturazione di debiti pubblici divenuti insostenibili. Ma soprattutto manca capacità produttiva locale. Un recente rapporto UNCTAD illustra le opportunità in questo senso. La transizione ecologica ha lanciato una corsa alle materie prime critiche per la produzione di batterie, microchip e nuove tecnologie. L’Africa è ricca di questi minerali che vengono estratti localmente, spesso da compagnie a partecipazione cinese, e spediti in Asia per raffinazione, manifattura ed export. Le risorse naturali sono africane ma il grosso dei profitti no, e i paesi africani sono di fatto dipendenti da catene del valore straniere. Piuttosto che inseguire i cinesi per ottenere accesso a queste risorse, gli europei dovrebbero supportare l’Africa a costruire una propria capacità estrattiva ed industriale, e così diversificare la propria dipendenza dalla Cina.

Per gli europei non è facile investire in materie prime perché le miniere e le raffinerie sono pericolose, inquinano e attirano corruzione. I governi locali non hanno poi dimenticato decenni di sfruttamento coloniale europeo. I paesi del G7 ribattono che la qualità ingegneristica e tecnologica delle aziende occidentali è superiore alla “nuova via della seta” cinese. Eppure, non è chiaro cosa significhi fare buone infrastrutture in Africa, e come trovare il giusto equilibrio tra standard di qualità che siano applicabili e che proteggano l’ambiente e le persone.

Altre opportunità sono nella filiera automobilistica, in particolare nella componentistica semplice che è il primo passaggio nella catena del valore dei metalli. Oppure nella telefonia, che ha visto una diffusione senza paragoni in Africa, e nei pannelli solari. Gran parte dei minerali e dei metalli utilizzati per la produzione di smartphone e pannelli solari prodotti in Cina arrivano dall’Africa.

Il governo italiano dovrà scoprire le carte

Infine noi europei abbiamo prestato ben poca attenzione alla promozione delle reciproche identità culturali e infatti conosciamo poco della storia e cultura africana. E’ un errore. Gli affari riempiono le prime pagine dei giornali ma sono presto dimenticati. Il reciproco riconoscimento dei valori dura nel tempo.

Dopo una lunga attesa sul Piano Mattei e il rinvio a gennaio della conferenza ministeriale Italia-Africa entro un paio di mesi il governo italiano dovrà scoprire le carte. Se il Piano Mattei è la riproposizione di accordi sul gas già in discussione resterà inevitabilmente soggetto alle scosse della politica italiana, africana e mediorientale – ed è destinato a durare poco.

Il contributo italiano diventa importante se mette l’acceleratore ad un piano europeo con la Banca Mondiale e la Banca Africana di Sviluppo. Soprattutto servono realismo e concretezza. In passato, grandi numeri e annunci di iniziative mai realizzate hanno alimentato una crescente ostilità della società civile africana verso l’Europa e verso l’ordine internazionale a guida occidentale di cui facciamo parte. La tiepida solidarietà dei governi africani verso l’Ucraina ne è la dimostrazione.

foto di copertinaANSA/ FILIPPO ATTILI

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